Fidel Castro sta migliorando, la
situazione è sotto pieno controllo, nessuna ragione particolare per la sua
vistosa assenza dalla scena pubblica dal 31 luglio, che il mondo esterno e in
primis gli americani prendano nota di come hanno reagito la rivoluzione e il
popolo cubano.
Raul Castro per la prima volta da quando è diventato il numero uno ha parlato.
Domenica scorsa aveva già rotto il «silenzio» fisico che l'aveva fatto sparire
dalla scena pubblica dal 31 luglio, il giorno in cui il lider maximo è stato
operato e gli ha delegato i poteri, andando all'aeroporto José Martì a ricevere
Hugo Chavez e poi apparendo nelle foto di gruppo insieme al presidente
venezuelano e a Fidel nella camera d'ospedale. Ieri ha rotto il silenzio con la
lunga intervista apparsa sul Granma.
Raul ha detto al direttore del giornale, Lazaro Barredo Medina, che il fratello
«sta migliorando» con «un recupero graduale e soddisfacente», grazie alla
dedizione e competenza dei medici cubani (e questo è ovvio) ma anche e
soprattutto «alla sua eccezionale tempra fisica e mentale». E questa è una buona
notizia perché significa che anche se l'operazione è stata sicuramente pesante,
Fidel potrà riprendersi e dare il tempo ai cubani ma non solo a loro di
abituarsi a una Cuba che prima o poi dovrà fare a meno di lui (nel bene e nel
male). La «prova generale» non è stata inutile.
Nell'intervista Raul ha rivelato che il giorno dopo avere avuto la delega del
potere, ha subito dato corso al piano «difensivo» già deciso con Fidel nel
gennaio dell'anno scorso per mettere al riparo il paese da ogni «interferenza
straniera» (immaginarsi quale). Anche perché «non potevamo scartare il pericolo
che qualcuno si montasse la testa, o che si montasse ancor di più la testa,
all'interno del governo nord-americano».
Il piano prevedeva la mobilitazione non solo dell'esercito ma di centinaia di
migliaia «di riservisti e di componenti delle milizie popolari», forse fino ai
giovani pionieri. «Non abbiamo mai sottovalutato la minaccia del nemico - dice
Raul -. Sarebbe irresponsabile farlo di fronte a un governo come quello degli
Stati uniti che dichiara, con la maggior sfrontatezza, che non accetta quanto
stabilito dalla costituzione cubana. Da quel pulpito, come se fossero i padroni
del pianeta, dicono che qui deve esserci una transizione a un regime sociale che
sia di loro gradimento e che "prenderanno nota di quanti vi si oppongano". Per
quanto sembri incredibile, quest'attitudine da bullo di quartiere, che è anche
una grande idiozia, l'ha presa il presidente Bush solo qualche giorno fa». Raul
non rinuncia a mandare un messaggio non solo a Bush ma anche a quelli che
definisce «gli annessionisti pagati dalla Sezione di interessi Usa qui a
l'Avana»: sono loro, dice, che è bene che «prendano nota». Cuba, in un momento
così drammatico, «ha dato un grande prova di assoluta tranquillità e fiducia in
se stessa».
Quanto agli interrogative sollevati soprattutto dalla stampa internazionale
sulla sua prolungata «assenza» dalla scena pibblica, dice che quei commenti «non
mi hanno neanche sfiorato» perché «io non sono abituato ad apparire molto in
pubblico, eccetto quando è necessario» e «io sono sempre stato discreto e
continuerò ad esserlo». Anche in questa occasione, come per ribadire la
normalità della situazione e la soliditù delle istituzioni, «non era necessario»
che lui apparisse. Anche perché «molti dei compiti legati alla difesa non
possono essere svolti alla luce del sole e devono essere maneggiati con la
massima cura».
Insomma per Raul tutto bene, tutto tranquillo, tutto sotto controllo: «Abbiamo
dato una prova di maturità, serenità, unità monolitica, disciplina, coscienza
rivoluzionaria e fermezza», come ai tempi della crisi dei missili del '62. Per
lui «nessun dubbio: fino a che saremo così, nessun nemico potra sconfiggerci».