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16 maggio 2006
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G. Carotenuto
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Corriere della Sera, lancio pesante in prima pagina di
domenica 14 maggio e intero primo paginone di cultura per un
pezzo intitolato “Da Castro a Chávez, l’Europa sedotta dai leader populisti”.
L’articolo è firmato da Ian Buruma (nella foto), un professore olandese
specializzato nel Giappone, editorialista del New York Times, e paladino della
globalizzazione.
Tema dell’argomentare di Buruma è, guarda caso, il pericolo Chávez che starebbe
facendo proseliti tra gli intellettuali europei per i quali va bene tutto pur
che sia antiamericano. L'incipit è offensivo oltre che banale. Gli intellettuali
europei, sono una categoria quanto mai sfuggente, e oltretutto, chi scrive se ne
occupa di mestiere, la maggior parte degli intellettuali europei non sono per
niente sedotti da Chávez, e molto meno appaiono sedotti da esperienze di
cambiamento ancora più profonde, come quella che ha portato alla presidenza
Morales in Bolivia. Quello del Corsera è allora semmai un avvertimento: non
lasciatevi sedurre da Chávez.
Semmai tra l'intellettualità progressista e liberale europea è il pregiudizio
antichavista ad allignare e le rotte del pensiero mainstream restano dominanti.
Non solo a destra. Buona parte della sinistra postmarxista, postcomunista o
neocomunista infatti, ha sempre visto come il fumo negli occhi ogni percorso
alternativo a quelli europei. Questi, per definizione, rivendicano per se stessi
la primogenitura di tutto. E infatti il "terzomondismo" è sempre più considerato
un peccato gravissimo, anche se "terzomondismo", come "populismo", non significa
poi molto.
E' una storia lunga e credo che la foto che meglio rappresenti la nostra
contemporaneità rispetto all'America Latina, resti ancora quella che vede, nei
primi anni '50, andare sottobraccio l'Ambasciatore statunitense a Buenos Aires
con il segretario del Partito Comunista in Argentina (il più stalinista al mondo
e che inizialmente approvò perfino il golpe Videla) in occasione di una
manifestazione antiperonista.
Se si capisce a fondo quella foto si capisce anche l'estrema solitudine
dell'America Latina, l'asprezza della rivoluzione cubana, la sostanziale
complicità del mondo intero verso i colpi di stato fondomonetaristi, la rapina
ignorata del neoliberismo che ha fatto i morti per fame perfino nelle terre più
fertili del mondo. E si capisce perché continua ad essere sostanzialmente sola
anche la nuova America Latina, che con percorsi originali tenta di allontanarsi
da quel neoliberismo.
I capi di stato europei riuniti l'altro giorno a Vienna con i loro omologhi
latinoamericani, hanno continuato a dispensare paternalisti consigli. Ma sono
tutti consigli interessati e nessuno sa spiegare ad un esponente di un popolo
originario ecuadoriano perché deve farsi strappare le terre dove vive perché
altrimenti gli indici di borsa dell'ENI ne risentirebbero.
L'incomprensione è il tratto caratteristico delle relazioni Europa-America
Latina. In un continente dove vivono 400 milioni di contadini, quasi tutti senza
terra, ogni volta che qualcuno, come Evo Morales, o Joao Pedro Stedile, parla di
riforma agraria, viene bollato come irresponsabile e... chissà perché,
"antiamericano"! E' un'automatismo grave e negativo per gli stessi interessi
degli Stati Uniti. Questi scelgono di trasformare in conflitto politico ogni
conflitto commerciale ed è chiaro che se tutto quello che non è espressione del
fallimentare neoliberismo viene automaticamente bollato di antiamericanismo,
alla fine l'antiamericanismo non potrà non tracimare.
