L’intervista di Fidel

con Matthews


“Visita al ribelle cubano nel suo rifugio”

• Così intitolò l’influente quotidiano The New York Times nella sua edizione del 24 febbraio 1957 la prima parte di un reportage che rubò l’attenzione mondiale mostrando la guerriglia sopravvivente guidata dal Comandante Fidel Castro nella Sierra Maestra

•  Fidel aveva ordinato a Faustino Pérez – che aveva partecipato alla spedizione del Granma – tra le prime missioni, di scendere dalle montagne per  contattare un giornalista, anche se i direttori dei principali quotidiani non accettarono timorosi delle rappresaglie che si potevano scatenare

• Nei primi giorni di febbraio però si riuscì a far sì che il famoso reporter Hebert Matthews giungesse a Cuba...

 

 

 

22 febbraio 2007 - J.S.Fulgueiras www.granma.cu

 

 

Il sentiero apparve agli occhi di  Felipe Guerra Matos come una corda infangata  e annerita dal colore contadino della note di Manzanillo.

 

Lo conosceva come la palma della sua mano e si anticipava le irregolarità del terrapieno in un riflesso condizionato dalle tante salite e discese.

 

Fidel e Matthews in quell’incontro. L’immagine apparve in tutto il mondo... 
Fidel e Matthews in quell’incontro. L’immagine apparve in tutto il mondo... 
 

Il suo veicolo Willie, sembrava un mulo di montagna, solido, addomesticato per superare nella penombra tutti gli ostacoli che gli acquazzoni degli ultimi giorni avevano  provocato al sentiero angusto.

 

Al suo fianco, nel sedile davanti, era seduto comodo quanto poteva il giornalista nordamericano Herbert Matthews, che apparentemente cercava di scrutare attraverso il parabrezza il labirinto a zigzag che lo avrebbe condotto a un luogo sconosciuto per lui, nella Sierra Maestra.

 

“Credo che stanotte non pioverà”, disse l’autista a voce alta, inclinando un poco la testa verso destra, ma  poi si rese conto che il nordamericano conosceva poco o niente lo spagnolo. Non gli risposero nemmeno René Rodríguez, Javier Pazos, Quique Escalona y Nardi Iglesias, stretti nei sedili posteriori. Allora con il suo scarso inglese cercò di formare nella mente alcune frasi per guadagnarsi l’amicizia del reporter del The New York Times, che era preceduto da una fama ottenuta come caccia notizie in molti luoghi del mondo e che era stato testimone di alcuni dei fatti più importanti del secolo.

 

L’uomo, che già superava i 60 anni, era stato corrispondente di guerra in Abissinia negli anni ‘30 e in Spagna, durante la sanguinosa guerra civile che distrusse la Repubblica. Aveva pubblicato diversi libri e aveva anche vinto diversi premi tra i quali poco tempo prima il “John Moors Cabot” assegnato dalla scuola di giornalismo dell’Università di  Columbia.

 

Matthews era capo redattore  del The New York Times, e si distingueva  nell’elaborazione degli editoriali e dei reportage speciali sull’America Latina.

 

Alto, magro quasi scheletrico leggermente incurvato con gli occhi chiari e lo sguardo penetrante.

 

Herbert Matthews, dalla sua posizione liberale, era considerato uno dei giornalisti  più prestigiosi e influenti negli Stati Uniti.

 

“Mister, how do you feel here?” stava Guerrita, ma quel “come si sente qui?” gli sembrò tonto  come domanda da fare a un personaggio troppo bravo nell’arte delle domande e delle risposte.

 

All’uscita da Yara una pattuglia appostata al lato della strada li aveva fermati. Una guardia con una faccia poco amichevole si era avvicinata e Guerrita, senza scendere dal veicolo gli aveva detto, prima che l’uomo vestito di giallo facesse la domanda: “Il signore è un borghese americano ricco che vuole comprare la fabbrica di riso di Gómez” e aveva sottolineato la parola ricco e il termine di borghese, molto conosciuto in tutta la zona.

 

La frase era molto convincente per la guardia, perchè d’accordo con tutto quel che si vedeva nelle pellicole dell’epoca, tutti i nordamericani disponevano di una buona fortuna. In cambio il soldato, che benediva le facilità che gli procurava l’uniforme gialla per bersi una birra senza pagare in ogni bar di Manzanillo e dintorni, sapeva che disturbare un ricco era negativo per le sue aspirazioni di ottenere il grado di sergente e allora, come direbbe il poeta Amado Nervo, fece un gesto cortese e chiudendo gli occhi li lasciò passare.

