Nell'Islam
disperarsi è considerato un peccato, ma a Bagram, durante
i
giorni peggiori del maggio 2002, sono stato incapace di non
disperarmi. Ora, qui a Guantanamo, in questa gabbia di metallo
con i suoi lucchetti, il suo pavimento ed il suo soffitto di
metallo, il suo letto di metallo, il suo gabinetto di metallo,
il tutto all'interno di una stanza bianca e illuminata a nuovo,
sento la disperazione ritornare, mentre mi guardo attorno per la
prima volta. Tutto quello che ho in questa cella è un pezzo di
carta ed un rotolo di carta igienica. Mi hanno levato persino i
miei occhiali. Ho chiesto di avere qualcosa da usare come
tappeto per la preghiera, e mi hanno portato una sottile stuoia
da camping, che è diventata il mio materasso per i due anni
seguenti. La prima cosa che ho voluto fare appena arrivato a
Guantanamo, è stata pregare. Ho chiesto ad un soldato della
Polizia Militare in quale direzione si trovasse l'est, ma non
sono stati capaci di darmi una risposta. Mi hanno detto che non
c'erano altri prigionieri qui con me, altrimenti le guardie lo
avrebbero saputo, visto che tutti i detenuti fanno la medesima
domanda.
Ma forse in realtà avevano paura che dandomi questa indicazione
potessi calcolare la mia posizione sull'isola - un potenziale
danno alla sicurezza? In ogni caso mi misi a pregare e poi mi
sedetti per un momento, pensando. Guardando il pavimento esterno
di lino colorato e chiaro, mi sembrava ovvio che questo posto
fosse stato costruito di recente, e probabilmente mai usato
prima.
Quindi mi sono steso per terra. Mi sentivo ancora un po' sotto
l'effetto
delle droghe che mi avevano dato sull'aeroplano. Mi hanno dato
qualcosa che affermavano essere una coperta, ma che era fatta di
un materiale tipo la plastica. Non c'era cotone o lana o
qualcosa di simile in questa coperta, e non mi poteva in alcun
modo riscaldarmi quando l'aria condizionata era accesa -
condizione in cui le guardie tenevano la stanza in gran parte
del tempo.
Dopo ho saputo che si trattava di una coperta anti suicidi -
ovvero di una coperta che non poteva essere usata per fare nodi.
Non ho capito perchè me l'hanno data. Non penso che loro stessi
abbiano capito il perchè. Credo che molti di loro non conoscono
il perchè di una serie di regole e procedure; semplicemente le
eseguono perchè, come molti affermano, “E' scritto così nel SOP
(manuale di Procedure Standard Operative)”.
Io languivo lì, chiedendomi perchè mi trovassi in questo posto,
lontano da qualsiasi altro sulla Terra. Avevo capito di essere
completamente da solo, ma non avrei mai immaginato che questa
condizione di solitudine sarebbe durata per quasi due anni - non
mi hanno mai permesso di vedere un altro prigioniero. Pensavo
che molti di loro ancora mi vedessero come un pezzo grosso. Mi
avevano studiato per tutto il tempo a Bagram: non ero uno che
causava problemi, non mi ero messo a fare lo sciopero della
fame, non ho insultato, gridato, urlato cose alle guardie, ma mi
hanno sempre visto come una persona molto influente tra i
prigionieri. Non avevano capito però che il semplice fatto che
io parlassi inglese, arabo ed urdu, ed avevo un qualche tipo di
educazione, mi aveva reso naturalmente come una persona che
dinanzi all'orda di gente che era detenuta a Bagram - abitanti
dei villaggi, giovani ragazzi, persone che non avevamo mai avuto
rapporti con Occidentali - avesse l'abilità di aiutarli a
negoziare con queste persone. Questa volta, comunque, avevano
deciso di tenermi da solo.
Ho dormito pesantemente, con ancora in circolo le tossine delle
droghe che mi avevano dato sull'aeroplano. La mattina
successiva una delle guardie mi portò il primo cibo cotto che
avevo visto da un anno: la colazione. Mi era stato detto che a
Guantanamo avremmo potuto mangiare colazione con cibo cotto. Ma
è stata una grossa delusione. C'erano the e latte rinforzato in
tazze di polistirolo. Entrambi erano caldi. La colazione cotta
era rivoltante. Riso, piselli verdi pastosi, ed un uovo bollito,
tutto mischiato assieme. Non riuscivo a mangiarla. Ho detto alla
guardia, “preferirei avere solo una tazza di the e basta”.
