E' bastato un insistito tam-tam di blog
degli esiliati anticastristi di Miami e di agenzie nordamericane, più o meno
credibili, sull'insorgere nell'isola di un focolaio di dengue, per sbattere
nuovamente Cuba in prima pagina. La dengue, infermità trasmessa da insetti
ematofagi, generalmente zanzare che sviluppano una forma di influenza
accompagnata da invalidanti dolori alle ossa, e che può causare anche la morte,
non è la prima volta che compare nell'isola della revolución e finora è sempre
stata domata grazie a un'efficienza comprovata nella protezione civile e un
sistema sanitario unico nel continente.
Il pessimismo dei toni sull'«emergenza in atto a Cuba» è così accentuato da
suggerire perplessità. Perché solo un paio di settimane fa, è scoppiato negli
Stati uniti (non ripreso stranamente dai nostri media) lo scandalo dei dieci
giornalisti ingaggiati dal Dipartimento di stato, con cifre consistenti (uno
addirittura con una prebenda di 171 mila dollari), per inventare e divulgare
notizie false o dannose su Cuba.
L'amministratore del prestigioso Miami Herald, per esempio, per questa vicenda
ci ha rimesso la testa. La proprietà, molto sensibile al violento mondo degli
esiliati cubani della Florida, lo ha infatti dimesso ma non perché coinvolto in
questo spregiudicato mercato, al contrario perché, dopo un'indagine interna
durata alcuni mesi, aveva individuato e licenziato due editorialisti e un
cronista che avevano accettato di farsi comprare. La proprietà ha invece
giudicato i soldi che questi «giornalisti liberi» ricevevano dal Dipartimento di
stato come il pagamento delle collaborazioni da loro fatte a Radio e TeleMartì,
le stazioni anticubane create dal governo di Washington. E quindi ha assolto il
loro comportamento e licenziato il povero amministratore che credeva nell'etica
del mestiere.
Una certa cautela quindi nel cavalcare determinate notizie tanto insistite negli
ambienti dell'esilio cubano sarebbe certamente auspicabile, perlomeno alla luce
di inquietanti precedenti che sollevano parecchi dubbi.
Nel 1997, per tentare di allontanare dall'isola i turisti e atterrare
l'industria più fiorente del paese si puntò sugli attentati terroristici
organizzati da Luis Posada Carrilles per la fondazione cubano-americana di
Miami, in uno dei quali morì l'imprenditore italiano Fabio Di Celmo. Adesso non
sarebbe sorprendente se, per ottenere gli stessi risultati, quello stesso mondo
perverso avesse puntato su un'insistita campagna di allarme sulla dengue.
Oltretutto i contro rivoluzionari di Miami, massimi destinatari dei 60 milioni
di dollari stanziati dal Congresso (unitamente agli 80 del budget personale del
Presidente) per favorire un «cambio democratico» a Cuba, devono, in qualche
modo, giustificare questi soldi del contribuente nordamericano del quale fanno
un uso disinvolto e spesso inquietante.
E poi la storia dell'uso della dengue e di armi biologiche nell'insensata guerra
di questi gruppi alla Revolución c'è chi non l'ha dimenticata. Uno di questi è
William Blum, ex funzionario del Dipartimento di stato che lasciò per protesta
dopo gli eccessi nordamericani nella guerra in Vietnam. Blum, dopo aver fondato
il Washington Free Press, è diventato uno degli storici più attenti della
politica estera Usa degli ultimi 50 anni.
Nel suo saggio La rivoluzione imperdonabile pubblicato nel libro «Il terrorismo
degli Stati uniti contro Cuba», ricorda, per esempio, che nel 1971 la Cia
consegnò agli esuli cubani un virus in grado di scatenare la peste suina
africana (Psa) e che nel giro di sei settimane nell'isola esplose un focolaio
della malattia che costrinse ad abbattere mezzo milione di maiali per impedire
il dilagare dell'epidemia in tutto il paese. Blum segnala anche che dieci anni
dopo, probabilmente, lo stesso infame metodo per favorire un'epidemia fu messo
in atto proprio con la dengue: 300 mila casi, 158 morti, dei quali purtroppo 101
bambini.
Allarma sapere, come sottolinea Blum, che già nel '67 la rivista Science
informava che presso i laboratori di Fort Detrick nel Maryland la dengue
figurava tra «le infermità oggetto di costanti ricerche nell'ottica, a quanto
risulta, di un possibile utilizzo nel quadro di una guerra biologica». Ed è
ancora più agghiacciante apprendere che nel 1984, un esule cubano, Eduardo
Arocena, dirigente dell'organizzazione terroristica anticastrista «Omega 7»
sotto processo a New York abbia dichiarato davanti al giudice, che, negli ultimi
mesi dell'80, una nave era salpata dalla Florida alla volta dell'isola con
l'incarico di «trasportare batteri da introdurre sul territorio cubano nel
quadro di una sorta di guerra chimica per colpire le strutture sovietiche
nell'isola». Una trama criminale poi abbandonata perché gli stessi esuli si
resero conto che quella strategia non avrebbe nuociuto solo ai sovietici ma
anche ai connazionali, quindi a parenti o amici rimasti in patria.
Possibile che questi metodi (compresa la speculazione mediatica di una emergenza
sanitaria) siano ancora di moda nell'assurda e incessante guerra degli Stati
uniti a Cuba? E che diversi mezzi di comunicazione l'accettino senza sentirsi
offesi?
g.mina@giannimina.it