| 2 agosto 2006 | F.Casari www.altrenotizie.org |
In nessun paese del mondo la
malattia di un Capo di Stato scatena tanta curiosità e paginate di
giornali come è avvenuto nel caso di Cuba e del suo leader. Questo
potrebbe essere, già da solo, l'indice della popolarità del
Presidente cubano, assunto al ruolo di incubo vivente degli Stati
Uniti, anzi di "spina nella carne", per dirla con le parole del
senatore Usa Fullbright. Fidel Castro sta bene. Alla faccia degli
avvoltoi che festeggiano la sua malattia nelle strade di Miami e dei
loro supporter nella Casa Bianca, il Comandante en Jefe sta
affrontando il decorso post operatorio in condizioni di stabilità
del quadro clinico.
La scelta dei reazionari
fuoriusciti di puntare alla "soluzione biologica", sia detto, non è
mai stata esclusiva: alacremente e con grande generosità di mezzi e
d'infamia, hanno cercato in lungo e largo ogni possibile momento per
attentare alla vita di Castro, soprattutto in occasione dei suoi
viaggi all'estero. Tentativi frustrati dall'intelligence cubana e
dall'incapacità congenita dei terroristi cubanoamericani di
misurarsi con qualcosa di più serio che non siano persone inermi
come i passeggeri di un aereo civile.
La transizione
Ci s'interroga ora sul "dopo Fidel".
Lo fanno, preoccupati e poco capaci di programmare, le teste d'uovo
di Washington, che solo pochi giorni or sono hanno diffuso
l'ennesimo piano "per la libertà a Cuba" che non consta di nessuna
novità rispetto alle decine già precedentemente elaborati e
regolarmente frustrati. Solo l'importo dei finanziamenti cambia ogni
volta; cresce in misura della vicinanza della scadenza elettorale
statunitense. Più le elezioni si avvicinano, più crescono le
promesse alla lobby mafiosa cubanoamericana, più aumenta l'importo
dei fondi destinati alla sovversione contro Cuba. Il comunicato con il quale Castro delega temporaneamente le funzioni e i ruoli che sosteneva nell'ambito del governo dell'isola, ha già scatenato nei media internazionali interpretazioni che, in alcuni casi, sono visibilmente il risultato di una cattiva conoscenza dell'isola e della sua realtà politica, in altri appaiono una occasione irrinunciabile per gettare fango e, possibilmente, tramite qualche fuoriuscito che, una volta all'estero, è stato abilmente trasformato in "prestigioso intellettuale" o qualcosa di simile. Il fatto che Raul Castro sia stato insignito delle leve del comando si deve all'applicazione di una soluzione istituzionale. Da un lato certifica ulteriormente l'ipotesi temporanea della delega, dall'altro è, comunque, la soluzione naturale in osservanza della catena di comando. Ma l'affidamento di poteri specifici ad un'altra serie di dirigenti, poteri che rispondono comunque alle competenze che hanno ed alle funzioni che svolgono, segna un dato importante. Fidel annuncia quali sono i dirigenti chiamati a gestire la fase di transizione. Coinvolge tanto uomini della vecchia guardia (los historicos), quanto personalità della nuova generazione di dirigenti rivoluzionari in pista da qualche anno.
Perché la contraddizione
generazionale, che ovunque esiste, a Cuba è risolvibile con intese
sul piano gestionale collettivo. Non ci sono contraddizioni
ideologiche o politiche; modelli internazionali di riferimento
diversi. E' evidente che la struttura socialista dell'isola non ha modelli economici diversi dove scegliere: o quello cinese, o quello vietnamita, ben sapendo però che si tratta di definizioni grossolane, buone per i titoli o per riempire righe, ma non perfettamente calzanti. Raul é identificato come fautore del modello cinese (stretto controllo politico centralizzato su una economia di tipo capitalistico) ma è il primo a sapere che un modello realizzato in una società con il 90% dei suoi abitanti nelle campagne ed il 10 % nelle città, è difficilmente perseguibile in un paese dove il 90% dei suoi abitanti è nelle città e solo il 10% è nelle campagne. E che i modelli socioeconomici di riferimento ed il loro terreno di confronto con il contesto socio-politico sono difficilmente paragonabili. E se invece di inseguire modelli ipotetici Cuba scegliesse, come ha scelto, il suo? Perché a forza di ritenere quelli più noti come gli unici possibili, si perde di vista la necessità effettiva di un modello, che deve avere tre caratteristiche fondamentali: praticabile, utile, condiviso. E' il caso del modello cubano, che ha ottenuto risultati importanti in economia, riportando la crescita costante del Pil ai livelli più alti del subcontinente. E se l'input politico è stato di Fidel, non si può negare che sia stato Carlos Lage Davila, di professione pediatra, il disegnatore del processo di riforme economiche che ha portato Cuba a superare brillantemente una situazione economica drammatica. Che vi abbia svolto un ruolo fondamentale Francisco Soberon Valdes, Governatore della Banca Centrale, così come il giovane ministro degli Esteri, Felipe Perez Roque, uomo dimostratosi all'altezza di un compito niente affatto facile nonostante la giovane età; Felipe ha contribuito non poco all'intensificazione delle relazioni di Cuba con il resto dell'America latina, disegnando uno scenario di alleanze che sono fondamentali per il sostegno al nuovo corso economico cubano.
Gli stessi Ramiro Valdes Menendez e
Ricardo Alarcon De Quesada svolgono un ruolo di primo piano e José
Ramon Balaguer, figura prestigiosa, un tempo custode ideologico del
Pcc, quindi a capo delle relazioni internazionali, poi alla guida
del sistema sanitario, riscuote l'assoluta fiducia di Fidel, come
del resto José Ramon Machado Ventura, dirigente rispettato e capo
dell'organizzazione del partito o Esteban Lazo Hernandez, segretario
del partito e uomo di notevoli capacità organizzative.Quello che
Fidel Castro pare aver voluto indicare con nettezza, è che solo
l'unità del gruppo dirigente cubano sarà la garanzia di una
transizione controllata e gestita senza perdere d'occhio la
necessità di riforme economiche.
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