Verso la sera del secondo giorno la persona che mi aveva detto
che stavo per andare a Guanatanamo, Jay, si fece vivo, con un
altro uomo chiamato George. Jay era uno di coloro che
effettuavano gli interrogatori a Bagram, la persona a cui avevo
dato una lunga lettera indirizzata alle autorità. Mi disse: “La
tua lettera è arrivata molto più in alto di quanto tu possa
immaginare”. Sono stato contento di vederlo, una faccia
familiare e senza la malizia che avevo visto in altri. Quando
gli altri due che lo accompagnavano, comunque, entrarono nella
stanza dietro di lui, il mio cuore ebbe un mancamento. Si
trattavano di Marti e Niel, i due agenti dell'FBI di Bagram.
Le guardie li fecero rimanere nell'altra parte della stanza,
quindi vennero nella mia cella, mi incatenarono con un vestito a
tre pezzi, e mi portarono fuori.
Mi sedetti accanto ad un tavolo dove le guardie mi avevano
portato, di fronte a Jay e Gorge, Marti e Niel. Gli ultimi due
erano entrambi enormi, obesi, con lo stile dei poliziotti delle
strade di New York, forse entrambi americani di origine
irlandese.
Rob, un loro collega, mi aveva detto a Bagram, come entrambi
assieme raggiungessero una massa di oltre 500 libbre (circa 226
kg, ndt) - non era qualcosa di cui vantarsi, pensavo. Potevano
conoscere in modo preciso come operare sulle strade di New York,
ma erano fuori del loro ambiente qui. Inoltre, sapevano di non
essere soggetti ad alcun controllo; non dovevano preoccuparsi
troppo di possibili controlli da parte di loro superiori, o del
Dipartimento degli Affari Interni, come sarebbe successo se
fossero stati nel territorio degli Stati Uniti. Avevano
l'autonomia di fare qualsiasi cosa volevano; potevano estrarre
informazioni dalle persone in qualsiasi modo lo ritenevano
opportuno. Così lavoravano tutti i poliziotti e gli agenti
dell'intelligence che avevo conosciuto a Kandahar e a Bagram. I
metodi poco scrupolosi della CIA erano stati applicati anche
dalle altre agenzie governative americane. In seguito, l'FBI
avrebbe tentato di dipingersi come l'agenzia “pulita”, che
vedeva le altre agenzie applicare la tortura, ma che affermava
di non essere coinvolta in questi metodi. Per quanto posso dire
dalla mia esperienza, anche l'FBI era parte integrante di questo
processo.
Questa volta sapevo che non mi avrebbero minacciato dell'uso di
tecniche di tortura egiziane, perchè c'era Jay lì con loro. A
Bagram, quando era arrivato un nuovo reparto della polizia
militare ed aveva sentito di quel ragazzo canadese, Omar, che
era stato accusato di aver ucciso un soldato di elite americano,
fu solo l'intervento di Jay che evitò le torture che già loro
avevano immaginato nei suoi confronti. In effetti, Jay mi aveva
dato un minimo di speranza una volta, affermando che “Guantanamo
sarà l'inizio della fine di questa odissea per te”. Ma anche la
mia parte più ottimista era convinta del contrario.
”Non rivedrai mai più la tua famiglia”. Le parole di Marti a
Bagram mi tornarono alla mente quando vidi la sua faccia.
“Potrai essere giustiziato da una squadra addetta alla
fucilazione, con una iniezione letale o in una camera a gas”.
In effetti mi stavano minacciando nuovamente. “Vogliamo che tu
legga e firmi questi documenti”, mi dicevano, piazzando una
serie di sei pagine stampate di fronte a me sul tavolo. Avevano
scritto la mia confessione.
C'erano tre copie - una per me; dall'altra parte del tavolo una
per Jay e George e una per Niel e Marti. Loro mi dissero che se
non firmavo questa confessione, mi sarebbero capitate una serie
di cose, nessuna delle quali positiva. Queste includevano il
rimanere per molti anni a Guantanamo prima che qualcuno
iniziasse a considerare il mio caso, poi un processo sommario -
ovvero una formalità prima della condanna. “Sarà un processo
molto breve, i giudici guarderanno le prove che presenteremo, e
le prenderanno per buone. Questo significherà che potrai essere
condannato al carcere a vita, o potrai essere condannato a
morte, o entrambe - esecuzione dopo un lungo tempo in carcere in
cui dimenticherai anche di essere nato”.
