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7 luglio 2006
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L.Laraia
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Sono poche le fotografie che nel corso del
tempo siano diventate simboli longevi, entrando a far parte dell'immaginario
collettivo di diverse generazioni. Una di queste è sicuramente la foto che il
cubano Alberto Diaz «Korda» scattò a Che Guevara nel 1960. Racconta la leggenda
che il 5 marzo di quell'anno, una giornata di vento in cui il cielo era solcato
da molte nuvole, il Che stesse assistendo al funerale di alcuni compagni morti a
causa di una esplosione su una nave, a cui pare non fosse estranea la Cia. La
sua espressione - avrebbe detto in seguito il fotografo - era corrucciata e
piuttosto triste («El Che parecia un hombre encabronado ese dia, un poco
triste»). E fu quella espressione, quello sguardo insieme deciso e
malinconico, che Alberto Korda, fotografo personale di Fidel e amico del Che,
riuscì a fissare nel suo scatto.
Intorno a questa immagine (secondo alcuni la più riprodotta nella storia della
fotografia) e a «tutte le sue forme e possibili variazioni», il Victoria &
Albert Museum di Londra ha ora allestito una mostra, Che Guevara.
Revolutionary and Icon, che resterà aperta fino al 28 agosto e che comprende
riproduzioni, poster, fotografie, disegni e memorabilia di tutto il mondo,
dall'Inghilterra al Vietnam, dal Nicaragua alla Cina, tutti ispirati dallo
scatto di Korda. «Questo ritratto del Che - scrive nella sua introduzione Trisha
Ziff, curatrice della mostra - è una astrazione ideale trasformata in un simbolo
che al tempo stesso resiste alle interpretazioni ed è infinitamente malleabile.
Un ritratto che è stato oggetto di caricature e di parodie, e contemporaneamente
è stato usato come commento politico su problemi assai diversi fra loro, dal
debito dei paesi del Terzo Mondo all'antiamericanismo, dall'identità
latinoamericana ai diritti dei gay e delle popolazioni indigene».
Del resto, basta fare un giro nello shop del museo londinese per trovare il
volto affascinante e imperioso di Ernesto «Che» Guevara su t-shirts, penne e
matite, grembiuli da cucina, berretti, tazze. E la mostra, compatta e bene
organizzata, testimonia con grande efficacia il passaggio di questo ritratto
dallo status di icona, di universale simbolo anti-imperialista, a quello della
massima parodia del kitsch, immagine demistificata proprio perché ripetuta a
dismisura. In fondo, Andy Warhol non ha forse detto che ogni opera d'arte - nel
momento stesso in cui viene riprodotta e moltiplicata - può essere consumata
come una qualsiasi merce sullo scaffale di un supermercato?
Eppure, in sé la fotografia appare a prima vista ordinaria, non certo diversa da
molte altre che Korda ha realizzato nella sua galleria di immagini della
rivoluzione cubana: un primo piano del Comandante in bianco e nero, senza
particolari angolazioni, ombre né giochi di luci. Ma la potenza della fotografia
è tutta nello sguardo del guerrigliero argentino, in quello sguardo che sembra
puntare verso qualcosa che non si vede ma che intere generazioni continuano a
sognare: il futuro. Come commenta Ziff, riecheggiando le teorie di Walter
Benjamin, «l'unicità di questa fotografia non è in quello che si vede ma in
quello che si immagina».
Nato nel 1928 all'Avana, Alberto Diaz Gutierrez detto «Korda», che fra il 1959 e
il 1962 lavorava per il quotidiano cubano Revolución e da anni era
diventato il fotografo personale di Castro, accompagnandolo nei suoi viaggi, non
aveva inizialmente previsto un successo così pervasivo per il suo Guerrillero
Heroico. L'immagine infatti rimase nella collezione personale di Korda per
sette anni prima che Giangiacomo Feltrinelli ne restasse colpito e ne ricevesse
in dono una copia per farne un poster, poi esposto alla Fiera del Libro di
Francoforte. Proprio in quegli stessi giorni il Comandante «Che» Guevara veniva
catturato in un'azione militare guidata dalla Cia e, il 9 ottobre 1967, ucciso a
sangue freddo. Un'altra immagine fece allora velocemente il giro del mondo,
quella spietata e cruda di un uomo assassinato, disteso su un tavolo polveroso:
un Cristo morto del Mantegna rivisitato in una chiave ferocemente contemporanea.
Fu quindi soltanto dopo la morte del Che che lo scatto di Korda cominciò a
trasformarsi in quella icona onnipresente e multiforme che oggi tutti conoscono.
Da parte sua il fotografo, morto nel 2001 a Parigi e sepolto a Cuba, non ha mai
cercato riconoscimenti economici, ma si è sempre dichiarato a favore della
riproduzione della sua fotografia, purché questa servisse «a propagare la
memoria del Guerrillero Heroico». Una memoria ancora oggi molto viva, se si
pensa che solo durante la prima settimana dopo l'inaugurazione, quasi duemila
persone hanno visto la mostra del Victoria & Albert Museum. (Evidentemente
consapevole della forza del mito oltre i confini londinesi, il museo ha anche
allestito una interessante esposizione virtuale, che si può visitare in rete
all'indirizzo www.vam.ac.uk/vastatic/microsites/1541_che).
«Simile a Rashomon nelle sue molteplici apparizioni - osserva ancora Trisha Ziff
- il Guerrillero Heroico è rimasto fluido, e insieme potente, e il suo
significato appare chiaro anche a coloro che sanno poco dell'uomo». Come il
giovane londinese che, esibendola sulla sua t-shirt aderente sul petto
muscoloso, chiede perplesso: «Was he a football player from South America?».
Era un calciatore sudamericano? Non proprio.