Estratti dell'intervista rilasciata all’Avana

 

dall’ex ufficiale della CIA Philip Agee

 

“Non hanno mai rinunciato a sovvertire la Rivoluzione Cubana”

 

5 aprile 2006

Omaggio alle vittime cubane del terrorismo


 

I terroristi d’origine cubana residenti a Miami hanno potuto portare avanti le loro attività perché il governo degli Stati Uniti glielo ha permesso, assicura Philip Agee, ex ufficiale di operazioni clandestine della CIA, 49 anni dopo la sua prima visita a Cuba.

 

Entrato a far parte dell’Agenzia Centrale d’Informazioni (CIA) degli Stati Uniti nel 1957, ne uscì più di dieci anni dopo. Oggi vive fra Amburgo e l'Avana. Tiene conferenze in diversi Paesi del mondo e scrive. Ha due figli ed ha appena compiuto i 72 anni nella capitale cubana, 49 anni dopo la prima visita fatta anche allora per festeggiare a Cuba il suo compleanno.

 

Qual è la storia del suo ingresso nella CIA?

 

Sono di Tampa ed ho avuto una gioventù privilegiata; io però volevo fare qualcosa di diverso dalla vita che mi avrebbe aspettato a fianco di mio padre, un uomo che aveva successo negli affari. Stavo finendo i miei studi a Filadelfia quando la CIA prese contatto con me; ricordo che era il 1956.

Mandarono un reclutatore all’università per propormi di entrare nelle loro file. Come mi hanno scelto? Hanno molti contatti nell’università fra i professori e gli studenti; in qualche modo hanno saputo di me, perché ero un dirigente studentesco ed avevo buoni risultati accademici, inoltre contava il dettaglio che avevo fatto gli studi secondari dai gesuiti, come Fidel.

All’inizio ho rifiutato l’offerta, ma l’ho ripresa in considerazione al mio ritorno dopo un breve soggiorno all'Avana nel gennaio 1957. Mi sembrava che Cuba fosse un posto interessante, inoltre la mia visione della CIA allora era piuttosto romantica e non avevo nessuna educazione politica.

Il caso volle che riconsiderassi l’offerta. Scrissi una lettera e subito ricevetti risposta. Ho passato esami e prove rigorosi e dopo sei mesi, nel luglio 1957, ero già membro della CIA.

Dopo tre anni di servizio militare mi assegnarono alla direzione di operazioni in America Latina.  

 

Perché?

 

A causa delle aspettative che la Rivoluzione Cubana aveva generato, ci fu una grande espansione della CIA in America Latina. Gli Stati Uniti si opposero fin dall’inizio all’esempio cubano ed il ruolo della CIA era quello di neutralizzare l’influenza che gli avvenimenti del primo gennaio 1959 stavano producendo in quella regione.

La politica nordamericana consistette nell’isolamento totale della Rivoluzione. Io sono stato assegnato all’ufficio venezuelano. Pensavo che ci sarei rimasto molto tempo, perché ci avevano detto che non si muoveva nessuno prima di dodici mesi; tuttavia non era ancora passato un mese che mi proposero già di andare a Quito, in Ecuador, con copertura diplomatica. Sono stato il primo della mia classe ad andare fuori dal Paese per compiere una missione della CIA ed il mio gruppo era composto da 55 persone. Prima della fine del 1960 mi trovai a Quito insieme a mia moglie come “addetto politico”.

Rimasi tre anni in quel Paese ed altri tre in Uruguay, a Montevideo. Ritornai quindi a Washington e da lì mi inviarono in Messico per lavorare alle Olimpiadi che si sarebbero realizzate in quel Paese nel 1968. Vi lavorai per un anno e mezzo all’incirca prima dell’inizio dei giuochi.

 

Con che obiettivo?

 

Stabilire contatti con elementi che ci interessavano allo scopo di reclutarli. La mia copertura era la stessa, “addetto politico”, assistente speciale dell’ambasciatore.

 

Perché ha rinunciato al suo lavoro nella CIA?