Io leggevo le pagine senza crederci. La mia prima reazione è
stata, “Questo è terribile. L'inglese usato è terribile. Nessuno
potrebbe mai credere che io abbia scritto un tale documento”. Ma
poi subito dopo ho pensato: “Questo potrebbe essere buono -
chiunque conosca il mio stile di scrittura saprebbe che non
potrei essere stato io l'autore, che non mi piace scrivere in
questo modo”. Sembrava un tipo di scrittura non uniforme ed
avventuroso, molto più simile allo stile di scrittura di un
sedicenne che non di quella che ci si aspetterebbe da un membro
del Federal Bureau of Investigation. Mi ricordo che durante una
della interrogazioni che avevo sostenuto a Bagram, Marti mi
aveva detto: “Smettila! Smettila di usare paroloni”. Oltre
all'inglese patetico, i “fatti” che leggevo erano completamente
assurdi. Il testo era pieno di esagerazioni, menzogne e
presunzioni. C'erano nomi di cui io non avevo neppure sentito
parlare, ma che loro conoscevano fin troppo bene. Il documento
affermava, tra le altre cose, che io ero un esponente di lungo
tempo di al-Queda; che ero stato addestrato nei loro campi; che
li avevo finanziati ed avevo persino fornito soldi che erano
finiti in mano ai terroristi dell'11 settembre. Quando chiesi
come mai aveva raggiunto tali conclusioni, mi dissero che io
avevo già ammesso di aver partecipato e finanziato i loro campi.
Era folle ascoltare loro fare riferimento ai campi, come se
qualsiasi campo di addestramento della recente storia islamica
fosse stato creato sotto l'ombrello di al-Queda. La logica e la
ragione, di nuovo, sembravano essere persi sotto una valanga di
assunzioni senza alcuna base. Mi ricordo che mi misi addirittura
a ridere mentre leggevo quelle terribili pagine che erano così
potenzialmente dannose per il mio futuro.
Gli americani erano ossessionati con la parola al-Queda. Il loro
documento lasciava intendere che quasi chiunque io abbia
incontrato nella mia vita fosse stato un membro di al-Queida.
Lasciava intendere che io avevo partecipato ed avevo
sponsorizzato economicamente i “campi di addestramento di
al-Qaueda Jamat-e-Islami..” Erano davvero così ignoranti da
pensare che Jamat-e-Islami, il terzo partito politico per
importanza in Pakistan, fosse un'emanazione di al-Queda? Non è
che si erano confusi con il movimento al-Gam'ah al-Islamiyyah
dell'Egitto? In entrambi i casi si trattava di movimenti di
rinascita islamica nei rispettivi Paesi. Entrambi avevano
appoggiato le forze dei mujahidin che avevano combattuto contro
i Sovietici negli Anni Ottanta. Ma questo si poteva di dire di
centinaia di altri gruppi e partiti politici, o organizzazioni
come la CIA. O era un deliberato tentativo di sfruttare
l'ignoranza dell'opinione pubblica americana, all'interno della
quale sarebbero stati in pochi a leggere una dichiarazione del
genere, ma ancora di meno sarebbero stati chi poteva trovare una
qualche differenza?
La dichiarazione che mi era stata presentava affermava anche io
avevo finanziato un uomo che non avevo mai sentito neppure
nominare prima di allora - un uomo coinvolto in un tentativo di
attentato terroristico contro un aeroporto americano, nel 2000
- ma non spiegava come, dove e quando mi sarei incontrato con
lui. Si affermava inoltre che io avrei provvisto “alloggio per
sospettati di terrorismo e per le loro famiglie, mentre atti di
guerra erano compiuti contro gli Stati Uniti”, ma di nuovo non
si menzionava chi fossero queste persone, o esattamente di cosa
fossero accusate. Io, da parte mia, sapevo che stavano facendo
riferimento ad una risposta che avevo dato precedentemente ad
una delle loro domande, quando dissi loro che alcune donne e
bambini, i cui uomini erano probabilmente scomparsi, erano stati
a casa mia con la mia famiglia per qualche giorno in Pakistan.