 

Per Guerra Matos, dopo il positivo stratagemma, la cosa più importante era guidare nel modo migliore possibile sul terrapieno ondulato, dove le pozzanghere di acqua stagnante si vedevano come lagune sotto i fari del veicolo, con forza e abilità per superare la salita.  

 

“Are you cold?”, chiese al nordamericano, quando gli vide fare un gesto di chi sente un brivido. Ma l’uomo continuò assorto nell’oscurità e nei suoi pensieri. Ogni tanto succhiava il cannello della pipa che non separava dalla bocca e poi espirava il fumo in nuvolette quasi perfette che gli scivolavano leggere ai lati delle spalle.

 

Per arrivare sino a Matthews Guerrita e i compagni del Movimento 26 di Luglio avevano percorso intelligentemente un sentiero rischioso. L’idea era stata di Fidel Castro che, con 82 uomini, era sbarcato un paio di mesi prima, il 2 dicembre del 1956, a Playa Las Coloradas, sulla costa nord della provincia di Oriente.

 

L’esercito di Batista li aveva sorpresi in un luogo chiamato Alegria de Pio e i giovani ribelli si erano dispersi nella zona.

 

Molti furono catturati e assassinati dai feroci soldati dello sbirro presidente, Fulgencio Batista, mentre altri riuscirono a superare l’accerchiamento e alla fine solamente sette riuscirono a incontrarsi a Cinque Palmas, dove Fidel, con pochi fucili, siglò il 1956 con la frase più ottimista del XX secolo. “Adesso sì che vinceremo la guerra”!

 

Nella stampa cubana però apparve la notizia che Fidel era morto e la guerriglia annichilita.  Poi la censura fu totale per quel che sapeva a ribellione.

 

Mentre risaliva la montagna Guerrita evocò quei fatti.

 

“Tra il 9 e l’11 febbraio del 1957 perdemmo i contatti  sino alla mattina in cui giunse alla tenda di Rafael Sierra il compagno Radamés Reyes, telegrafista della caserma e alleato al Movimento 26 di Luglio. Portava l’amara notizia che Fidel e tutti compagni del gruppo erano stati eliminati in un’imboscata a Los Altos de Espinosa.

 

"Rafael Sierra mi informò e immediatamente rivelai a Celia quelle dolorose notizie. Lei, con molto ottimismo disse: “Non ci credo perchè lo avrebbero pubblicato nei giornali... devono confermarlo, ma io sono sicura che è vivo”!

 

 

FIDEL È VIVO!

 

 

"Il giorno  seguente giunse  Miguelito, un figlio di Epifanio, sino al mulino del riso, e mi raccontò quello che era successo. Erano scappati in un faraglione con Luis Crespo ed era sicuro che Fidel e un’altra parte del gruppo aveva superato l’accerchiamento del nemico. Mi disse che Crespo, uno della spedizione del Granma, voleva mettersi in contatto con noi.

 

Celia mi ordinò di andargli incontro. Crespo era sicuro che Fidel era vivo perchè aveva visto che il Comandante e la sua squadra erano scappati a loro volta per lo steso tragitto. Io dissi a Crespo che la cosa migliore era che lui abbandonasse la Sierra Maestra, ma mi rispose tagliente: “Sino a che avremo un fucile la lotta non termina” e io sentii una gran ammirazione per l’atteggiamento di qual contadino semianalfabeta che in mezzo alla disperazione mostrava il coraggio e le qualità umane dei partecipanti alla spedizione del Granma.

 

Il giorno dopo Miguelito ritornò di nuovo a Manzanillo con la conferma che Fidel era vivo e aveva mandato un messaggero che ci aspettava nella fattoria di Epifanio, perchè aveva l’ordine di parlare con Celia. Io lo andai a prendere e al ritorno, all’entrata di Manzanillo, incontrai una guardia rurale che mi chiese un passaggio. Entrai in città protetto da una guardia nemica e festeggiando la vita di Fidel.

 

La dittatura di Batista si afferrava alla notizia che Fidel e suoi uomini erano stati sterminati e per quello il Comandante in Capo aveva chiesto un giornalista che pubblicasse la notizia, ma i dirigenti della stampa nazionale avevano timore di rappresaglie e per quello fu necessario cercare un giornalista di un mezzo di comunicazione molto influente.          

