Quei primi otto

giorni di gennaio

9.1.06 J.Nuiry

 

Il 31 dicembre 1958 decidemmo assieme ad un gruppo di combattenti, dopo aver accumulato un compito dietro l’altro e immersi nell’offensiva finale della Colonna n.1 José Martí, sotto il comando personale di Fidel Castro, di fermarci a dormire in una casa situata all’uscita di Palma Soriano, nelle immediate vicinanze del Río Cauto, chiamata La Cuchilla. Nelle prime ore del 1º gennaio venimmo a conoscenza della fuga di Batista, così come di alcuni fatti che stavano avvenendo nella capitale.

 

Partimmo senza perdere tempo in direzione della Central América, dove dal 19 dicembre aveva sede il Comando Generale dell’Esercito Ribelle. Quando arrivammo sul posto, Fidel Castro uscì da una casa le cui pareti erano tavole e con il tetto di zinco. Dal rustico ingresso dell’abitazione Fidel dichiarò: “È un vile tradimento. Pretendono di strappare il trionfo al popolo. Rivoluzione si! Colpo di Stato no!”

 

In una mano teneva uno dei documenti più importanti del nostro processo, che con una grande visione politica fissò la vera posizione della Rivoluzione in un momento cruciale. Fidel lesse con voce ferma e vibrante il documento ad un gruppo di compagni che lo attorniavano. A noi tutti venne il nodo alla gola.

 

Il Capo della Rivoluzione, dominando pienamente la situazione, manifestò: “Non dobbiamo cessare il fuoco”. Tutto avvenne come in una successione d’immagini. Fidel si moltiplicò, impartì ordini precisi. L’assedio dell’Esercito Ribelle su Santiago di Cuba si strinse ancora di più.

 

Ordinatamente, attorno alle 9 del mattino, una piccola carovana guidata da Fidel e dall’indimenticabile Celia si diresse dalla Central América verso l’Impianto Mobile di Radio Rebelde, 7-R-R, situato a Palma Soriano. Da lì tutti gli impianti ritrasmisero la storica e precisa allocuzione di Fidel al popolo di Cuba, che lanciò un appello alla preparazione dello sciopero generale rivoluzionario per fronteggiare la manovra traditrice in corso nella capitale del paese. Subito dopo l’allocuzione comunicai da quegli stessi microfoni, a nome della Federazione Studentesca Universitaria, il pieno sostegno degli studenti cubani agli orientamenti del leader della Rivoluzione.

 

Presto apparvero segnali di trattativa. Arrivammo fino ai colli dell’Escandel, dove osservammo confondersi le uniformi verde olivo con i kaki gialli. Ufficiali dell’Esercito con il braccialetto rosso e nero del 26 Luglio ...inneggiavano alla Rivoluzione e, in un clima di grande aspettativa, il Colonnello Rego Rubido dichiarò la resa...

 

Quando cominciammo a scendere da quelle colline, in una lunga fila, verso l’eroica città di Santiago di Cuba, assieme al leader della Rivoluzione, cademmo in preda ai ricordi. Pensavamo ai caduti, all’opportunità di trasformare in realtà il lascito martiano, di farla finita con la dipendenza e la subalternità. Avvicinandoci già all’imbrunire alla culla dei Maceo e del Moncada, vedevamo rinascere la luce dall’ombra, era la luce della speranza.

 

Fidel annunciò dai balconi dell’amministrazione comunale di Santiago di Cuba la marcia dell’Esercito Ribelle verso L’Avana. Non è facile sintetizzare così tante emozioni. Ma lo spazio a disposizione si impone sui desideri. Così quel vittorioso Esercito Ribelle, che rompendo gli schemi aveva vinto la guerra contro un poderoso esercito professionale equipaggiato e consigliato dagli Stati Uniti, si stava dirigendo verso la capitale, con i loro vestiti logori. Senza ricami né orpelli. Ma esisteva qualcosa che li identificava: i loro ideali e le loro barbe. Erano i ‘barbudos’ di Fidel ed impugnavano ben strette le loro armi, che avevamo strappato quasi tutte al nemico.

 

Quanti ricordi ci stanno portando quei giorni indimenticabili! A volte penso: come potremmo trasmettere alle nuove generazioni le immagini di quella giornata durante la quale attraversammo città e villaggi, in mezzo ad una folla infervorata e festante? Uomini, donne, anziani e bambini si raggruppavano da entrambe le parti della strada, riempivano le piazze dove si effettuavano gli atti. Il grido di Fidel! Fidel! si ripeteva. Era una costante. Dormivamo dove ci sorprendeva la notte. La storia di Cuba non ricorda niente di simile.

 

Il 2 gennaio la Carovana della Libertà uscì da Santiago di Cuba diretta verso occidente. Bayamo, Holguín, Victoria de Las Tunas. Il giorno 5 entrammo nella provincia di Camagüey. Ricordo che Fidel dovette svolgere alcune importanti riunioni di consultazione dentro un aereo nell’Aeroporto della capitale Agramontina. Continuammo verso Sancti Spíritus, Santa Clara e poi Cienfuegos. Il giorno 7 entrammo in provincia di Matanzas...Cárdenas...Il giorno 8, all’alba, arrivammo nella capitale...

 

Atti, discorsi, riunioni, decisioni, abbracci, strette di mano, baci, ore senza dormire e senza riposarsi si mescolavano alla gioia, al pianto ed ai sorrisi. Sui volti del popolo l’allegria di vedere la realtà di un sogno.

 

Nel corso di questo indimenticabile tragitto durato dal 2 all’8 gennaio, solamente Fidel deviò dalla Strada Centrale in due occasioni: una per dirigersi a Cienfuegos e l’altra a Cárdenas, al cimitero, a rendere un affettuoso e rispettoso omaggio alla tomba di José Antonio Echeverría. Quanto simbolismo! Le parole sono di troppo.

 

L’ingresso a L’Avana è indescrivibile.

 

Alla fine del tragitto, in mezzo a quella folla, arrivammo all’Accampamento di Columbia. Più che camminare, venimmo spinti verso quella piccola tribuna nel Poligono di Columbia.

 

La presenza di Fidel, attesa non solo nazionalmente ma anche internazionalmente, venne annunciata dalla voce femminile di Radio Rebelde, Violeta Casal. Era la prima volta che il popolo poteva contemplare in televisione la figura leggendaria, il volto del leader della Rivoluzione ed ascoltare la sua voce, in un linguaggio diverso e diretto, che riusciva a comunicare rapidamente con le masse.

 

La voce di Fidel si innalzò tra la moltitudine: “Il popolo ha vinto la guerra, deve prepararsi per la pace e conquistare l’avvenire”, per poi riaffermare che “Il destino della patria non ci può venire nuovamente rubato”.

 

Cuba, l’America e il Mondo poterono ascoltare ed apprezzare il leader della Rivoluzione cubana, fino a mezzanotte passata. Così trascorse quel giorno 8 gennaio 1959, “Anno della Liberazione”.