Tra di loro c'erano alcuni curdi che avevano aiutato ad evacuare
la mia stessa famiglia. La dichiarazione non spiegava in alcun
modo come fosse possibile che queste donne e bambini fossero
membri di al-Queida, o avessero compiuto atti ostili contro gli
Stati Uniti.
Inoltre, veniva affermato che la mia libreria in Inghilterra
fosse in realtà un centro di reclutamento per al-Queida, che era
il nostro sponsor; sebbene si supponeva che fosse il contrario
piuttosto. Non avevano appena detto che ero stato io a
finanziare al-Queida? Era tutto ridicolo. Lo leggevo, e pensavo,
questa è solo una massa di stronzate. Ed alla fine mi chiesero
di firmarla.
Io guardai verso Jay, poggiai il documento e gli dissi: “Hai
letto tutto questo ammasso di chiacchiere senza senso?”
”Se tu avessi visto la bozza precedente, Moazzam, avresti
pensato che eravamo impazziti”.
”Non ho alcuna intenzione di firmare questa immondizia”,
protestavo. “Prima di tutto, è piena di menzogne e in secondo
luogo io non scrivo in questo modo. Queste non sono le mie
parole. Così se volete che io firmi qualcosa del genere,
lasciatemi fare delle correzioni, aggiungere alcune spiegazioni,
rimuovere tutte le dichiarazioni non corrette e le menzogne
assolute”. Mi permisero allora di fare alcune alterazioni
selezionate, ma lasciarono in essere le peggiori menzogne, come
quella in cui ammettevo di essere un combattente di prima linea
di al-Queda, o che ero a conoscenza del fatto che i soldi che
avevo inviato nel 1994 ai combattenti del Kashmir erano stati
usati per la preparazione degli attacchi dell'11 settembre.
Mi sentivo sorprendentemente calmo. Stavo immaginando i danni
che una dichiarazione del genere poteva fare dinanzi ad una
corte; avrebbe messo alla luce del sole anche gran parte delle
loro tattiche comunque. In ogni caso, non sapevo più quali
fossero i parametri della legge da rispettare: tutti sapevano
che dopo l'11 settembre nuove leggi erano entrate in vigore
negli Stati Uniti, e si trattava di leggi terrificanti. In che
modo infatti leggi americane potevano essere applicate,
retroattivamente, ad un cittadino inglese che non aveva mai
viaggiato a ovest di Dublino, e per di più per crimini che non
aveva mai commesso? Probabilmente mi stavano per giudicare sulla
base di quello che Nathan mi aveva detto a Kandahar: “Stiamo
procedendo a giudicare sulla base di quelle che pensiamo essere
le tue intenzioni, e sulla base dei nostri rapporti di
intelligence”.
La mia mente stava vorticando, ma ancora non riuscivo a credere
che ci fosse un modo mediante il quale una qualsiasi corte
competente nel mondo avrebbe potuto ritenere valida una tale
confessione.
Mi sentivo confortato dal fatto che almeno Jay capisse quanto
falso fosse questo documento... e soprattutto che era preparato
a dire questa cosa dinanzi all'FBI. Ero realmente disgustato dal
modo in cui i due dell'FBI lavoravano, e questa era stata solo
l'ulteriore conferma di quello che pensavo di loro. Ho poi
notato il modo viscido con il quale vennero da me di nuovo:
durante la notte, chiesero alle guardie di andarsene via dalla
stanza, in modo tale che non ci fosse alcun testimone. Si
supponeva che fosse tutto veloce: “Qui ci sono i fogli, e qui è
la penna, leggi velocemente e firma”.
Prendevano i fogli dopo che avevano fatto le correzioni.
Dovevano
avere un computer ed una stampante sul veicolo, poiché
non c'era nessun altro edificio a Camp Echo, per quanto io
sapessi. Uscivano e dicevano alle guardie di entrare. Mi
chiudevano nuovamente nella cella. Poi i quattro tornavano entro
10 minuti. Mi mettevano davanti un nuovo documento, e le cose si
ripetevano. Io facevo correzioni, ma questa volta non me lo
avrebbero permesso. Erano agitatissimi. “Smettila di giocare con
noi, sappiamo bene che tu...” Io potevo rivedere la stessa
rabbia che questi uomini avevano quando avevano ordinato la mia
punizione a Bagram. Non potevo dimenticare per nessun motivo che
si trattava degli stessi uomini.