                     

Matthews aveva ricevuto la comunicazione dalla signora Ruby Hart Phillips, corrispondente del The New York Times all’Avana, che gli disse che aveva “una grande notizia per lui” e che partisse con urgenza per Cuba.

 

Lunedì 4 febbraio la signora Phillips era stata convocata nell’ufficio di Felipe Pazos nell’Edificio Bacardí, in calle Monserrate, dove c’erano anche Javier Pazos, Faustino Pérez e René Rodriguez, che spiegarono alla giornalista l’interesse di Fidel di ricevere un giornalista nel cuore della Sierra Maestra.

 

La Phillis, com’era prevedibile, si offerse d’immediato, ma le dissero che non doveva essere lei, per le condizioni del viaggio e l’ascesa in montagna che erano molto difficili per una donna e che inoltre lei era corrispondente permanente nell’Isola e sicuramente avrebbe ricevuto una forte rappresaglia dal regime di Batista.

 

Nella conversazione telefonica tra la Phillips e Matthews non si specificarono molti dettagli, ma un cane da caccia come lui necessitava solo un leggero odore per sapere che lo aspettava un pezzo importante...

 

Cinque giorni dopo  Matthews, accompagnato da sua moglie Nancie, giunse a Cuba nella notte del 15 febbraio; lo raccolsero nel Hotel Sevilla e iniziò così il viaggio verso l’oriente dell’Isola con Faustino Pérez che, sin dal primo momento lavorò affannosamente per compiere la missione orientata da Fidel.

 

Faustino accompagnò il famoso giornalista fino a Manzanillo. Guerrita lo vide per la prima volta in questa città e gli sembrò un uomo troppo anziano per salire i sentieri angusti della Sierra. Guardando il cappellino e la pipa gli ricordò un detective privato stile Sherlock Holmes e non un reporter con vigore e gioventù per scalare, per esempio, la collina detta Derecha de Caracas, un maestoso massiccio coperto di verde nel paesaggio della Sierra.

 

Matthews e Nancie avevano i visi stanchi dopo il lungo viaggio, quasi senza dormire, per tutta la Carretera Central. Si erano fermati solamente a  Camagüey per fare colazione. Poi erano partiti per Bayamo, entrando nel tratto più difficile, custodito da varie pattuglie dell’esercito ma, dato che erano visibilmente turisti stranieri, permisero loro di entrare a Manzanillo senza contrattempi, accompagnati da Faustino Pérez, Javier Pazos e Lilia Mesa.

 

Mentre la jeep sforzava il motore, mano a mano che si faceva più difficile la salita, con l’acqua stagnante che aumentava la difficoltà, Guerrita guardava di sottecchi il nordamericano che aveva lasciato la moglie a casa dell’anfitrione Saumell a Manzanillo.

 

Guerrita poneva tutta la concentrazione nel volante, il cambio e i freni, per evitare al massimo i salti e le frenate disordinate, nonostante le buche, ma la macchina a volte faceva dei salti come un cavallo ferito da uno sperone crudele. Ogni volta che accadeva, Guerrita guardava il nordamericano cercando un gesto di contrarietà, ma l’uomo accettava senza proteste quegli scossoni che dipendevano dalle condizioni del  sentiero.

 

Quello era il terzo viaggio di Guerrita nello stesso giorno alla fattoria di Epifanio, un contadino franco ed amico e uno dei primi collaboratori di Fidel e della guerriglia in generale dopo lo sbarco del Granma.

 

 

FAUSTINO LO PORTÒ A MANZANILLO E ALMEIDA

FU IL PRIMO A RICEVERLO NELLA SIERRA

 

 

La casa del vecchio Epifanio si ergeva solidale nella località conosciuta come Los Chorros, a sud di Purial di Jibacoa, sul versante nord della Sierra Maestra. La fattoria era coperta di pascoli d’erba di Guinea e di passaggi boscosi e non disponeva di grandi rilievi che rendessero possibile la miglior protezione della guerriglia. Comunque, per il luogo quasi pianeggiante dove si trovava, rendeva molto facile l’accesso di qualsiasi veicolo a motore o lo spostamento di una persona non pratica a camminare sugli scoscesi sentieri montani.

 

Fidel, che conosceva la lealtà della collaborazione di Epifanio e quella dei suoi due figli, Enrique e Miguel, decise di attendere in quel luogo il giornalista nordamericano e di effettuare simultaneamente la sua prima grande riunione con i principali dirigenti della pianura orientale.

