Rompiamo la menzogna


S. Lamrani - 24 marzo 2006 - tratto da El Moncada www.italia-cuba.it -

In occasione del Forum sociale di Caracas, Salim Lamrani, basandosi sull'esempio cubano che ha lungamente studiato, si è sforzato di mostrare come la stampa alternativa può smontare le menzogne della propaganda statunitense.

 

 

Le élite mondiali, grazie al controllo che esercitano sulle Multinazionali dell’informazione, impongono all’umanità una visione della realtà minuziosamente disciplinata da un quadro ideologico.

 

Le barriere dottrinali realizzate sono destinate ad allontanare ogni pensiero alternativo che rischierebbe di rimettere in discussione i buoni fondamenti dell’ordine mondiale attuale. Così, il ruolo dei mass-media non è quello di fornire un’informazione oggettiva ai cittadini, bensì quello di difendere l’ordine politico, economico e sociale stabiliti, con efficaci e differenti mezzi, quali la propaganda, la disinformazione e la censura.


Il ruolo della stampa alternativa è quello di costituire un rifugio contro la manipolazione della realtà. Esiste un caso da manuale, che dovrebbe essere studiato in tutti i centri di ricerca sulla disinformazione, poiché ha raggiunto un livello di sofisticazione inimmaginabile. Si tratta di Cuba, che costituisce un caso unico al mondo dal punto di vista della differenza abissale tra la rappresentazione ideologica riportata dai mass- media occidentali e la realtà del paese.

 

L’intossicazione mediatica nei confronti della problematica cubana è così efficace che ha contaminato anche i settori più i progressisti del mondo sviluppato.

 

 

Il caso dell’emigrazione

cubana verso gli Stati uniti

 

 

Gli esempi sono numerosi, ma uno solo basta a dimostrare l’ampiezza della disinformazione organizzata dai mass-media internazionali. L’argomentazione delle emigrazioni è spesso utilizzata per stigmatizzare il processo rivoluzionario cubano. Secondo alcuni, il numero “elevato” di cubani che sono emigrati verso gli Stati uniti è la prova anche della mancanza di legittimità del Governo di La Habana.

 

Questo postulato è accettato dalla maggior parte dei mass- media internazionali, senza che nessuna analisi del fenomeno sia giudicata necessaria. Ciò è tanto più curioso, in quanto le statistiche sull’emigrazione cubana verso gli Stati uniti sono disponibili per l’epoca che va dal 1820 al 2003, cioè per oltre diciotto decenni. Per quali ragioni allora, la stampa internazionale non illustrerebbe il suo ritornello che riguarda l’emigrazione cubana tramite cifre precise che comparano il periodo pre-rivoluzionario all’epoca attuale? In nome di quale principio di semplificazione, non viene affrontato un raffronto tra i fenomeni migratori latino-americani e quelli cubani per illuminare questo dibattito ovviamente polemico?


La stampa internazionale si guarda bene dall’analizzare in modo meticoloso e dettagliato l’emigrazione cubana verso gli Stati uniti. Teme senza dubbio, e per ovvii motivi, che le conclusioni tratte a partire dai dati forniti dai servizi d’immigrazione statunitensi contraddicano, nel modo più implacabile, il suo famoso postulato e rivelino al grande pubblico il carattere ingannevole e ideologico delle affermazioni e, dunque, del postulato.

 

 

Emigrazione massiccia

prima del 1959

 

 

Prima della capitolazione di Fulgencio Batista nel 1959, da Cuba c’erano più emigranti verso gli Stati uniti che da tutta l’America centrale e da tutto il Sud America riuniti. Inoltre, l’isola dei Caraibi produceva più emigrazione che l’Africa e l’Oceania messe insieme e le cifre superavano di molto i mastodontici flussi demografici dell’Asia come quelli di Cina, India, Iran, Turchia, Pakistan o Indonesia.

 

 

Legislazione speciale

per incitare all’emigrazione

 

 

Nel 1966, il congresso degli Stati uniti ha adottato la Legge d’Aggiustamento Cubano (Ley de Adjuste Cubano) che assegna a qualsiasi cittadino cubano che emigra legalmente o illegalmente negli Stati uniti lo status di residente permanente. Questa legislazione si prefigge di stimolare l’emigrazione illegale allo scopo di utilizzare questa come arma politica contro il Governo cubano. A questa legge, occorre aggiungere la brutale guerra economica che gli Stati uniti applicano contro Cuba dal 1960, che influisce enormemente sulla popolazione e che costituisce un fattore d’incitamento all’emigrazione.