”Potresti essere giustiziato da una squadra di fucilieri,
Moazzam, lo sai?”, mi disse Marti, sembrando in grado di
controllare la sua rabbia. “Hanno già costruito una camera per
le esecuzioni qui, l'ho vista con i miei occhi”, confermava Niel.
”Ti sei forse dimenticato dei tuoi bambini...” “OK, OK, datemi
solo un minuto”.
Avevo pensato a questo già molte volte prima d'ora, dalla prima
volta che li avevo visti. Alla fine mi ero rassegnato a
qualsiasi cosa sarebbe uscita fuori. Nonostante tutte le
insinuazioni, non riuscivo ancora a scorgere l'ammissione di
alcun crimine nella dichiarazione, di sicuro nessuna ammissione
che io avrei potuto vedere. “Lo sapete bene, non fa alcuna
differenza, firmerò qualsiasi cosa vogliate, ma prima devo fare
una cosa”.
Dissi loro che volevo andare nella cella. Mi misi a pregare
sperando di ottenere lumi. Chiesi ad Allah di rendere questo
documento un mezzo per esporre le loro menzogne. Questa
preghiera è chiamata al-Istikharah in arabo: la preghiera per
chiedere la guida di Allah per prendere la giusta scelta. Solo
dopo ho firmato. Ho chiesto ai due dell'FBI di ottenere una
copia della dichiarazione ma non me ne hanno data nessuna.
Questo è stato tutto. Non ho mai più visto loro due in seguito.
Deve essere stato davvero tardi durante la notte quando se ne
andarono; le luci non erano ancora accecanti, ma erano accese,
come sempre. Mi sentivo come se avessi intrapreso un grosso
passo, che avrebbe cambiato il mio futuro, il futuro della mia
famiglia. Mi sentivo come se avessi letteralmente firmato un
foglio che gettasse via la mia vita. Iniziavo a fare note senza
fine per presentare come argomenti per l'avvocato difensore e
per la corte che io aspettavo si materializzasse in pochi
giorni, come mi avevano detto. Si aspettavano che io mi
dichiarassi colpevole di qualsiasi accusa. Ma io avevo altri
piani.
Avevo solo una penna blu per scrivere, e presto finì
l'inchiostro per la massa di argomenti che avevo accumulato in
venti pagine di memoria difensiva.
Iniziai a scrivere anche lettere per i miei familiari, iniziando
ogni lettera con, “In nome di Allah, il più compassionevole, il
più pronto al perdono”, e “mia amata moglie”. Dicevo a mia
moglie, Zaynab, che io pensavo a lei ed ai bambini in ogni
singolo istante. Mi sentivo strano a pensare alla mia casa: non
volevo che la memoria del caldo e della gentilezza fosse
rovinata dalle sordide scene attorno a me, ma avevo bisogno di
questa dolcezza e della mia famiglia per riprendere la speranza
nel futuro.
Scrissi perciò a mia moglie Zaynab una lettera di nove pagine -
scritta in piccolo su fogli A4 rigati - dopo circa sei
settimane. Le davo consigli su tutte le minuzie della vita
familiare, che doveva organizzare senza di me. Tentavo di
aiutarla con la scelta delle scuole per i bambini e, nella sua
lotta e di mio figlio Umamah contro l'asma, la incoraggiavo ad
andare in palestra, nuotare, o fare esercizi a casa, e anche di
studiare un po' per se stessa. Tentavo in tutti i modi di farla
sentire fiera di se stessa: “Hai detto di aver raggiunto poco
nella tua vita. Non è vero. I sacrifici che hai fatto, e le
difficoltà che hai superato (e che continui a superare) ti hanno
reso una straordinaria persona. Le tue intenzioni sono sempre
state pure (per il piacere di Allah e per farmi contento).
Qualsiasi fossero gli errori, gli sbagli, etc - che sono stati
anche miei - per i quali sto scontando la colpa. Dinanzi ai miei
occhi, e dinanzi agli occhi del Signore, credo, la tua persona è
diventata molto più importante, e penso che ti sei assicurata un
posto nel Paradiso - nel Giardino dei Martiri. So che vuoi che
le cose cambino quando sarà rilasciato. Ma sono già detenuto da
troppo tempo. Anche io voglio che tutto sia differente, spendere
tutto il mio tempo restante con la mia famiglia - perseguire il
nostro benessere alla luce del tempo speso altrove e del nostro
incerto futuro”.
