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27 aprile 2006
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Saul Landau
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I cinque cubani e l'ossessione
di George Bush
La sindrome anticastrista: una
storia censurata dai media occidentali
I cinque agenti dell'intelligence dell'Avana che hanno smascherato il terrorismo
di Washington contro Cuba marciscono in galera da sette anni, dopo una condanna
per spionaggio. Sentenza inconcepibile, anche negli Usa
Dovete pensare ai «Cinque cubani» come a delle
vittime del disturbo ossessivo-compulsivo che affligge George W. Bush. I fatti:
cinque giovani cubani, negli anni Novanta, furono inviati di nascosto negli
Stati uniti per infiltrarsi nei gruppi terroristici anticastristi. Ora sono
reclusi in carceri nordamericane. Funzionari del governo dell'Avana ammettono di
aver mandato quegli agenti dell'intelligence perché l'Fbi non si impegnava a
tener sotto controllo le attività eversive contro Cuba. Ma, invece di prendere
in considerazione le informazioni raccolte da questi agenti sui progetti
terroristici nei confronti dell'Isola, il pubblico ministero del Dipartimento di
giustizia di Miami, l'8 giugno 2001 li ha processati e condannati per spionaggio
e complicità in omicidio (l'abbattimento da parte della contraerea cubana di due
piccoli aerei Cesna usati dal gruppo terrorista controrivoluzionario dei
«Fratelli del Riscatto» che avevano violato per diverso tempo lo spazio aereo
cubano, ndr).
Tre anni fa, in un seminario di studiosi latinoamericani, un erudito
anticastrista dichiarò che «il processo alle spie cubane in Florida avrebbe
potuto tradursi in imputazioni di omicidio per il dittatore». Si divertiva con
la fantasia, sognando di far comparire Fidel Castro dinanzi a un tribunale
statunitense.
Un drappello di fanatici
La strategia del gruppo di pressione anticastrista che usava i cinque cubani per
tentare di intrappolare Castro funzionò. Il presidente Bush junior era in debito
con questo piccolo drappello di fanatici, non solo perché avevano contribuito in
modo sostanziale alla sua vittoria elettorale del 2000, ma anche per aver fatto
in modo che la gente votasse presto e in massa e infine per aver aiutato a
intimorire chi faceva il conteggio dei voti in Florida. Inoltre avevano
sostenuto, nel 2002, la rielezione di suo fratello Jeb a governatore della
Florida. Il nuovo presidente aveva cominciato a pagare il suo debito addirittura
prima dell'11 settembre. Nel fondo del suo cuore, Bush junior sapeva distinguere
i terroristi «buoni» da quelli «cattivi». (...) I terroristi musulmani (una
forma estremista di paganesimo) sono diventati i nemici della libertà, mentre i
terroristi anticastristi sono i difensori della libertà.
L'Fbi, che, nel 2001, praticamente ha permesso fosse archiviato senza soluzione
il diabolico caso dell'antrace, aveva sprecato infinite ore a seguire le tracce
dei Cinque cubani, che a loro volta setacciavano i gruppi terroristici.
La generosità di Bush si estendeva anche a persone meno importanti. Il 20 maggio
2002 il servizio segreto aveva permesso a Sixto Reynaldo Aquit Manrique (noto
anche come el chino - il cinese Aquit) di sedere qualche fila dietro il
presidente nella tribuna dalla quale questi aveva parlato a Miami. Eppure, il
servizio di sicurezza del presidente sapeva che il 2 novembre 1994 il reparto
antiterrorismo dell'Fbi aveva arrestato Aquit, dopo che con due complici erano
entrati in un magazzino del Sudovest di Miami-Dade armati di 40 litri di
benzina, micce e un'arma semiautomatica carica. Il Miami Herald del 4 novembre
1994 aveva riportato le parole della polizia: «Quando gli agenti sono
intervenuti, gli uomini avevano già rotto una finestra cercando di entrare». Un
tribunale della Florida aveva condannato Aquit a cinque anni di detenzione. Poi,
inspiegabilmente, il governo aveva accettato che l'imputato si dichiarasse
colpevole di un reato minore, e questa mossa gli aveva permesso di evitare la
prigione e passare meno di due anni agli arresti domiciliari. Il governo aveva
trattato con indulgenza un soggetto coinvolto in una chiara azione terroristica.