 

 

1993 e il

“periodo speciale”

 

 

È importante soffermarsi sull’anno 1993. Questa data rappresenta il momento peggiore del periodo speciale. In effetti, nel 1991, data del crollo dell’Unione sovietica, i cubani hanno ancora potuto beneficiare in una certa misura del commercio con il blocco dell’Est. Nel 1992, le riserve nazionali hanno permesso alla popolazione cubana di superare le prime difficoltà. Ma, nel 1993 non restava più nulla.

 

Non sarebbe sorprendente scoprire che, a causa alle condizioni economiche e geopolitiche che Cuba ha dovuto affrontare, l’anno 1993 sia stato sinonimo di emigrazione massiccia verso gli Stati uniti. Ma, contrariamente a qualsiasi attesa, ciò non è avvenuto. In effetti, Cuba ha avuto soltanto 13.666 emigranti nel 1993 contro 17.156 del Canada, 17.241 della Giamaica, 26.818 di El Salvador -ossia due volte tanto-, 45.420 della Repubblica Dominicana -ossia tre volte tanto-, e 126.561 del Messico, ossia quasi dieci volte tanto. Quindi, nel 1993, Cuba ha occupato soltanto il sesto posto tra le nazioni americane per numero di emigranti.

 

 

1994 e la

ondata di “balseros”

 

 

Quanto al 1994, la data è importante poiché è stata segnata dalla grande ondata di “balseros”, nome dato ai Cubani che provano a emigrare a bordo di una barca di fortuna (balsa = zattera). Questi fatti sono stati trasformati in eventi mediatici e politicizzati dalla stampa internazionale per dare l’impressione che tutta la popolazione cubana cercasse di lasciare l’isola. Quale è stata la realtà?

 

Nel 1994, Cuba non ha registrato che 14.727 partenze, posizionandosi dopo il Canada con 16.068 partenze, El Salvador con 17.644 uscite, la Repubblica Dominicana con 51.189 emigranti -cioè tre volte tanto- e il Messico con 111.398 uscite. Cuba si trovava soltanto in quinta posizione tra i paesi americani in termini di numero di emigrati verso gli Stati uniti.

 

 

L’emigrazione

attuale

 

 

È interessante effettuare un bilancio emigratorio utilizzando le ultime statistiche. Nel 2003, Cuba ha avuto solo 9.304 emigrazioni verso gli Stati uniti. Cuba, nel 2003, occupava soltanto il decimo posto nel continente americano in termini di emigrazione, dietro il Perù (9.444), il Canada (11.446), Haiti (12.314), la Giamaica (13.384), il Guatemala (14.415), la Colombia (14.777), la Repubblica Dominicana (26.205), El Salvador (28.296) e il Messico (115.864). Così Cuba è passata dal secondo posto nel 1959 al decimo posto nel 2003.

 

 

Politicizzazione

della problematica
dell’emigrazione

 


Stranamente, la problematica dell’emigrazione non è stata mai politicizzata per le altre nazioni. Per esempio, per l’anno 2003, El Salvador, un paese che ha una popolazione due volte inferiore (5,75 milioni di abitanti) a quella di Cuba (11 milioni), ha avuto emigranti verso gli Stati uniti tre volte più di Cuba. Tuttavia, nessuno ha mai utilizzato questo fattore per qualificare il regime politico di El Salvador come regime totalitario. Allo stesso modo, la Repubblica Dominicana ha registrato tre volte più partenze verso gli Stati uniti rispetto a Cuba, mentre ha soltanto 8,5 milioni di abitanti. La Giamaica con appena 2,6 milioni di abitanti, cioè una popolazione 4 volte inferiore a quella di Cuba, ha avuto un maggior numero di uscite verso gli Stati uniti. Haiti, la cui popolazione tocca appena i 6,8 milioni di abitanti, cioè circa la metà di quella di Cuba, ha prodotto più emigrazione verso gli Stati uniti che la più grande isola dei Caraibi. Inoltre, questi paesi non dispongono di alcuna legge d’aggiustamento e non subiscono sanzioni economiche. Tuttavia, nessuno ha mai osato utilizzare tale argomentazione per qualificare le autorità dei paesi in questione come regimi dittatoriali.

 

La constatazione è dunque semplice: l’argomentazione dell’emigrazione non è valida per designare Cuba come un paese da cui i suoi abitanti vogliono fuggire. Ma quando questa tematica viene comunque utilizzata dalla stampa occidentale, occorre constatare che questa argomentazione mira alla stigmatizzazione ideologica del paese.

 

 


Salim Lamrani*

 

*Salim Lamrani ricercatore francese all’università Denis-Diderot (Parigi VII), specialista delle relazioni tra Cuba e gli Stati uniti.
Ultimo lavoro pubblicato: Washington contro Cuba: “Un Mezzo secolo di terrorismo e l’affare dei cinque”, iI tempo delle ciliege ed. è ora disponibile anche in italiano