IL COLMO DELL'ANTIAMERICANISMO Nelle
settimane scorse si è giunti al massimo dell'ipocrisia. Il TLC tra Stati Uniti e
Colombia ha messo fuori mercato la soia boliviana in Colombia. Nessuno se n'è
preoccupato, ma migliaia di contadini poveri sarebbero stati ridotti all'inedia.
Tra l'altro, ma è incidentale, la soia statunitense è transgenica, quella
boliviana no. Pochi giorni dopo, un accordo firmato nell'ambito dell'ALBA -l'associazione
tra Bolivia, Venezuela e Cuba- ha letteralmente salvato la vita ai produttori di
soia boliviana, offendo uno sbocco ai loro prodotti a prezzi equi sui mercati
dei paesi associati. Ebbene sulla stampa europea è stato definito un accordo
"antiamericano".
Ovviamente, se qualcuno avesse definito il TLC tra Stati Uniti e Colombia come
"antiboliviano", sarebbe stato ridicolizzato. Non avviene il contrario e
autorevoli commentatori possono definire come "antiamericana" l'ALBA. E' che
tutto gira sempre intorno all'occidente e il commercio Sud-Sud è visto sempre
con sospetto. Per non essere stigmatizzati come "antiamericani" dal Buruma di
turno, che si vanta di essere esperto di diritti umani, ma da questi omette il
diritto ad alimentarsi, i produttori di soia boliviani avrebbero dovuto
lasciarsi morire di fame. Questo è il livello interpretativo su quello che
succede in America Latina. Sempre più scadente, sempre più fazioso.
Fateci caso: finché la rivoluzione cubana è stata filosovietica si poteva essere
pro o contro. Da quando l'URSS non c'è più, si può essere solo contro. Perché
Cuba interessava agli europei solo all’interno del dibattito politico interno.
Oggi, nessun dibattito su Cuba è possibile, e il solo voler discutere di Cuba ti
fa bollare di castrismo impenitente. E oggi, la sopravvivenza e la fine
dell'isolamento di Cuba, diventano per l'intellettualità ed i media europei
innanzitutto inspiegabili.
In un contesto diverso abbiamo visto le stesse idiosincrasie eurocentriche
rispetto ai fori sociali. Quando è stato chiaro che fossero i movimenti del
terzo mondo a fare da guida e ad esprimere la forza e le idee originali e non
fossero invece quelli europei (che esprimevano idee balzane come la Tobin Tax,
della quale si è riso amaramente dal Pakistan alla Patagonia) a essere
l'avanguardia del movimento, in Europa c'è stato immediatamente il riflusso. Un
europeo, per quanto progressista e di buon cuore, difficilmente accetta di
ricevere e non dispensare consigli.
Tornando a Buruma, questi insinua il dubbio che essendo impossibile appoggiare
Chávez ed essere contemporaneamente onesti, alcuni intellettuali -fa una vera
lista nera- sarebbero corrotti da opportuni inviti e viaggi pagati. Sarebbe fin
troppo facile obiettare che un invito, una consulenza, una serie di conferenze,
una cattedra, delle rubriche su prestigiosi media liberali strapagate migliaia
di dollari per stare nel coro della messa cantata neoliberale, non scandalizzano
per nulla Buruma. Basta guardare il curriculum dello stesso. E' noto che un
grandissimo intellettuale di sinistra messicano, fin'allora fustigatore
indefesso del neoliberismo, moderò i suoi toni fino a zittire quando gli fu
offerta una rubrichina fissa per un settimanale patinato femminile al prezzo,
totalmente fuori mercato e sicuramente non pagato dal settimanale, di 5.000
dollari la settimana. E' il libero mercato, no?
Consiglio, solo per cominciare a rendersi edotti sull'argomento, l'importante
saggio di Francis Stonor Saunders, La guerra fredda culturale. La CIA e il mondo
delle lettere e delle arti, Fazi, 2004, per capire come va il mondo almeno dalla
fine della seconda guerra mondiale.
