GUANTANAMO
Gli Usa non cedono
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Lunedì 20 Febbraio 2006
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Antonella Vicini
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Nessun passo indietro da parte di Washington e
la nuova richiesta da parte del Palazzo di Vetro della chiusura, “il prima
possibile”, della prigione di Guantanamo.
Il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan ha respinto la richiesta,
parlando di “pericolosi terroristi” custoditi a Guantanamo Bay (“L’indicazione
di Annan non potrà essere di certo accolta: i prigionieri della base sono
pericolosi terroristi”), e il segretario generale dell’Onu Kofi Annan (nella
foto) ha confermato il rapporto che chiede la chiusura del carcere, dove circa
500 uomini sono detenuti senza processo da almeno 4 anni, pur prendendo le
distanze da tutte le conclusioni dei cinque ispettori delle Nazioni Unite, e
spiegando che il governo statunitense non può tenere in prigione i detenuti
senza concedergli un processo ( “prima o poi ci sarà la necessità di chiudere Guantanamo
Bay e penso che la decisione dipenderà dal governo -americano- e spero che venga
presa il prima possibile”).
È questa la situazione a due giorni dalla pubblicazione del documento degli
ispettori Onu su Camp X-Ray. E mentre le posizioni rimangono bloccate senza che,
per il momento, sia stata intrapresa o proposta alcuna azione reale volta
modificare l’attuale stato di cose, da Berlino è giunto il sostegno pieno alla
istanza di Manfred Nowak e degli altri esperti delle Nazioni Unite. Secondo
Karsten Voigt, coordinatore del governo tedesco e responsabile delle relazioni
con gli Stati Uniti, la chiusura della prigione cubana, “prima possibile, ossia,
immediatamente”, rientrerebbe tra gli interessi degli Stati Uniti.
Sembrerebbe essere esclusivamente una questione di immagine per Voigt, il quale,
puntando l’attenzione sui danni che stanno subendo gli Usa a causa di Guantanamo,
ha spiegato che questi sono “superiori alle garanzie in termini di sicurezza che
il Paese può ricavare dalla sua esistenza”. Opportunità politica a parte, il
rappresentante tedesco ha osservato che Camp X-Ray è “incompatibile con le norme
del diritto vigenti in Europa”. Anche per Voigt, come per Annan, tuttavia, la
decisione di chiuderlo dipende esclusivamente dagli Stati Uniti, “e non può
essere imposta dall’esterno”.
Ancora una volta la filosofia del due pesi e due misure: quello che vale
universalmente per tutti i Paesi in cui l’Onu agisce la maggior parte delle
volte per conto di Washington, attraverso lo strumento, usato e abusato, delle
risoluzioni, non vale invece per gli Stati Uniti, la cui sovranità è ritenuta
intoccabile. Se Guantanamo chiuderà non lo farà, quindi, per una mobilitazione
internazionale, ma per una scelta autonoma statunitense. Le pressioni esterne
sulla Casa Bianca non solo non funzionano, ma non vengano neanche esercitate.
Secondo il premier britannico Tony Blair, che nel corso di una conferenza stampa
congiunta col cancelliere tedesco Angela Merkel ha commentato il caso, la
questione andrà affrontata, presto o tardi.
“Si tratta di un’anomalia e prima o poi andrà affrontata”. Per l’inquilino di
Downing Street, al momento dunque, sembra non esserci alcuna fretta