BREVE STORIA DI
CUBA
(Cuba come non
l’avete mai letta)
di Sergio Marinoni – Segreteria naz. Associazione nazionale di amicizia Italia-Cuba
Capitolo Primo: José Martí: un uomo di valore per ogni epoca Il 18 maggio 1895, il giorno prima di cadere colpito a morte durante una scaramuccia con gli spagnoli a Dos Ríos, nell’oriente cubano, José Martí scriveva al suo amico Manuel Mercado: "Ora posso scrivere… ormai rischio ogni giorno la vita per il mio paese e per il mio dovere… che è quello di impedire per tempo, realizzando l'indipendenza di Cuba, che gli Stati Uniti estendano il loro potere sulle Antille e che quindi, con questa nuova forza, dilaghino sulle nostre terre d'America. Quanto ho fatto fino a oggi, e quanto farò, non ha altro scopo… Ho vissuto nel mostro [gli Stati Uniti] e ne conosco le viscere, la mia fionda è quella di David". Erano trascorsi solo trentotto giorni dal suo sbarco a Cuba e i cubani, che pochi mesi prima - il 24 febbraio 1895 - avevano iniziato la loro Seconda Guerra di Indipendenza, hanno perso in questo modo il loro dirigente più autorevole. La lotta per raggiungere la vera indipendenza ha dovuto poi continuare per oltre sessant'anni, ma alla fine è diventata concreta l'affermazione di Martí che "un'idea, quando è giusta, anche dal fondo di una tomba vale più di un esercito". José Martí è nato il 28 gennaio 1853 da genitori spagnoli (il padre era di Valencia e la madre delle Isole Canarie). A quell'epoca nell'Isola vi erano tre correnti di pensiero: gli autonomisti, che chiedevano una speciale autonomia dalla Spagna; gli annessionisti, che volevano che Cuba entrasse a far parte degli Stati Uniti; gli indipendentisti, che lottavano per la totale indipendenza di Cuba. Quando nel 1868 Carlos Manuel de Céspedes aveva iniziato la lotta per la cacciata degli spagnoli, José Martí si era schierato a favore degli indipendentisti e già nel 1869, a soli 16 anni, fu arrestato e condannato ai lavori forzati in una cava di pietra, prima vicino a La Habana e poi all'Isola dei Pini. Nel 1871 la pena venne commutata nell'esilio e Martí fu deportato in Spagna, dove gli permisero di iscriversi all'università. Nel 1874 si laureò in Diritto Civile e Canonico. Alla fine dello stesso anno si laureò anche in Lettere e Filosofia, con il massimo dei voti. Viaggiò attraverso varie città europee e nel 1875 giunse in Messico dove fino al 1876 lavorò come giornalista e scrittore. Negli anni successivi, la sua vita si svolse - dopo una breve puntata clandestina a Cuba nel 1877 - tra il Messico e il Guatemala, dove lavorò come insegnante. Nel 1878 terminò a Cuba la Prima Guerra d'Indipendenza, durata dieci anni, con la sconfitta degli insorti, soprattutto a causa delle divisioni interne. Questo avvenimento fu fondamentale per lo sviluppo politico del pensiero di Martí: solo con l'unità è possibile raggiungere un obiettivo. Nella seconda metà dello stesso anno tornò a La Habana, grazie all'amnistia generale, ma gli venne negato il permesso di esercitare la professione di avvocato. Nel settembre 1879 fu arrestato per cospirazione e, di nuovo, venne deportato in Spagna. Dopo aver viaggiato in Spagna, Francia, Stati Uniti e Venezuela si stabilì a New York, dove lavorò intensamente come redattore, come corrispondente di giornali latinoamericani, diventando popolare in tutto il continente per il tenore dei suoi articoli. Svolse anche l'incarico, per un certo periodo, di console di alcuni paesi sudamericani. Nell'aprile 1892 fondò il Partito Rivoluzionario Cubano e fu eletto Delegato di questa organizzazione. Iniziò l'incessante lavoro politico e di coordinamento organizzativo di tutte le forze, riunite in un unico partito, che intendevano riprendere la lotta per l'indipendenza di Cuba dalla Spagna. La sua prematura fine non impedì il proseguimento della guerra, che lui definiva "guerra necessaria". Dopo tre anni di dura lotta, quando i cubani stavano per sconfiggere l'esercito spagnolo, gli Stati Uniti intervennero nella contesa e si appropriarono della vittoria. Dopo quattro anni di protettorato statunitense sull’isola, nel 1902 Cuba ottenne una caricatura di indipendenza e il sogno di Martí sembrò svanire. Nei decenni successivi vi furono molte ribellioni a Cuba, soffocate nel sangue sia dagli interventi militari dei marines nordamericani sia dalle repressioni poliziesche dei vari dittatori di turno. Infine, nel 1953, anno del centenario della sua nascita, un gruppo di giovani al comando di Fidel Castro decise di proseguire la lotta per la vera indipendenza nel nome degli ideali di Martí, contro l’ingerenza degli Stati Uniti e contro una classe politica cubana corrotta che pensava