 

Dal 1957 al 1969, quando rinunciai, ho sofferto un travaglio interiore, è stato come un risvegliarsi. Ricordo che ho ricevuto la mia educazione politica in itinere, vivendo in America Latina, assistendo alle enormi ingiustizie ed alla repressione; ciò contribuì molto a determinare la mia decisione

Ho tentato di rinunciare nel 1966, al mio ritorno dall’Uruguay, ma per motivi personali non lo feci e perciò accettai di andare in Messico. Inoltre in quello stesso momento, poco prima dell’inizio delle Olimpiadi, la CIA mi comunicò la mia promozione, dato che erano contenti del mio lavoro. Risposi che non dovevano preoccuparsi del mio avanzamento, perché mi sarei dimesso alla fine dei giuochi e così feci.

 

Cosa successe poi?

 

Mi sono mantenuto risoluto rispetto alla rinuncia che fu ratificata nel gennaio 1969. Rimasi in Messico, dove non ho più avuto contatti con gli agenti della CIA e non li ho più visti.

Incominciai a studiare e a leggere e mi inscrissi ad un corso di specializzazione e dottorato sulla storia dell’America Latina presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico. Mi sono reso conto che ciò che i miei colleghi ed io facevamo nella CIA era in continuità con 500 anni di ingiustizie.

Capii che la repressione politica in America Latina era necessaria per mantenere un sistema che rispondesse agli interessi degli Stati Uniti; lo so, perché avevo partecipato a questo progetto con polizie e militari dell’Ecuador e dell’Uruguay. Fu così che perdetti la visione romantica della CIA. C’era qualcosa di ignobile in tutto ciò e non volevo più esserne complice.

Ricordo che quando entrai mi spiegarono che avrei seguito il loro programma d’addestramento più importante, quello di formazione degli ufficiali di operazioni segrete e dei futuri dirigenti dell’agenzia. Era il loro programma stellare e lo frequentai interamente. Quando rinunciai volli dimenticare tutti quegli anni passati nella CIA, quasi quindici, e cominciare una nuova vita.

Tra l’altro ho partecipato ad una campagna per identificare e pubblicare i nomi di più di mille agenti della CIA che stavano lavorando all’estero.

Nel 1970 decisi di scrivere un libro su tutto ciò che avevamo fatto in America Latina. Incominciai a frequentare i centri di documentazione messicani per ricostruire gli eventi di quando ero ancora nella CIA. Alla fine arrivai fino al Museo Britannico ed agli archivi di questa istituzione. Fu lì che trovai i giornali delle città dove avevo lavorato.

Nel 1971 sono stato a Londra, dove ho trascorso un anno leggendo microfilm e prendendo appunti. Leggevo sui giornali che ogni giorno accadeva qualcosa, ma non si diceva mai che c’era dietro la mano della CIA. Ho accumulato quasi duemila ore di lavoro manoscritto. In quello stesso anno visitai Cuba.

Esito di quel lavoro fu la pubblicazione nel 1975 del libro “Diario della CIA”, che diventò un best seller tradotto in trenta lingue.

 

Che valore dà a quel testo dopo trent’anni?

 

È stato il primo libro a riportare fatti obiettivi relativi alla CIA. Sempre nel 1975 uscì un altro libro di un ex ufficiale che non aveva avuto l’esperienza di lavoro all’estero. Le due opere hanno permesso una visione abbastanza ampia: lui dal punto di vista interno, quello della direzione, ed io descrivendo le attività sporche della CIA in altre nazioni. A lui hanno censurato molte parti, ma il mio uscì integro, prima in Gran Bretagna e sei mesi dopo negli Stati Uniti, dove quest’anno verrà rieditato.

Ho potuto disporre di molti documenti della CIA. Quando uscì il mio libro, per il livello dei dettagli che metteva a nudo, a Langley mi accusarono di aver usato copie di informazioni classificate, ma non era vero. Ciò che feci fu ricostruire i fatti a partire dalla mia memoria e attraverso i giornali dell’epoca.

 

Come si è articolato il lavoro della CIA nel contesto latinoamericano?

 

Dopo la II Guerra Mondiale, nel periodo d’espansione della guerra fredda, c’era la convinzione che ciò che non era sotto il controllo degli Stati Uniti correva il pericolo di cadere nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica.

Negli anni 40 caddero le dittature in America Latina e ci furono le elezioni in Guatemala, dove fu eletto Juan José Arévalo (1945-1951), che riformò il sistema educativo del Paese. Nel 1951 fu presidente Jacobo Àrbenz, che dette continuità alle riforme ed applicò la riforma agraria più in profondità. Per Washington si trattava di una situazione che stava sfuggendo al suo controllo.