Collaborazioni, comparsate, rubriche strapagate, anticipi milionari per libri
che poi venderanno poche copie, ma creeranno il "guru liberale" o il "chicago
boy" o il "prestigioso intellettuale". Questo ovviamente non scandalizza Ian
Buruma, che di questa trafila di prebende è egli stesso gran beneficiario. E'
normale che chi tiene il turibolo alla classe dirigente del pianeta sia da
questa ricompensato e cooptato. E’ invece preoccupatissimo per il fatto che
l’intellettuale britannico Tariq Alì sia stato nominato consulente di Telesur,
la televisione pubblica multistatale latinoamericana. Chávez, il terzomondista
ricco, spariglia scandalosamente i giochi. Secondo Buruma il compenso
–eventuale- della consulenza di Tariq Alì dimostra che Chávez sia un corruttore
di coscienze, ma non nomina i suoi ricchi cachet come conferenziere o consulente
o editorialista liberale che invece sono guadagnati onestamente. Patetico.
IL DEMONIO CHAVEZ Lo strepitare antichavista
di questi giorni è ciclico. Infatti ogni volta che il presidente Chávez viene in
Italia viene accolto meglio, con più rispetto e considerazione. Chávez vuole
inserire il Venezuela e l'America Latina nel mercato mondiale in maniera equa,
cosa impensabile per chi ha rapinato il continente per decenni spacciando tale
rapina per libero mercato. Anche il brasiliano Lula vuole la stessa cosa, e lo
stesso vuole l'argentino Kirchner. La loro relazione è totalmente sinergica, ma
si preferisce raccontarli l'un contro l'altro armati anche se, nel solo 2005, ci
sono stati ben 42 vertici a due o a tre. Tutti vogliono un'equa inserzione dei
loro paesi nel mercato capitalista e ad alcune penne questo inquieta. Ci sono
capitalisti che vogliono continuare a rapinare, tra questi c'è l'ENI, e
capitalisti che vogliono fare affari. Questi ultimi fanno la fila per firmare
contratti in Venezuela, un paese che sta costruendo migliaia di ospedali,
scuole, autostrade, ferrovie, metropolitane.
Perfino la visita in Vaticano con Benedetto XVI è andata bene per il governo
bolivariano. Per confutare tale dato di fatto, sempre il
Corriere di un paio di giorni fa, ha riesumato quel gran democratico del
cardinal Castillo Lara di Caracas, un reazionario della più bell’acqua che non
ebbe alcun dubbio nel benedire il colpo di stato dell’11 d’aprile 2002 e che
adesso dice papale papale che Ratzinger si sarebbe dovuto rifiutare di ricevere
il demonio Chávez. Ovviamente l'opinione di un vecchio cardinale
ultrareazionario e con le mani sporche di sangue, se serve a denigrare Chávez,
può essere fatta prevalere sul Corsera perfino su quella di Ratzinger che lo
riceve normalmente.
L’articolo di Buruma è l’ennesima occasione per mettere Chávez nella stessa
barca con Mao (sic!) e l’immancabile Ahmadinejad, per considerarlo null’altro
che un burattino di Fidel Castro, e paragonarlo al povero Perón, del quale si
continuano a 32 anni dalla morte a scrivere falsità. Nella stampa europea, il
povero Perón viene SEMPRE stigmatizzato come “dittatore argentino”. Giova
ricordare che dittatore non fu mai, governò sempre in democrazia ed anzi fu
fatto cadere dal colpo di stato fondomonetarista del 1955. E' facile
approfittare della cattiva memoria dell'opinione pubblica.
IL RITORNO DI PERON Giova ricordare che
tutti i dittatori argentini, quelli sì dittatori nei decenni più tristi della
storia del paese, furono tutti ferventi amici della Casa Bianca e furono
innanzitutto antiperonisti. O meglio furono amici della Casa Bianca innanzitutto
perché antiperonisti, mentre nel paese il popolo argentino scriveva la storia
dei 18 anni di resistenza che permise il ritorno del vecchio (e a quel punto
reazionario, ma non dittatore) Perón.