esclusivamente ai propri privilegi. I successivi avvenimenti storici sono noti: dall’assalto alla caserma Moncada al carcere nell’Isola dei Pini; dall’esilio in Messico allo sbarco del Granma; dalla lotta nella Sierra Maestra alla liberazione di tutta Cuba il 1° gennaio 1959. Ma la grandezza di José Martí non si limita solo alla concezione politica di aver capito in tempo la pericolosità degli Stati Uniti e della necessità per i cubani di unirsi in un unico partito. La grandezza di Martí la ritroviamo nel concetto della formazione completa dell’individuo attraverso l’educazione. “Essere colti è l’unico modo per essere liberi” ripeteva spesso, perché solo attraverso la conoscenza l’essere umano può capire e quindi prendere una decisione cosciente. La grandezza di Martí la ritroviamo nel rispetto e nell’apertura verso le altre culture, nell’attenzione verso gli sfruttati e i diseredati del mondo, nel considerare il termine Patria non limitato ai confini geografici o politici di una nazione. “La Patria è l’umanità”, è un’altra delle sue brevissime e incisive frasi che racchiude una concezione dell’uomo universale. Martí è stato anche un poeta, suoi sono i versi che i cubani cantano sulle note di “Guantanamera”, la canzone cubana famosa in tutto il mondo. E in questi versi, “Versos sencillos” (Versi semplici), compaiono spesso i concetti sopra esposti: “con i poveri della terra voglio condividere la mia sorte”, “la schiavitù degli uomini è la grande tristezza del mondo”, oppure “per chi opprime il mio cuore, non coltivo né cardi né ortiche, coltivo la rosa bianca”, nel significato che un nemico va combattuto in quanto oppressore, ma una volta finita l’oppressione non si deve provare risentimento tra gli uomini. Oggi a Cuba, in ogni centro educativo, dall’asilo infantile all’università, è presente un busto di Martí. Tutta l’educazione cubana è impartita nell’impronta di questo grandissimo uomo. “Il popolo più felice sarà quello che saprà educare meglio i suoi figli”, è un altro dei suoi concetti. Anche l’internazionalismo, presente in tutto il corso della Rivoluzione cubana, ha origine dal pensiero martiano: “Ogni uomo onesto deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato ingiustamente sulla guancia di qualsiasi altro uomo, in qualsiasi parte del mondo”, frase poi fatta propria da Ernesto Che Guevara. Sono passati oltre cento anni dalla sua morte, e Martí non solo è presente in ogni aspetto della Rivoluzione cubana ma, grazie ai suoi insegnamenti, ne costituisce uno dei punti di forza che ha permesso al popolo cubano di affrontare e di superare blocchi, aggressioni, menzogne e infamie di ogni tipo messi in atto nei suoi confronti: “Trincee di idee, valgono più di trincee di pietra”. Secondo capitolo: Il furto dell'Indipendenza di Cuba Fin dai primi anni dell'unione, gli Stati Uniti hanno avuto tra i loro principali obiettivi quello di impadronirsi dell'Isola di Cuba, per la sua posizione strategica che permetteva il controllo dell'entrata nel Golfo del Messico e dell'intero Mar Caribe. Era il 1808 quando venne fatta alla Spagna un'offerta per ottenere, acquistandola, la cessione di quella che allora era una sua colonia. La Spagna aveva "scoperto" Cuba il 27 ottobre 1492, quando Cristoforo Colombo mise piede sulle spiagge della baia di Bariay, nella costa nord dell'attuale provincia di Holguín. Dopo altri viaggi di esplorazione compiuti dagli spagnoli, nel 1510 Diego Velázquez iniziò la conquista dell'isola che proseguì, negli anni successivi, con una sistematica colonizzazione. Per quasi quattro secoli Cuba rimase sotto il dominio della Corona spagnola. Dal 1811 al 1822 quasi tutte le attuali nazioni che compongono il Centro e il Sud America riuscirono a liberarsi dal giogo spagnolo. Questo fatto era visto di buon occhio dagli Stati Uniti che avevano bisogno di avere le mani libere in tutto il continente americano e avevano concepito una politica che, nella pratica, si era tradotta in "l'America agli americani", o meglio "agli statunitensi". Questa politica era stata elaborata nel 1823 come "Dottrina Monroe", dal nome dell'allora Presidente statunitense James Monroe, ma in realtà venne delineata dal suo Segretario di Stato John Quincy Adams. Per quanto riguardava Cuba il concetto era quello della "frutta matura", cioè quando si fosse separata dalla Spagna, "per forza di gravità", come un frutto maturo cade verso terra, l'Isola sarebbe finita nell'orbita degli Stati Uniti. Altri tre tentativi di acquisto vennero effettuati nel 1848, nel 1854 e nel 1857, ma ogni volta la Spagna rifiutò le offerte statunitensi. In quel periodo, a Cuba furono appoggiate le azioni