 

Guerrita, figlio di contadini e contadino egli stesso, riusciva a sapere l’ora guardando le stelle. Perciò appena vide la luna incastonata nel centro del firmamento, seppe che domenica 17 febbraio 1957 stava volgendo al termine.

 

Fu in quel momento che si fermò e disse che bisognava continuare a piedi. Matthews scese compiaciuto ed intraprese assieme al gruppo la salita per i sentieri, nell’oscurità e con l’accompagnamento del cri-cri dei grilli insonni. Guerra Matos (il maggior conoscitore dei più stretti sentieri) marciava in testa, mentre il giornalista seguiva i suoi passi senza mollare la pipa e mantenendo intatta la sua voglia di arrivare a destinazione.

 

All’improvviso apparve di fronte a loro il ruscello Tío Lucas, scorrendo a serpentina tra gli alberi della Maestra. Per arrivare fino all’accampamento era indispensabile guadare il rio dalle acque fredde e impetuose. René lo fece sapere al corrispondente del The New York Times e questi rispose con fare intrepido.

 

Matthews entrò con brio ma, una volta arrivato nel mezzo del ruscello, perse l’equilibrio e cadde goffamente nelle acque dal basso fondale. "Si è fottuto l’americano!", gridò Guerrita. Ma il giornalista, nonostante l’inaspettato capitombolo, sollevò velocemente la piccola borsa che teneva in mano senza perdere la pipa di bocca. Guerrita gli tese la mano destra per aiutarlo ed il nordamericano si reincorporò con brio giovanile.

 

Il ruscello della Sierra, che a Martí piaceva più del mare, si comporta come un cane affamato che lecca e lecca le pietre del fondo, fino a lasciarle pulite e levigate. Le scarpe di Matthews, a quanto pare, non tennero conto di questo postulato fluviale ed il giornalista scivolò sul manto freddo e sdruccioloso, cadendo in avanti.

 

Nonostante ciò non perse né il portamento né la forza d’animo e con un gesto gagliardo incitò a continuare la marcia lungo il sentiero fino all’accampamento che, anche se lui non lo sapeva, si trovava a poca distanza da lì.

 

Il primo a riceverlo fu lo spedizionario del ‘Granma’ Juan Almeida Bosque, che gli spiegò che Fidel si trovava in quel momento nel suo Stato Maggiore e sarebbe venuto all’alba. Matthews simpatizzò al primo colpo d’occhio con quest’uomo che appoggiava le sue parole sulla traduzione di Pazos. Almeida fece sapere al nuovo arrivato che la truppa disponeva di vari accampamenti.

 

La conversazione si prolungò per diversi minuti e vi parteciparono anche il combattente Ciro Frías e altri guerriglieri. Almeida propose a Matthews di riposarsi un poco sotto una coperta di foglie di palma. Il nordamericano assentì alla gentilezza, tirò fuori dal borsellino alcuni fiammiferi, salvatisi dal tuffo nel torrente e accese la sua inseparabile pipa.

 

Celia Sánchez ricordava:

 

Quella notte camminammo fuori dall’accampamento per vedere se incontravamo una casetta che si vedeva di giorno. Eravamo Fidel, Armando, Frank, Vilma, io e Luis Crespo, che si perdeva sempre e voleva fare da guida. Non trovammo mai la casetta; camminammo così tanto nella notte che non sapemmo tornare all’accampamento. Dormimmo sul campo rasato. Quella notte arrivò Matthews. Quando Universo dette la notizia fu incaricato di dire al giornalista che Fidel si trovava nell’altro accampamento e che lo aspettasse. Almeida, il Che e Raúl rimasero assieme al visitatore.

 

Il gruppo capeggiato da Fidel arrivò all’accampamento alle prime luci dell’alba. Vilma Espín, prestigiosa combattente della clandestinità a Santiago di Cuba (che Guerrita aveva portato all’accampamento poche ore prima) e Javier Pazos sarebbero serviti da traduttori, anche se Fidel dominava bene la lingua inglese.