Un paio d’anni fa, Furio Colombo, da direttore dell’Unità, arrivò a scrivere
testualmente -in un editoriale in prima pagina- che Perón fosse stato un
dittatore clericale. Non era né dittatore né clericale. Al contrario, i
peronisti –che erano mezzi anarchici- bruciavano le chiese e la chiesa cattolica
argentina fu sempre la prima nemica del peronismo, tanto da celebrare il colpo
di stato antiperonista e da benedire quei militari che torturavano e
assassinavano i peronisti, tra i quali sì, si trovavano molti cattolici di base
e centinaia di sacerdoti del “movimento per il terzo mondo”. Siamo abituati a
pensare che la damnatio memoriae, in epoca contemporanea, sia stata un'esclusiva
del più bieco stalinismo sovietico e invece la scopriamo appartenere al mondo
liberal dei Buruma e dei Furio Colombo. Basta avere memoria.
Buruma, nel suo crescendo antichavista, arriva all'iperbole di scrivere che i
famigerati "intellettuali europei", pur di schierarsi contro gli Stati Uniti,
siano pronti a tessere le lodi del dittatore nordcoreano Kim Jong Il. Ma quando
mai! Ma dove li ha visti? E' in grado Buruma di elencare qualche nome? A Buruma
tutto fa brodo: chi critica gli Stati Uniti allora è dalla parte di Kim Jong
Il... e di Chávez. Sono argomenti così stantii –chi non ricorda che chi era
contro la guerra era amico di Saddam Hussein?- che sorprende che il Corriere
della Sera giustizi centinaia di alberi per dedicare una pagina a tali banalità.
E IL CARACAZO? Forse per captare la
benevolenza del lettore, Buruma tenta un iperbolico paragone tra Chávez e
Berlusconi, anche se ovviamente salva il secondo per stigmatizzare il primo. Va
avanti per una paginata intera con tutti i luoghi comuni antichavisti senza mai
neanche per sbaglio ammettere che la democrazia venezuelana fosse solo un
simulacro quando apparve Chávez. Ricorda il tentativo di colpo di stato del
trentenne Chávez del 1992, ma gliene sfugge l'essenza. Chávez e i suoi erano i
militari che tre anni prima si erano sottratti alla furibonda repressione del
popolo -il Caracazo- che fece migliaia di morti. Chávez si rivolta perché
l'esercito fu usato dal bipartitismo liberale contro il popolo. Chávez e i suoi
erano i militari che si erano rifiutati di sparare sulla gente affamata di
Caracas. Colpa grave per Buruma ed i suoi, per i quali quelle migliaia di morti
non contano nulla. Il fatto che proprio da quell'episodio così cruento
germinasse il nuovo Venezuela bolivariano nel quale mai più l'esercito è stato
usato per massacrare il popolo, lo lascia indifferente.
E IL COLPO DI STATO? Buruma non sa, o fa
finta di non sapere, che in Venezuela l’11 aprile 2002 andò in onda il primo
colpo di stato della storia condotto dalla televisione, tutta nelle mani
dell’opposizione. Non sa che anche dopo la riforma chavista del 2004 del sistema
radiotelevisivo venezuelano questo resta all'80% in mano dell'opposizione.
Eppure Buruma è terrorizzato da una censura inesistente. Si lamenta Buruma della
riforma della corte suprema in Venezuela? Fa finta di non ricordare che la corte
suprema è stata l'unico organo nel paese e nel mondo a sostenere che in
Venezuela non ci fu un colpo di stato l'11 aprile del 2002.
Povero Aznar, povero FMI, povero Bush; riconobbero un governo golpista di un
golpe mai esistito. Non ricorda Buruma, che mette al terzo posto tra i cattivoni
latinoamericani l'argentino Nestor Kirchner, che anche questo ha riformato la
corte suprema in Argentina dopo che questa era rimasto l'ultimo inattaccabile
bunker del menemismo che teneva in ostaggio la giustizia in un paese di 37
milioni di abitanti?