degli 'annessionisti' – i cubani che intendevano liberarsi dalla Spagna per annettersi agli Stati Uniti – ma la repressione spagnola vanificò questi tentativi. Gli Stati Uniti pensarono anche di strappare Cuba alla Spagna con la forza, ma questi piani non poterono essere messi in pratica per i problemi interni tra il Nord e il Sud e la successiva Guerra di Secessione (1861-1865) che avrebbe impegnato tutta la loro attenzione. La Prima Guerra di Indipendenza iniziò a Cuba il 10 ottobre 1868, quando un ricco possidente, Carlos Manuel de Céspedes, liberò i suoi schiavi chiedendo loro di confluire nella lotta contro gli spagnoli. Molti altri possidenti terrieri fecero la stessa cosa e anche semplici cittadini e contadini si unirono e combatterono con ogni tipo di arma – sono di quegli anni le famose cariche al machete – ma, nonostante il valore dei combattenti ribelli, dieci lunghi anni di guerra non servirono a raggiungere l'obiettivo, anche per le divisioni che vi erano all'interno della parte indipendentista. Nel 1878, con il Patto del Zanjón, fu firmata la fine delle ostilità tra cubani e spagnoli. Antonio Maceo, uno dei più valorosi generali cubani, non accettò l'accordo (Protesta di Baraguá) e proseguì i combattimenti – con 1.500 uomini contro 250.000 spagnoli - per altri due anni. Questo prolungamento della lotta è noto a Cuba come "Guerra Chiquita" (Guerra Piccola). Si dovette attendere il 1895 per iniziare una nuova Guerra per l’Indipendenza, questa volta con le forze riunite secondo la concezione martiana in un unico partito, il Partito della Rivoluzione Cubana, e per arrivare a formare una repubblica diversa dalle esperienze precedenti che José Martí aveva conosciuto in altre nazioni americane. La lotta si sviluppò da Oriente verso Occidente, con una graduale invasione condotta dalle forze dei mambises (così si facevano chiamare i ribelli cubani) al comando dei generali Máximo Gómez e Antonio Maceo. La tattica usata era la guerriglia e non quella di una guerra di posizione che avrebbe favorito gli spagnoli nettamente superiori in numero e in armamenti. Le numerose sconfitte subite portarono gli spagnoli a sostituire il generale Arsenio Martínez Campos con il generale Valeriano Weyler. Questi creò numerosi campi di concentramento in cui rinchiudere la popolazione che appoggiava i ribelli: il risultato fu di 400.000 morti di fame e di malattie. Nonostante questo fatto – oltre alla perdita di un uomo leggendario come Antonio Maceo – i cubani riuscirono a portare numerosi altri duri colpi all’esercito spagnolo, che si vide ben presto arroccato nelle città e ormai sulla difensiva. Anche Weyler venne sostituito con il generale Ramón Blanco. All’inizio del 1898 gli Stati Uniti presentarono alla Spagna una nuova offerta, la quinta, per acquistare l’isola e, mentre aumentavano le loro pressioni diplomatiche, il 15 febbraio la corazzata statunitense Maine, inviata nel porto di La Habana in visita di cortesia, esplose misteriosamente con 266 marinai a bordo. Il Governo degli Stati Uniti attribuì subito la colpa dell'esplosione agli spagnoli. Una frenesia di guerra scosse gli Stati Uniti, incoraggiata dalla stampa e alimentata in seno al Governo e al Congresso da sostenitori dell’azione immediata, corrente che era capeggiata dal Sottosegretario della Marina Theodore Roosevelt. Di fronte all’ulteriore rifiuto della Spagna di vendere Cuba, l'11 aprile il Presidente William McKinley chiese l’autorizzazione al Congresso per prendere provvedimenti che ponessero fine alle ostilità cubano-spagnole e per usare le forze militari e navali quando si fosse reso necessario. Il 18 aprile venne concessa l'autorizzazione dalle due Camere del Congresso e il 20 aprile il Presidente statunitense ratificò la dichiarazione di guerra alla Spagna. Con questo intervento, in meno di tre mesi, gli statunitensi si appropriarono di una vittoria ormai sicura dei mambises cubani, ai quali, nonostante la loro decisiva partecipazione alla conquista di Santiago de Cuba, fu addirittura impedito di entrare in questa città, dove il 16 luglio venne firmata la resa. Il 10 dicembre 1898 alle trattative di pace di Parigi i cubani non furono neppure invitati. Dal 1° gennaio 1899 Cuba passò sotto il controllo degli Stati Uniti che, con questa guerra-lampo, estesero il loro dominio anche su Puerto Rico, sulle Filippine e sull’isola di Guam, nel Pacifico. Dopo decenni di lotte e infinite sofferenze, l’unica variazione è stata il passaggio di Cuba da colonia della Spagna a protettorato degli Stati Uniti: i cubani continuavano a non comandare nella loro splendida terra.
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