 

Raúl anticipò il gruppo e dette la mano al giornalista, annunciando l’arrivo del massimo leader. L’allora capitano Raúl Castro narrò così il fatto nel suo diario di campagna:

 

Siamo arrivati lì ed ho abbracciato il "Flaco" (René Rodríguez), che aveva fatto davvero quel che aveva offerto. Ho dato la mano al giornalista e, facendo appello al mio rudimentale inglese scolastico, gli ho detto: How are you? Non ho capito quel che mi ha risposto ed in quel mentre è arrivato F (Fidel) che, dopo averlo salutato, si è seduto con lui nella capanna ed è iniziata l’intervista giornalistica, che sicuramente sarà uno scoop (...). Mentre Fidel e Matthews erano impegnati nell’intervista, l’ufficiale di guardia Almeida ha triplicato la vigilanza, adottando tutte le misure di sicurezza alla nostra portata nel luogo dove ci trovavamo, che era una specie di trappola per topi. Sfortunatamente si tratta di una zona completamente disboscata ed è stato un azzardo da parte nostra separarci così tanto dai nostri cari boschi. Se ci avessero sorpresi lì per effetto di una spiata, il 26 luglio avrebbe sofferto un collasso poiché, per quanto ne fossimo usciti bene, avremmo corso il rischio di perdere alcuni dei nostri valorosi capi.

 

 

MATTHEWS RIMASE IMPRESSIONATO DA FIDEL

 

 

Guerra Matos fece la seguente descrizione:

 

"Vidi arrivare Fidel salutando il giornalista. Provai una soddisfazione molto grande ma non la manifestai. Avevo apportato un granello di sabbia in questo incontro che era molto atteso dal nostro massimo capo e che aveva una grande importanza per far sapere al mondo che Fidel era vivo e la guerriglia sul piede di guerra. Mi impegnai al massimo lungo tutto il tragitto affinché il nordamericano si sentisse il più comodo e sicuro possibile, poiché un ripensamento di questi all’ultimo minuto avrebbe segnato la mia vita per sempre.

 

"Quando cadde in mezzo al ruscello, cosa che mi fu impossibile evitare, mi si drizzarono i capelli. Ma il giornalista era deciso tanto quanto noi ad arrivare fino all’accampamento e non ci avrebbe fermati nemmeno un bombardamento. Notai entusiasmo in Fidel quando questi camminava verso Matthews e quella stessa gioia si trasferì anche nel mio cuore".

 

Fidel salutò Matthews cortesemente e semplicemente. Con la più grande naturalezza si sedette di fronte al corrispondente del The New York Times e cominciarono le domande e le risposte. Lo sperimentato giornalista nordamericano aveva già indagato durante il suo soggiorno a L’Avana sulla situazione esistente a Cuba, sulla repressione alla quale veniva sottoposto il popolo. Conosceva inoltre molte caratteristiche personali di Fidel e alcuni dati della sua storia rivoluzionaria studentesca, oltre che della sua partecipazione come leader all’assalto alla caserma Moncada di Santiago di Cuba.

 

Nonostante ciò lo impressionò la giovane età di Fidel ma, ascoltandolo, trasse la saggia conclusione che il capo guerrigliero era un uomo invincibile.

 

Fidel gli parlò di tutta l’odissea dello sbarco, che vide la cattura e l’assassinio di molti spedizionari. Ma la truppa riuscì a raggrupparsi, consolidarsi ed infliggere diverse sconfitte all’Esercito di Batista nei due mesi passati dall’inizio della guerriglia.

 

Stiamo lottando già da settantanove giorni – disse Fidel – e siamo più forti che mai. Il loro morale è basso ed il nostro non potrebbe essere più alto. Abbiamo inferto loro molte perdite, ma quando li facciamo prigionieri non li fuciliamo mai. Li interroghiamo, li trattiamo bene, confischiamo le loro armi e attrezzature e li rimettiamo in libertà.

 

E più avanti aggiunse:

 

Il popolo cubano sta ascoltando alla radio tutto ciò che riguarda l’Algeria, ma non sente né legge una sola parola su di noi, grazie alla censura. Lei sarà il primo a parlare loro di noi. Abbiamo seguaci in tutta l’isola. I migliori elementi, specialmente i giovani, sono con noi. Il popolo cubano è capace di sopportare qualsiasi cosa meno l’oppressione.

 

Fidel segnalò al giornalista che la dittatura stava utilizzando contro il popolo armi fornite dagli Stati Uniti e aggiunse:

 

Batista sta impiegando contro di noi tremila uomini armati. Io non ti dirò quanti siamo, per ovvie ragioni. L’esercito opera in colonne di 200 uomini, noi in gruppi da 10 a 40. È una battaglia contro il tempo ed il tempo è a nostro favore.