IL NODO DEL PRESIDENZIALISMO Su di un punto
ha ragione Ian Buruma. I presidenti del continente americano hanno troppo
potere. Ovviamente Buruma teme il potere dei presidenti sudamericani mentre è
più accondiscendente con quello ancora più grande dei nordamericani, ma ha
ragione. Eppure Buruma dovrebbe sapere perché in tutto il continente americano
furono imposti modelli presidenzialisti laddove in Europa non ne esiste neanche
uno. Il sistema presidenziale supplisce monocraticamente alla difettosità della
rappresentanza da parte dei diversi soggetti della società civile, che molto
meglio sintetizzano le democrazie parlamentari europee.
Ma da quando il vecchio James Monroe stabilì che il continente intero fosse il
cortile di casa degli Stati Uniti, nessuna democrazia si è potuta mai sviluppare
in maniera armonica fino a darsi un'altra forma più matura, quella parlamentare
che rappresentasse le diverse istanze della società. Ma il presidenzialismo
latinoamericano è stato sempre funzionale al mantenimento al potere delle
oligarchie conservatrici, e dei potentati economici sempre alleati degli Stati
Uniti.
Ogni volta che la società civile latinoamericana ha avuto la forza di cercare
equilibri più avanzati, è stata castigata dalle oligarchie appoggiate dagli
Stati Uniti. Un sistema presidenziale è semplice ed efficace da controllare: il
presidente può essere amico o nemico e se è nemico può essere boicottato,
denigrato, schernito, gli si può organizzare contro un colpo di stato.
La sinistra latinoamericana, tra i molti deficit storici, ha sempre avuto quello
di non mettere al centro dei propri programmi la riforma in senso democratico
dello stato, facilmente identificabile con l'abbandono del presidenzialismo.
Sforzo titanico: i governi popolari, presenti e passati arrivano al governo
sulla base di istanze storiche, di fami ataviche e di ingiustizie da sanare. E'
purtroppo impensabile che un presidente progressista arrivi al governo e come
primo atto limiti il proprio potere in favore di migliore e maggiore
rappresentanza. Eppure le cose stanno cambiando anche in questo senso.
Proprio la costituzione partecipativa che si è data la Repubblica Bolivariana
del Venezuela rappresenta il più avanzato modello di democratizzazione della
partecipazione politica nella storia del continente. Lo seguirà a breve il
processo costituente boliviano già convocato. E' una primavera dei popoli e
dell'allargamento della rappresentanza quello che sta vivendo l'America Latina.
E' un cammino lungo e difficile, ma è in corso.
Il Buruma di turno è scandalizzato dai processi elettorali venezuelani. Ma è
scandalizzato perché vince Chávez e non quell'opposizione che si autodenomina
"alta società civile". Fa finta di non conoscere che l'indice IDE delle Nazioni
Unite, che parametra il diritto di voto, la trasparenza e la libertà di voto e
la varietà e sostenibilità degli incarichi elettivi, attribuisce alle elezioni
in Venezuela un indice di 0,99 su 1.00 che è il massimo. Per fare un paragone
calzante il Cile, identificato come il modello dei modelli positivi da Buruma,
ha un indice di appena 0,75 e il sistema elettorale pinochetista, che la
democrazia liberale si guarda bene dal cambiare, è uno dei meno democratici al
mondo. Ovvero le elezioni che hanno eletto la beniamina dei liberali Michelle
Bachelet sono molto più preoccupanti per le Nazioni Unite rispetto a quelle che
hanno eletto in questi anni Hugo Chávez. Ci vogliamo domandare seriamente perché
di questo non si parla?
Gennaro Carotenuto
Fonte: www.gennarocarotenuto.it
Link: http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=620
16.05.06