La propaganda di Washington, con l'eco del suo Ufficio d' Interessi a L'Avana,
ripete un'altra volta che noi giornalisti cubani non critichiamo né il nostro
socialismo né il nostro Governo.
Si addentrano in un tema dove vi é un soffitto di fine vetro. Mai, per esempio,
durante gli ultimi 100 anni, i più importanti organi di stampa, radio o
televisione di quel paese hanno posto in discussione il sistema capitalista lì
imperante.
Negli Stati Uniti al lavoro giornalistico si permette di muoversi sui rami
ed abbordare fatti isolati ed aneddotici, ma, tale lavoro, non é autorizzato ad
arrivare alla radice di ciò che accade.
Perché ancora non affiorano le contraddizioni che lasciano intravedere possibili
cospirazioni interne negli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 a New
York e Washington, dove morirono varie migliaia di persone.
Questa gran stampa, ancora, non definisce, come causa essenziale della
guerra contro l'Iraq, l'esigenza di servire gli interessi delle transnazionali
industrie petrolifere e del complesso militare industriale degli Stati Uniti,
così come i suoi piani egemonici in Medio oriente.
Perché il generalizzato silenzio dei media rispetto ai Cinque cubani che lì sono
stati condannati a lunghe pene detentive per combattere il terrorismo?
Molte altre domande e risposte potrebbero riempire libri.
Ma la propaganda della SINA osa imputare ai giornalisti cubani che il loro
lavoro non mostra la realtà del loro paese che non criticano il loro sistema di
vita né il proprio Governo.
Che cosa desiderano che rimproveriamo? Che dal 1959 si é cominciato a mettere
fine allo status di neocolonia statunitense imposto a Cuba? O che si è riuscito
a diminuire la mortalità dei bambini nati vivi e ad aumentare la speranza di
vita fino a livelli uguali o superiori a quelli esibiti dai paesi più sviluppati
del mondo?
I giornalisti cubani non criticano la sparizione del latifondismo,
dell'analfabetismo, del dominio che esercitavano qui poderose imprese
statunitensi, che siano stati sradicati la corruzione dei processi
elettorali ed altri mali ereditati dalla neocolonia.
Dobbiamo criticare, per caso, il favoloso programma di giustizia sociale della
Rivoluzione che ha continuato a prestare sempre più assistenza ai cubani, o
quello destinato a trasformare questa nazione in una delle più colte del
pianeta? I rilevanti risultati scientifici e sportivi che esibisce?
Nel Congresso di Washington sono scoppiati vari scandali per corruzione che
includono i capi delle maggioranze repubblicane alla Camera dei Rappresentanti e
del Senato, Tom Delay e Bill Frist, mentre altri 12 o più legislatori potrebbero
perdere i loro scranni per la stessa causa.
In precedenza si era dimesso, per una torbida azione politica, il
principale assessore del vicepresidente Richard Cheney, Lewis Libby, e ora
s'indaga, per la stessa ragione, sul più importante assessore di Bush, Karl Rove.
I giornalisti cubani non hanno da criticare fatti come questi; sono
semplicemente inconcepibili in una democrazia come quella qui esistente, e
magari per questo, nella scala di valori della SINA, abbiamo una bassa
qualificazione.
Il nostro Governo non ha mai invaso un'altra nazione e tanto meno l'ha
occupata militarmente per rubargli le sue risorse naturali, come succede in
Iraq; al contrario ha migliaia di medici che salvano vite, non uccidono né
mutilano. Neppure questo, secondo la SINA, ed è verità, critichiamo.
I giornalisti cubani sono parte di un sistema di vita, che aspiriamo a
migliorare sempre più con le nostre segnalazioni, perché non è perfetto, soffre
errori, ma che è incomparabilmente più giusto del capitalismo.
Uno dei più gravi problemi che affronta Bush ed i suoi uomini, è che non
sembrano coscienti di quello che sta succedendo di fronte ai loro nasi, quando
il loro potere, sullo stile della Roma imperiale, si sta sgretolando, grano a
grano, tra le mani.
Benché ai loro giornalisti non permettano di riconoscerlo né notarlo.
|