Il presidente Bush adotta
una nuova strategia per il cambiamento dei regimi a lui sgraditi e
sceglie Cuba come banco di prova: ai golpe degli anni
Cinquanta-Settanta, e alle guerre dell'ultimo decennio, sostituisce
i finanziamenti «alla transizione dalla repressione alla
democrazia».
Promette che alla morte di Castro, che ad agosto compirà 80 anni, a
Cuba «non ci sarà una successione», cioè il passaggio delle consegne
al fratello Raul, che ne ha 75, bensì «un governo ad interim che
organizzerà elezioni multipartitiche, libere e imparziali». Stanzia
80 milioni di dollari, in aggiunta ai 70 milioni stanziati dal
Congresso per il 2007 e 2008, per aiutare «i coraggiosi leader
dissidenti e i cubani che ancora tacciono per paura ma sognano un
futuro migliore». S'impegna da un lato a fare pervenire all'isola
«informazioni senza censura» e dall'altro ad «aumentare le pressioni
economiche» - le sanzioni - per indebolire Castro.
Il piano di Bush, intitolato «Contratto coi cubani», viene esposto
in un rapporto di 90 pagine della «Commissione d'assistenza a Cuba
libera». Il rapporto, coordinato dal segretario di Stato Condi Rice,
dal suo «castrologo» Caleb McCarry e dal ministro del Commercio,
Carlos Gonzales, ammonisce che «non si può aspettare il cambiamento
a Cuba, ma bisogna lavorarci». Elenca una serie di iniziative,
dall’«isolamento diplomatico» di Castro e del fratello alla
«creazione di una società civile» nell'isola. Sottolinea che
l'Amministrazione Usa «è pronta a fornire aiuti umanitari ed
economici e a partecipare alla ricostruzione» nel dopo castrismo.
Nelle parole della Rice, che ha chiesto l'appoggio internazionale al
piano, «esso preparerà i cubani per il giorno in cui deporranno la
dittatura, sceglieranno il governo e recupereranno la loro
sovranità».
La nuova strategia di Bush ricorda la vecchia strategia del
predecessore Clinton nei confronti dell'Iraq: Clinton stanziò fondi
per un cambiamento di regime a Baghdad, ma inutilmente. Il
«Contratto coi cubani» si propone di evitare un fiasco con alcuni
interventi diretti. Uno sarà un tentativo di spezzare l'asse
Cuba-Venezuela mettendo in difficoltà il leader venezuelano Chávez
con mezzi imprecisati: significativamente, certi passi del rapporto
sono segreti. Un secondo sarà la pubblicazione di una «lista degli
sbirri» a Cuba, vale a dire dei violatori dei diritti umani, polizia
politica, leader del partito e così via, con preannuncio di un duro
regolamento di conti quando e se avrà luogo il cambio della guardia.
Un terzo, ha affermato McCarry, sarà «la nostra collaborazione con
le forze democratiche» nell'isola.
Se Bush si aspettava l'applauso dei dissidenti cubani, è rimasto
deluso. L'economista Oscar Espinosa Chepe, condannato a vent’anni di
carcere nel 2003 ma rilasciato per ragioni di salute, ha protestato
all'Avana che «siamo noi a dovere risolvere i problemi, le
interferenze straniere, per quanto bene intenzionate, complicano
solo la situazione». Un secondo dissidente, Elizardo Sanchez, ha
lamentato che «piani del genere siano controproducenti, portino a
una maggiore repressione». E a Washington, un rifugiato
anticastrista, Eusebio Mujal Leon, ha accusato l'Amministrazione Usa
di «non capire il nazionalismo cubano e latino americano» osservando
che con metodi come questo il bushismo «si è inimicato una parte
dell'Emisfero occidentale».
A L'Avana il presidente dell'Assemblea nazionale Ricardo Alarcon ha
invocato il sostegno del Centro e Sud America contro «l'imperialismo
Usa». A Washington, senza peraltro opporsi espressamente al piano, i
democratici hanno criticato Bush: «Lo ha presentato per conquistare
il voto degli emigrati cubani alle elezioni congressuali a novembre»
ha sostenuto il deputato John Emanuel. Ma la nuova strategia per il
cambiamento dei regimi sembra piacere al presidente, che di fatto ha
abbandonato la propria dottrina della guerra preventiva. Bush, che
ha detto più volte di volere aiutare il popolo iraniano a
riconquistare la libertà, ha ottenuto finanziamenti di circa 100
milioni di dollari per una campagna contro gli ayatollah.