La CIA fece immediatamente un lavoro sporco. Nell’inverno del 1954 fu deposto Àrbenz e da quel momento iniziò una grande repressione che si concluse solo negli anni 80. In questo periodo furono assassinati o sparirono più di 200.000 guatemaltechi.

Nel 1959, cinque anni dopo gli avvenimenti del Guatemala, la CIA, durante l’amministrazione di Eisenhower, cercò di applicare lo stesso metodo a Cuba; i tentativi per avere il controllo di questo pezzo di terra sono una vecchia storia.

L’11 marzo 1959 si riunì il Consiglio di Sicurezza Nazionale diretto dal Presidente, con la partecipazione del Segretario di Stato, della Difesa e di vari dirigenti d’alto livello, per discutere i termini di questa situazione; esiste un memorandum di tale incontro. Di fatto, fu la prima riunione che io conosca in cui si parlò di impedire lo sviluppo della rivoluzione cubana, appena a tre mesi dalla vittoria del primo gennaio.

Prima della fine del 1959 la CIA stava già fomentando la controrivoluzione, rifornendo i gruppi che si stavano organizzando a El Escambray con voli illegali che trasportavano armi.

Ciò che accadde dopo è storia nota. Nel 1960 Eisenhower approvò un’operazione della CIA per deporre Fidel e sconfiggere la rivoluzione. Reclutarono cubani qui nell’isola ed a Miami per formare brigate mercenarie e li addestrarono in Guatemala.

Pianificarono l’invasione, ma si resero conto che per il suo successo era necessario un sollevamento popolare che non si produsse mai. Ignoro ciò che sapevano a Cuba nel 1961, ma evidentemente l'Avana era informata sui preparativi relativi alla Baia dei Porci, dato che pochi giorni prima della spedizione mercenaria furono arrestati sull’isola i membri di gruppi controrivoluzionari che avrebbero dovuto appoggiare l’invasione. È risaputo ciò che successe poi: gli Stati Uniti fallirono e furono sconfitti nella Playa Girón, e questo non lo hanno mai perdonato a Cuba.

Seguì un susseguirsi di azioni di terrorismo che fece migliaia di morti. Ciò che non è chiaro con esattezza, è quando cambiò questa politica terrorista degli Stati Uniti. Nel decennio del 60 attraverso la CIA e con l’appoggio del Pentagono si intensificarono le operazioni paramilitari terroriste contro Cuba. Lo stesso direttore della CIA testimoniò davanti al Congresso circa ciò che stavano facendo contro quel Paese.

Poi, non si sa bene quando, il governo decise di cessare con questi metodi e di cambiare politica. Ma erano già stati addestrati tanti cubani su queste “tecniche e metodi”, che poterono continuare per conto proprio; è ciò che successe con Posada Carriles, Orlando Bosch ed altri, tutti addestrati dalla CIA.

 

Nel periodo che passò nella CIA ebbe modo di conoscere direttamente alcune delle attività per le quali Luis Posada Carriles o Orlando Bosch erano stati addestrati?

 

No, non ho avuto niente a che fare con tutto questo. Sono cose che ho saputo dopo, anche attraverso le mie indagini. So però che una grande quantità di cubani sono stati addestrati. Hanno liberato il genio malvagio dalla bottiglia e poi non sapevano più come rimettercelo dentro.

Benché la politica ufficiale del governo fosse quella di non continuare con le operazioni paramilitari e terroriste contro Cuba, sembra che abbiano accettato che di ciò si occupassero i cubani. Fu così che nacquero Alpha 66 e le altre organizzazioni criminali che risiedono a Miami.

Durante il governo di Ronald Reagan si produsse un consistente incremento di attività contro Cuba. Una delle prime cose che fece il presidente fu quella di appoggiare la nascita della Fondazione Nazionale Cubano-Americana (FNCA), un modo di finanziare la controrivoluzione. Incrementarono anche la propaganda e pianificarono la formazione di organizzazioni dissidenti fra la società civile dell’isola, cosa che non hanno mai cessato di fare.

 

 

 

Deisy Francis Medidor

(giornalista di “Juventud Rebelde”)

 http://www.jrebelde.cubaweb.cu/secciones/cuba_vs_terrorismo/terrorismo/nunca.htm