 

René Rodríguez, con una piccola macchina fotografica che aveva portato da Manzanillo, si formava come corrispondente di guerra. Inquadrava affannosamente nell’obbiettivo intervistato e intervistatore e premeva l’otturatore mentre Matthews, con calligrafia agile e poco leggibile, prendeva appunti su un libretto di colore nero.

 

Frank País, il grande leader clandestino, un po’ in disparte, si dedicava alla manutenzione delle armi dei ribelli, azione che sarebbe rimasta impressa per sempre nelle pupille indagatrici di Che Guevara, che successivamente scrisse sul suo diario:

 

Non ho presenziato all’intervista ma, secondo quanto ha detto Fidel, l’uomo si è mostrato amichevole e non ha fatto domande capziose. Ha chiesto a Fidel se è antimperialista e lui ha risposto di si, nel senso che ambisce a liberare la sua patria dalle catene economiche, ma non nel senso che odia gli USA ed il loro popolo. Fidel ha deplorato il fatto che Batista riceva aiuto militare, spiegando quanto sia ridicolo pretendere che queste armi servano alla difesa del continente quando non sono nemmeno in grado di annientare un gruppo di Ribelli sulla Sierra Maestra.

 

Il dialogo Fidel-Matthews è stato rielaborato anche dall’ingegno proprio del cubano, che ha sdrammatizzato con l’umorismo e l’originalità i momenti più significativi e di maggiore tensione. La truppa ribelle cercava in tutti i modi di impressionare il giornalista, senza scadere nell’esibizionismo e nella millanteria, cosa che avrebbe potuto mettere in dubbio la veridicità e la reale esistenza e forza della guerriglia.

 

Per questo Fidel dette fin dall’inizio l’indicazione di mantenere un atteggiamento marziale di fronte al corrispondente nordamericano, dando l’immagine di un gruppo composto da più elementi di quelli che ne facevano realmente parte. Durante la conversazione i ribelli entravano e uscivano costantemente dall’accampamento, cosa che dava l’impressione di un numero maggiore di persone. In questo modo si sosteneva l’insinuazione di Almeida sull’esistenza di vari accampamenti nella zona.

 

Alcuni guerriglieri, come Manuel Fajardo, passavano di fronte a Matthews senza dargli le spalle, evitando così che il giornalista osservasse la loro camicia completamente logora in quel punto. Un altro colpo di ingegno lo ebbe l’allora capitano Raúl Castro Ruz quando, dopo l’arrivo del combattente Luis Crespo, disse a Fidel:

 

- Comandante, è arrivato l’ufficiale di collegamento della colonna 2!

 

Fidel rispose alla sortita di Raúl:

 

- Le dica di aspettare che io finisca con il giornalista.

 

La famosa intervista durò quasi due ore. Matthews, visibilmente soddisfatto, chiese a Fidel di firmare il libretto degli appunti per dare una maggiore autenticità ai dati ottenuti. Fidel accettò e aggiunse la data dello storico giorno.

 

Guerra Matos osservò felice da una certa distanza il momento dei saluti tra il capo dei guerriglieri ed il giornalista. Gli toccava adesso una missione ancora più complessa. Doveva tornare a Manzanillo con Matthews in pieno giorno. Javier Pazos lo avrebbe accompagnato al ritorno assieme al giovane contadino Reynerio Márquez, che lo avrebbe condotto fino alla casa di una figlia di Epifanio, lungo il sentiero del Jibaro.

 

 

LI INTERCETTA DI NUOVO UNA

PATTUGLIA DELL’ ESERCITO

 

 

Ricorda Guerrita:

 

“Quando terminarono l’intervista ci chiamarono per andare a salutare Fidel. Il Comandante in Capo s’interessò su come era andato il viaggio, che strada avevamo percorso e quali precauzioni avevamo preso e insistette nel fatto che dovevo aumentare la cautela nel ritorno, per far sì che non succedesse niente al giornalista.

 

Io ricordai a Fidel che ci eravamo conosciuti dieci anni prima con i fatti della campana di La Demajagua. Guerrita sosteneva che il Fidel della Sierra Maestra era lo stesso uomo convinto e convincente, ma più ispirato. Gesticolava e poneva ottimismo in ognuna delle sue parole, che erano capaci d’animare la persona più sfiduciata.

