Il
giovane britannico di origine pachistana Asif Iqbal ha raccontato di ricordare
nitidamente gli orrori che soffrì mentre rimase prigioniero nel carcere
statunitense di Guantanamo, nell’oriente meridionale cubano.
In un incontro con la stampa nazionale e straniera nella sede dell'Istituto
Cubano di Amicizia coi Popoli (ICAP), a L’Avana, ha ricordato che non gli furono
spiegate nemmeno le ragioni per le quali lo hanno imprigionato per più di due
anni e mezzo.
Il controverso carcere si erge dentro il recinto della base navale degli Stati
Uniti a Guantánamo, territorio cubano occupato illegalmente dagli USA da più di
un secolo.
Il giovane musulmano ha affermato che non passa neppure un minuto della sua vita
senza ricordare gli orrori subiti in quel macabro luogo e non può dimenticare
quelli che ancora si trovano lì abbandonati alla loro sorte.
“Per
tre mesi mi hanno sottoposto a brutali torture mentre mi mostravano un video
dove c'erano circa 100 persone riunite con Osama bin Laden e mi dicevano che io
ero uno di quelli”.
Iqbal ricorda ancora, con un brivido, come l'isolarono, lo esposero a rumori
insopportabili e lo sottomisero a temperature estreme di caldo e freddo, fino a
che confessò che lui aveva partecipato a quella riunione col capo di Al-Qaeda.
Altri prigionieri, sottoposti a simili torture confessarono, perché dimostrare
di essere innocenti significava morire. “Alla fine, in tre abbiamo avuto la
fortuna che, dopo un mese, le autorità britanniche comunicarono alle
nordamericane che non era possibile che fossimo noi perché al momento della
famigerata riunione eravamo in Inghilterra”.
I metodi di strappare con la forza le confessioni ricordano i tenebrosi
interrogatori di Hitler, dove la ricerca della verità era solo un pretesto per
commettere crimini e provare nuovi metodi di torture.
“La mia paura è precisamente questa, che tutti i detenuti di Guantanamo siano
obbligati, come noi, a confessioni false, dopo aver subito crudeli torture”. La
fortuna di questo giovane é da esempio, perché ha dimostrato che coloro che
riescono ad ottenere che qualche governo apporti prove inoppugnabili, sono gli
unici con la speranza di salvarsi da quell’inferno.
“Ci sono molti innocenti in quella prigione ed i nordamericani dicono che sono
di Al-Qaeda, ma purtroppo quello che succede alla maggioranza è che non hanno
potuto dimostrare, come noi, la loro innocenza”.
Asif Iqbal é nato ed educato in Inghilterra. Aveva 20 anni quando fu catturato e
per la sua “testa” gli Stati Uniti pagarono 5000 dollari. “Una delle cose più
difficili per chi è prigioniero a Guantánamo, è ignorare che cosa sta
succedendo, ignorare perché lo hanno portato in prigione, ignorare quando potrà
uscire di lì o se avrà mai il diritto alla giustizia”.
Sono passati due anni da allora, ma per questo discendente di musulmani, la
prigione nordamericana di Guantánamo continua ad essere una ferita aperta e
sanguinante nel suo cuore.
Numerose persone hanno cercato di suicidarsi nella prigione guantanamera, e tre
prigionieri sono riusciti nell’intento, benché Asif dubiti del fatto che fosse
suicidio o che li abbiano uccisi.
Poco dopo essere uscito di prigione, Iqbal é riuscito a parlare con i familiari
di chi ancora rimane dentro ed ha avuto una rivelazione tanto grande che da
allora si dedica a viaggiare per il mondo reclamando la liberazione dei
prigionieri e la chiusura di quel carcere.
“Nonostante l’esperienza della prigione e gli orrori delle torture siano stati
per noi detenuti tanto terribili, ho la conferma che sono i nostri parenti,
quelli che giorno per giorno soffrono più che mai la sorte dei loro cari”.
*L’autore è giornalista della sezione
“Nazionali” di Prensa Latina
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