Le scrissi di nuovo dopo altre sei settimane: “Ti amo così tanto
e mi manchi terribilmente. Ho guardato alla mia lettera
precedente, e mi sono sentito veramente un miserabile ... Avrei
dovuto essere onesto ed ammettere che io tento di fare il mio
meglio per non pensare a te ed ai bambini, perchè è troppo
doloroso pensare come state vivendo senza di me, e di tutto il
tempo passato assieme nel passato. C'è così tanto che io voglio
condividere con te nella mia vita, così come con i bambini, e
più di tutto vorrei avere l'opportunità di scusarmi per tutti
gli errori che ho fatto - in particolare nei tuoi riguardi - nei
riguardi della mia famiglia. Ho pianificato tutto nella mia
testa; Non so cosa diventeranno questi piani, se si
trasformeranno in realtà o meno, ma ti assicuro che includono
alcuni forti cambiamenti al mio/nostro stile di vita precendente”.
Una volta, scrissi a mio padre usando termini che dubitavo che
gli americani potessero capire, come affermare che “ero stato
inviato a Coventry”, implicando l'isolamento; oppure che io
stavo “vivendo come Sheba”, dal nome del cane che avevo quando
ero bambino. Ma in ogni caso non gli inviai la lettera. Sentito
che non volevo far conoscere a mio padre le umiliazioni della
mia vita, come il piccolo spazzolino, non più grande di un inch,
che avevo attaccato al mio indice medio per pulire i miei denti,
ed il piccolo tubo traslucido di dentifricio lungo due inches; o
il cibo, come carne tritata, trasformata in una bistecca, che
era così schifoso che ho vomitato quando ho tentato di
mangiarlo; o le bottiglie d'acqua che avevano trasformato in
modo tale che io non potessi tentare di gettare acqua, o altro,
addosso alla Polizia Militare.
Feci un calendario di questi primi giorni del 2003, usando un
pezzo di carta. Uno dei volontari della Croce Rossa di Kandahar
mi disse di non pensare in termini di giorni passati,
particolarmente, pensavo, perchè questi giorni si sarebbero
trasformati in settimane, mesi, ed anni. Ma segnare ogni giorno
che passava su un calendario, mi dava la possibilità di guardare
ai giorni dinanzi a me, sperando per il futuro.
Iniziai presto a vedere che non c'era nulla di consistente -
eccetto l'inconsistenza. Niente di quello che era vero a Bagram
lo era necessariamente anche a Guantanamo. Le regole, le
procedure, erano differenti. Qualsiasi cosa che avessi
guadagnato lì, non la ottenevo automaticamente anche qui. Non
riuscivo a capire, e questo divenne simbolico per me,
l'attitudine ed il comportamento dei soldati americani. Le
guardie mi dicevano come anche loro erano confusi da strette
rigidità militari e protocolli senza senso. “Questo è il modo
corretto, questo il modo sbaglio e questo il modo
dell'esercito”, dicevano spesso. Avevano portato via di nuovo i
miei occhiali - come i primi giorni a Kandahar. Avevano portato
via le mie lettere - le poche che avevo avuto a Bagram, le foto
dei miei bambini e le note che avevo preso. Non li ho rivisti
più fino al giorno in cui sono stato rilasciato.
*
Moazzam Begg è un musulmano
inglese di seconda generazione. Nel 2002, fu arrestato in
Pakistan e detenuto per due anni dagli Stati Uniti come un
"nemico combattente". In questo pezzo descrive il suo arrivo le
interrogazioni a cui è stato sottoposto a Guantanamo dopo essere
stato detenuto sia a Kandahar che a Bagram. E' stato rilasciato
nel 2005, ed ora vive a Birmingham, Inghilterra, con la sua
famiglia. Ad oggi, Begg può insegnare solo in Inghilterra
perchè, nonostante l'assenza di accuse contro di lui, il suo
passaporto è stato ritirato come condizione per il suo rilascio.
Spera comunque di avere la possibilità di viaggiare ed insegnare
in giro in futuro senza limitazioni.
Tradotto in esclusiva da Daniele
John Angrisani per Altrenotizie
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