 

Andai sino a Cayo Espino, alla fattoria di mio papà, per cercare la macchina che era nascosta lì e tornai a prendere l’americano in casa di Epifanio Diáz e all’una del pomeriggio eravamo già a Cayo Espino.

 

“Servite il pranzo al giornalista e che sia squisito! Deve andare via di qui a pancia piena e cuor contento”, disse Guerrita a sua mamma e suo papà, contadini ammiratori e collaboratori delle forze del 26 di Luglio.

 

Anche se la famiglia di Guerra Matos si era sforzata di preparare un pranzo creolo che soddisfacesse al massimo il visitante, il giornalista mangiò solamente un pezzettino di pollo e con grande sorpresa di tutti e con la maggior cortesia del mondo, in cinque parole variò completamente l’itinerario: “Please, take me to Manzanillo”. (Per favore, riportatemi a Manzanillo).

 

Guerrita non comprese in quel momento che il cervello di quel giornalista era molto lontano dal suo stomaco e che il suo appetito era concentrato nella notizia che aveva archiviato nel cervello e nei fogli che custodiva gelosamente nelle tasche della camicia. Una pattuglia dell’esercito li fermò di nuovo sulla strada, ma Guerrita fu abile a disinformarli nuovamente.

 

Verso le cinque del pomeriggio giunsero a casa di Saumell, dove la moglie Nancie lo aspettava seduta nella sala. Dal portale e con poche parole concise  Matthews  propose a Nancie di partire immediatamente per Santiago di Cuba e così si sedettero rapidi in un’automobile che li condusse sino al capoluogo dell’Oriente cubano. Da Santiago volarono, nella stessa notte, sino all’Avana e il giorno dopo la coppia nordamericana partì per New York.

 

Prendendo l’aereo Nancie sembrava più grassa di quando era arrivata... aveva forse abbandonato la sua dieta rigorosa ispirata dalla squisita cucina cubana? Niente di più sbagliato di questa visione culinaria. L’astuta donna aveva collocato sotto la sua gonna i fogli con tutte le annotazioni che Matthews aveva raccolto nella sua storica intervista con Fidel!

 

In questo modo burlarono con misurata furbizia gli ispettori doganali e la rete di feroci membri del sistema d’intelligenza militare di Batista.

 

Guerrita continuò nelle sue funzioni come messaggero, nel trasferimento di combattenti verso la Sierra Maestra. Lo stesso giorno in cui Matthews abbandonò Manzanillo s’incaricò di portare alla fattoria di Epifanio Diáz tre partecipanti alla spedizione del Granma dispersi durante lo sbarco.

 

Ne giorni successivi alla partenza del giornalista per gli Stati Uniti Guerrita esaminava accuratamente i quotidiani, in attesa dell’apparizione di un articolo scritto da Matthews. E la domenica 24  febbraio del 1957 vide nella prima pagina di El Diario de la Marina, l’impressionate titolo: Fidel è vivo, e sotto il seguente sommario: Matthwes del New York Times  ha intervistato sulla Sierra Maestra. Il ribelle cubano è stato visitato nel suo nascondiglio, lesse dopo nel sottotitolo al centro.

 

Poi osservò la fotografia del Capo guerrigliero con un fucile a mirino telescopico e la copia fotostatica del suo autografo, che Fidel aveva firmato nell’agenda del giornalista.

 

Guerrita si sedette al volante della sua jeep e cominciò a leggere attentamente l’articolo scritto da Matthews sul New York Times, che El Diario de la Marina aveva pubblicato integralmente nelle sue pagine. 

Matthews cominciava il suo reportage con questa affermazione:

 

“Fidel Castro, il capo della  gioventù cubana, è vivo e sta combattendo duramente tra le inospitali e quasi impenetrabili montagne della Sierra Maestra, nell’estremo sud dell’Isola. Il presidente Fulgencio Batista mantiene in maniera eccellente il suo esercito nella regione, ma questi militari stanno combattendo una battaglia sino ad oggi perduta, per cercare di distruggere il nemico più pericoloso che il Generale Batista ha mai dovuto affrontare nella sua lunga e rischiosa carriera di leader e dittatore cubano. Questa è la prima notizia sicura che Fidel Castro è sempre vivo e sempre a Cuba. Nessuno relazionato con il mondo esterno o con la stampa tanto meno, ha visto il signor Castro, eccetto questo giornalista. Nessuno all’Avana, nemmeno nell’ambasciata degli Stati Uniti, con tutte le loro risorse per raccogliere informazioni, sapeva che sarebbe stato pubblicato questo articolo che prova che Fidel Castro è davvero sulla Sierra Maestra”.