Un anno prima del suo reato commesso a Miami nel 1994, Aquit aveva sparato con
una mitragliatrice calibro 50 contro una nave cisterna cipriota in acque cubane.
Insomma, un «buon terrorista» si può sedere vicino al presidente senza
contraddire le nuove regole di sicurezza di Bush Jr. Cercare di affondare una
nave da carico e incendiare un magazzino non costituiscono atti di terrorismo,
se sono motivati da intenzioni anticastriste. Anche Bush padre aveva trascurato
le opinioni dell'Fbi e del Servizio per l'Immigrazione e la Naturalizzazione (Ins)
quando aveva ordinato di interrompere la detenzione da parte dell'Ins per
Virgilio Paz e José Dionisio Suárez, entrambi rei confessi di aver piazzato a
Washington, nel 1976, una bomba sull'auto dell'ex ministro degli Esteri cileno
(del governo di Salvador Allende, ndr) Orlando Letelier e della sua compagna
nordamericana Ronni Moffitt per assassinarli.
Il presidente Bush e suo fratello Jeb continuano ad accettare per le loro
campagne elettorali contributi e appoggi provenienti da terroristi
anticastristi, i quali hanno ucciso e messo bombe come gli pareva, ma sono
rimasti praticamente immuni da indagini e processi negli Stati uniti. Dagli anni
Settanta, l'Fbi possiede informazioni che evidenziano il collegamento tra molti
di questi leader estremisti e numerosi omicidi, sabotaggi e altre forme di
terrorismo contro Cuba, perpetrati su bersagli che si trovavano anche in
Giamaica, alle Barbados, in Messico, a Panama o negli stessi Stati uniti, ma non
ha preso provvedimenti.Il presidente della Fondazione nazionale cubana-americana
(Fnca), Mas Canosa (ora defunto), e la sua organizzazione sono diventati così
sempre più ricchi e forti di agganci politici.
Quella volta a Panama
Il 17 novembre 2000, le autorità panamensi avevano arrestato quattro cubani con
precedenti penali di estrema violenza e vincoli stretti con la Fondazione
Nazionale Cubano-Americana. Le loro età, comprese fra i cinquanta e i settant'anni,
facevano di Luis Posada Carriles, Ignacio Novo Sampol, Pedro Remón e Gaspar
Jiménez il gruppo di «vecchiacci assassini» della Fondazione. La polizia
panamense aveva trovato esplosivi nelle loro macchine a noleggio, con le loro
impronte digitali impresse sul pericoloso materiale. Funzionari
dell'intelligence dell'Avana avevano avvertito i colleghi panamensi che quei
fondatori del club «Uccidete Fidel» erano entrati nel loro paese per assassinare
il presidente cubano, che in quei giorni assisteva al summit dei capi di stato
latinoamericani. Posada Carriles, il leader, era fuggito da Cuba nel 1959. Era
stato agente di polizia durante il governo del dittatore Fulgencio Batista. In
seguito aveva dedicato la maggior parte della sua vita a cercare di assassinare
Castro, lavorando al servizio della Cia e, secondo le sue stesse parole, per
Jorge Mas Canosa. Nell'ottobre del 1976 Posada aveva collaborato con il suo
collega terrorista Orlando Bosch per far saltare in aria un aereo di linea
cubano poco dopo uno scalo alle Barbados. Proprio come Posada Carriles, il
dottor Bosch si era vantato del ruolo svolto in quell'atto terroristico che
aveva causato la morte di settantatré persone.
