Alla signora Irania
Martinez Garcia le sfide non fanno paura. E' una di quelle donne che forse amano
misurarsi col mondo e che sono abbastanza testarde e determinate da arrivare a
dimostrare che hanno ragione da vendere. Cinque anni fa Irania va a visitare il
basurero (discarica) di Isleta, una zona periferica di Guantanamo, la capitale
della provincia più orientale di Cuba. Nella discarica, uno degli immondezzai a
cielo aperto che qui come nel resto del mondo accerchiano città e metropoli, la
spazzatura veniva bruciata e seppellita. «Il paesaggio era desolante - dice -
l'aria era ammorbata dai fumi e l'immondizia "camminava" per conto suo sotto
terra, arrivando ormai a lambire le case del barrio». Irania,che ha un ruolo
nell'amministrazione cittadina, si prende a cuore la situazione ma deve
affrontare qualche resistenza: le innovazioni, si sa, costano sempre fatica.
Alla fine, resistenze o meno, riesce a farsi attribuire un pezzo di terra. Vuole
dimostrare alle autorità cittadine che una discarica, se ben maneggiata, può
diventare un giardino. Qualcuno se la ride, qualcun'altro fa spallucce. Irania
va avanti. Come il bulldozer che non ha. Vedere per credere. Cinque anni dopo il
Cepru (Centro ecologico per l'agricoltura urbana) si presenta tanto per
cominciare con una piccola foresta di Nim, una pianta tropicale nota come
insetticida naturale. Tiene lontane le mosche che, meraviglia, dalla discarica
sono praticamente scomparse. La piccola piantagione allarga la sua ombra sulla
casa di questa improvvisata finca (fattoria) dove l'immondezzaio con uccellacci
volteggianti è ormai un ricordo. Nei 10 anni di esistenza del basurero, cinque
sono stati dedicati da Irania alla riconversione biologica della spazzatura.
Grazie anche al sostegno del Gruppo di lavoro provinciale di Guantanamo, che con
l'appoggio dell'Undp (Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) amministra
tra l'altro il sostegno della comunità internazionale (inutile dire che il
progetto piace molto ai donatori occidentali), Irania è riuscita a trovare le
risorse per mettere in pratica la sua idea. Aveva però bisogno di braccia,
fornite alla fine dall'amministrazione pubblica con una trentina di lavoranti in
gran parte donne. Questi operai del biologico separano l'immondizia
classificando le diverse componenti e ammonticchiando in lunghe file ordinate la
materia organica che si trasformerà in composto. In sei ore lavorano i 150 metri
cubi di immondizia che arrivano alla discarica giornalmente. «All'inizio avevo
un pezzetto di terra e 7 persone. Adesso ho recuperato già quattro ettari e ne
sto rinnovando altri 5». La discarica in quanto tale si è così ridotta a poco
più di tre. Non c'era un albero e adesso c'è la piccola foresta di Nim, il
vivaio e le ordinate concimaie che non esalano odore. Il materiale inorganico
non riciclabile arriva forse al 10%. Si recupera il legno, l'alluminio, il
ferro. La creatività di Irania si è applicata alle ossa e zoccoli provenienti
delle macellerie e ora triturate per farne humus, a galline e capre (forniscono
latte all'ospedale locale) che pasteggiano con frutte e verdure non ancora
decomposte mentre i contenitori in alluminio diventano altrettanti recipienti di
un enorme vivaio di specie nate dai semi... ovviamente selezionati dai rifiuti.
L'oasi ecologica della discarica di Isleta diventa così anche una piccola
azienda che, oltre a riciclare, produce beni e servizi per la cittadinanza: per
chi si vuole comprare una pianta grassa, un fiore ornamentale, il composto per
il giardino, l'alimento per gli animali da cortile. Siccome Irania è un vulcano
la sua testa non smette mai di elaborare innovazioni. Persino sull'acqua della
risciacquatura del riso: «Una cosa da insegnare ai tuoi amici europei», sorride:
«Quando hai lavato il riso, prima di cuocerlo, lascia fermentare l'acqua
utilizzata con un paio di cucchiaiate di zucchero. Diventa un ottimo aceto
biologico».
Lettera22