 

Matthews nel suo articolo non nascondeva la sua ripugnanza per il regime di Batista e categoricamente scriveva che: “Fidel Castro e il suo Movimento 26 di Luglio costituiscono un simbolo fiammeggiante dell’opposizione al regime” e più avanti, “per facilitare il mio accesso alla Sierra Maestra e il mio incontro con Fidel Castro, decine di uomini e donne dell’Avana e della provincia d’Oriente hanno corso pericoli davvero terribili”.

 

Guerrita si senti orgoglioso di quell’uomo con il cappellino e la pipa che in nessun momento aveva mostrato di sapere il gran pericolo che loro stavano correndo per trasferirlo all’incontro con Fidel.

 

Per quello rilesse le righe che dicevano: “un rischio veramente terribile”, e questo aumentò la sua ammirazione per il veterano giornalista.

 

Guerrita continuò la lettura e vide che Matthews offriva a continuazione una biografia di Fidel, dall’assalto alla Caserma Moncada sino alla  spedizione del Granma e poi riferiva le versioni che esistevano sulla presunta morte di Fidel che smentiva categoricamente.

 

Inoltre informava sulla sua conversazione con Fidel e concludeva con la rapida cronaca della partenza per New York.

 

Nei giorni seguenti Guerrita ebbe modo di compiacersi leggendo altri due articoli scritti per mano di Matthews, nei quali valutava la situazione del momento di Cuba.

 

Il governo di Batista non aveva potuto far altro che togliere la censura alla stampa: apparentemente lo aveva fatto per via dell’apparizione degli articoli di Matthews perchè la stampa internazionale poteva scatenare uno scandalo di proporzioni incalcolabili e porre in ridicolo il regime batistiano.

 

Per quello i principali mezzi d’informazione di Cuba riprodussero gli articoli di Matthews mentre il ministro della Difesa, Santiago Verdeja, emetteva una dichiarazione nella quale definiva le notizie di Matthews “un racconto fantastico”.

 

“Il signor Matthews, sottolineava, non ha mai parlato con il riferito insorgente”. Il portavoce del governo impugnava l’autenticità della foto di Fidel usando questo argomento: “Appare incredibile che avendo avuto l’opportunità di penetrare tra quelle montagne e aver incontrato il ribelle, non si sia fatto fotografare con lui per confermare le sue farneticazioni”.

 

Guerrita sapeva che René aveva scattato diverse fotografie a Matthews e Fidel mentre conversavano in piena Sierra Maestra, ma forse i negativi erano in cattive condizioni o non avevano sufficiente qualità per essere visibili nelle pagine di un quotidiano... si ricordò che anche Frank aveva una macchina fotografica, ma non ricordava d’averlo visto scattare fotografie.

 

Il regime di Batista cercava in ogni modo e con ogni mezzo di negare l’autenticità dell’intervista di Matthews con Fidel, che serpeggiava come una miccia accesa per tutta l’Isola.

 

Alle dichiarazioni di  Verdeja si sommarono quelle del capo militare di Oriente, Martín Díaz Tamayo, che dichiarò alla stampa cubana: “Ê assolutamente impossibile superare le linee dove ci sono le truppe... l’intervista à una favola”.

 

Il 28 febbraio, come un coltello alla gola dei sicari di Batista, il Diario de la Marina” apriva la sua prima pagina con la foto tanto attesa nella quale apparivano insieme Matthews e Fidel, presa dal New York Times, mentre realizzavano lo storico dialogo.

 

L’istantanea, che con la velocità della luce percorse il mondo, mostrava a sinistra il giornalista che scriveva appunti, a destra il profilo del Comandante in Capo, Fidel Castro, con il suo cappello verde olivo e la barba guerrigliera, che si accendeva un sigaro Habano, con la fiamma che riempiva di luce le sue pupille che davano speranza  alle fasce più umili del popolo.

 

Guerrita Matos si tolse gli occhiali e li pulì con un lembo della camicia, poi se li mise di nuovo per apprezzare meglio la nitidezza della foto scattata dal suo compagno René Rodríguez. Allora distese le labbra in un lieve sorriso, mise in moto la sua jeep e partì frettoloso verso la Sierra Maestra