Le autorità venezuelane avevano arrestato entrambi i terroristi, ma Posada
Carriles aveva convinto il suo socio Mas Canosa a sborsare 50.000 dollari per
corrompere i dirigenti della prigione. Dopo averli tirati fuori dal carcere
venezuelano, Mas Canosa aveva trovato loro lavoro presso il colonnello Oliver
North, che li aveva ingaggiati per la «guerra sporca» dei contras in America
Centrale. Un'operazione sulla quale l'allora vicepresidente Bush senior
esercitava un controllo non proprio occasionale. Poi, nel 1990, in Guatemala,
alcuni sconosciuti avevano sparato in faccia a Posada Carriles, che, appena
guarito, aveva iniziato la sua attività terroristica contro il turismo cubano.
Il 12 luglio 1998 si era vantato con un reporter del New York Times dell'aiuto
che gli aveva prestato Mas Canosa, a metà degli anni Novanta, allo scopo di
finanziare la sua campagna per piazzare una serie di bombe in località
turistiche dell'Isola, con l'intento di scoraggiare questa attività. Una di
quelle bombe aveva provocato la morte di un imprenditore italiano, Fabio Di
Celmo.
In quello stesso articolo del New York Times si leggeva che «Posada Carriles,
con un sorrisino nervoso, aveva definito la morte dell'italiano come un
incidente imprevisto». Aveva dichiarato, tuttavia, di avere la coscienza a
posto: «Dormo come un bambino». E aveva aggiunto: «È un peccato che qualcuno sia
morto, ma non possiamo fermarci. Quell'italiano si trovava nel posto sbagliato
al momento sbagliato». Poi, il 20 aprile 2004 un tribunale di Panama aveva
dichiarato Posada Carriles e gli altri tre imputati colpevoli di minaccia alla
sicurezza pubblica e falsificazione di documenti, ma non di tentato omicidio nei
confronti di Fidel Castro. Posada Carriles era stato condannato a otto anni di
prigione, Novo e Remón a sette anni e Jiménez a otto (sentenza vanificata, nel
agosto 2004 da un atto della presidentessa di Panama Mireya Moscoso, molto
legata a Jeb Bush che prima di lasciare il suo incarico al successore Torrijos
aveva liberato i colpevoli, li aveva messi su un aereo e li aveva mandati al
sicuro negli Stati uniti, ndr).
La benevolenza di Washington
Così, la benevolenza del governo Usa verso i
terroristi tesi ad annientare Cuba ha obbligato i servizi segreti dell'Isola a
infiltrare degli agenti a Miami. Dopo sei mesi di processo, la giuria, riunita
in camera di consiglio per quattro giorni, ha dichiarato i cinque agenti cubani
colpevoli di spionaggio e, per quanto riguarda Hernández, di aver collaborato
all'abbattimento degli aerei dei Fratelli per il riscatto. Nel processo,
però, gli avvocati delle «spie» avevano presentato testimonianze che provavano
come il governo cubano per quasi due anni avesse avvertito le autorità degli
Stati uniti del fatto che gli aerei dei Fratelli per il riscatto avevano
continuato i loro raid su Cuba, addirittura lanciando volantini eversivi.
(nell'agosto 2005 la Corte di Appello di Atlanta, ritenendo fossero stati
violati diversi diritti degli imputati, ha revocato il verdetto e ha chiesto il
rifacimento del processo).
C'è un piccolo settore di Miami, dove l'ossessione anticastrista prevale su
qualunque altro accadimento e risalta come una evidente contraddizione nella
guerra di Bush contro il terrorismo. Anche il candidato democratico John Kerry,
pronto a dichiarare che se fosse stato eletto avrebbe avuto mano dura con
Castro, ha ceduto di fronte alla stupidità del piccolo gruppo di esiliati di
estrema destra che tiene con forza nei suoi pugni minacciosi la politica
Usa-Cuba. Intanto, cinque coraggiosi cubani marciscono, ormai da sette anni,
nelle prigioni degli Stati uniti. Dovremo aspettare che la scienza medica
perfezioni il trapianto di spina dorsale perché un presidente degli Stati uniti
riesca a strappare la gestione della politica nei riguardi di Cuba dalle mani di
questi rabbiosi esiliati?