Cuba cerca di cominciare ad abituarsi alla
vita senza Fidel. Ieri la Tv ha letto un altro messaggio del lider maximo, ma,
come il primo di lunedì in cui annunciava la delega dei poteri al fratello Raul
e ad altri della nomenclatura, non per sua bocca ma per bocca di un
annunciatore. «Non posso inventare notizie buone perché non sarebbe etico e se
le notizie fosse cattive l'unico che ne trarrebbe vantaggio è il nemico. Nella
situazione specifica di Cuba, per via dei piani dell'impero, il mio stato di
salute si converte in un segreto di stato non si può divulgare continuamente»,
esordisce il messaggio, che poi continua: «Posso dire che la situazione è
stabile, ma un'evoluzione reale dello stato di salute ha bisogno di tempo. Il
massimo che potrei dire è che la situazione si manterrà stabile per molti giorni
prima di poter emettere un verdetto», per concludere che «il mio stato d'animo è
perfettamente buono» e che «l'importante è che il paese marci e marci bene».
Un messaggio in qualche misura ambiguo: notizie né «buone» né «cattive»,
situazione «stabile» che non si spinge a dire che l'operazione è riuscita e
soprattutto quel «verdetto» che richiederà tempo per essere emesso. Anche se il
morale è alto e confortante il fatto che il paese marci senza scossoni.
D'altra parte era stato subito chiaro che questa volta non si è trattato di
un'influenza.
Sono in molti a credere (e sperare), specie fra l'esilio anti-castrista di Miami
e l'infinità di Cuba-watchers della Florida e del resto del mondo, che in realtà
Fidel sia già morto e che i due messaggi attribuitigli siano in realtà una
messinscena per dare tempo ai cubani - che per il 70% sono nati dopo la vittoria
dei barbudos nel '59 - di abituarsi all'idea che lui non c'è più. C'è perfino
chi avanza una terza ipotesi, sul Miami Herald: che la malattia sia un
luciferino ballon d'essai dello stesso Fidel per mettere alla prova l' inner
circle a cui ha delegato i suoi vastissimi poteri e vedere se qualcuno tradisce
delle velleità «riformiste», così da poterlo tagliare subito. Questo sembra un
delirio. Ma d'altra parte a Miami dopo i macabri festeggiamenti della notte di
lunedì, sembra sia calata una cappa di delusione e frustrazione. Dopo 47 anni ad
aspettare la «rivolta» contro il castrismo (anche nel '61 sbarcando alla Baia
dei porci s'aspettavano l'inevitabile rivolta...) e la «liberazione» dell'isola
promessa da tutti i 10 presidenti Usa, l'apparente funzionamento del meccanismo
della successione-transizione e l'evidente impossibilità dell'amministrazione
Bush (prigioniera della sua stessa politica) di influenzare il dopo-Fidel,
almeno per il momento, fa sentire all'esilio cubano la malattia (o anche la
morte) di Fidel come «una vittoria vuota».
A Cuba la situazione viene dipinta calma, con qualche sporadica manifestazione
di appoggio a Fidel e Raul. Il primo e finora unico commento è venuto da Ricardo
Alaracon, che per tirare su gli animi ha detto che il lider maximo «lotterà fino
all'ultimo istante della sua vita. Ma quell'ultimo istante è ancora molto
lontano».