Paragonare il progetto rivoluzionario cubano
con altri processi socio-politici di sinistra si è convertito, negli ultimi
periodi, in un passatempo, per niente ingenuo, per promuovere, nel campo delle
idee, la sfiducia e la disunione tra le forze progressiste su scala
continentale e mondiale.
Come il peso degli avvenimenti ha già squalificato diatribe tali come la
condizione di satellite di Cuba, l'isolamento dell'isola, l'incontestabile
appoggio ad altre rivoluzioni, la morte del marxismo, l'impercorribilità del
socialismo e più recentemente la dipendenza del processo politico cubano da un
capo, la reazione ha posto di moda i paragoni con altre rivoluzioni.
Il fatto che una nazione socialista, la Cina, sia stata capace di situarsi in
cima alla classifica mondiale per il suo sostenuto ritmo di sviluppo
economico, tecnologico e scientifico a partire dalle concezioni socialiste che
l'hanno reso possibile, sembra avere svegliato la tendenza a sottolineare le
differenze del nostro processo con quello della gran nazione asiatica.
L'ascesa della Cina al ruolo di motore dello sviluppo globale non lascia
margine per auguri di un triste futuro per il progetto rivoluzionario cubano
argomentando la similitudine dei suoi obiettivi con quelli della Cina
socialista, come quando questa era vilipesa dalla propaganda dell'impero come
un paese fallito, di arretrata tecnologia, con un popolo affamato, scontento e
senza speranze.
Il merito di avere tirato fuori la Cina dalla tragica condizione di paese
sottosviluppato, é attribuibile interamento al suo popolo e alla sapienza dei
suoi dirigenti comunisti che seppero mobilitarlo e guidarlo, con più successo
che errori, nella sua lotta contro il ritardo feudale e le incoerenze
dell'ordine borghese, prendendo in considerazione le peculiarità storiche,
geopolitiche, sociali, culturali ed economiche di questo paese, il più
popolato del mondo.
In Cuba, ha avuto luogo un processo conoscitivo ed un agire politico con
caratteristiche simili, ma in scenari molto differenti, ciò che ha come
conseguenza che per entrambi i sistemi, diretti verso il socialismo e guidati
da dirigenze marxista-leniniste, ci siano molte similitudini ed anche
peculiarità ben distinte.
L'uno e l'altro processo si inquadrano nello stesso momento della storia, nel
quale l'umanità assume la sfida di passare ad una tappa nuova del suo
sviluppo, dopo che il capitalismo, avendo perso il suo carattere progressista
dei tempi delle rivoluzioni industriali, ha portato il mondo ad un caos di
asimmetrie, ingiustizie, iniquità, violenza e distruzione del suo habitat.
Come ogni paese parte da situazioni differenti, le soluzioni ed i mezzi per
ottenere degli obiettivi devono essere diversi, con alcune evidenti identità
in ciò che tocca il carattere endogeno dei processi e la priorità degli
obiettivi sociali.
La Cina, per esempio, ha intrapreso la "economia di mercato socialista" e si
serve delle risorse del mercato e di alcuni meccanismi caratteristici del
capitalismo incipiente con molta maggiore ampiezza che Cuba, per molte
ragioni; perché le peculiarità dello sviluppo della società borghese nell'uno
e nell'altro paese erano ben differenti al momento dell'inizio dei cambiamenti
rivoluzionari.
Nell'Isola, la presenza di imprese nordamericane aveva introdotto elementi di
socializzazione della produzione, il commercio ed i servizi propri del
capitalismo più avanzato dell'epoca, quello che permise di ovviare, non senza
difficoltà ed insufficienze, tappe dello sviluppo delle relazioni di
produzione del capitalismo elementare verso quelle socialiste. La Cina, per la
sua gran estensione e potenzialità, come per la priorità che ha concesso al
suo sviluppo macroeconomico, dato il suo carattere di grande potenza
tecnologicamente ed economicamente arretrata, ha dovuto affrontare, in maniera
differente, il tema ed ha optato, in una maniera più ampia, per
l'utilizzazione, a livello di base, delle relazioni mercantili.
In maniera simile, ma anche distinta, il Vietnam, dove il capitalismo
selvaggio ha brevemente coesistito con una società dall'economia molto
primitiva e debole nel suo sviluppo, per le continue aggressioni contro la sua
indipendenza nazionale, ha dovuto affrontare l'enorme compito di ricostruire
il paese con la sua risorsa più importante: la laboriosità di un popolo
straordinario.
Dopo aver vinto, in una cruenta guerra, la potenza più ricca, poderosa ed
aggressiva che l'umanità ha conosciuto, senza proprie risorse finanziarie
proprie per qualunque altra opzione, il Vietnam ha optato per la massima
utilizzazione delle relazioni mercantili in tutte le sue manifestazioni che
gli permettessero uno sviluppo effettivo verso i suoi propositi socialisti.
La recente tendenza verso sinistra che si nota in America Latina, ha
trasformato in regola quello che appena alcuni anni fa era inimmaginabile:
l'arrivo al potere, mediante elezioni, di governanti popolari che non sono
imposti, appoggiati o hanno il visto del governo degli Stati Uniti e che si
oppongono alla una politica economica del neoliberalismo imposta dalla
superpotenza. Questo fatto non ha antecedenti nella regione.
Ovviamente, ognuno dei nuovi governanti eletti dal suo popolo ha la sua
propria agenda, poiché generalmente non sono stati promossi dai tradizionali
partiti politici i cui programmi e, soprattutto, i metodi per eseguirli,
rispondevano a regole dettate dagli interessi delle oligarchie e dell'impero
che hanno costruito l'impalcatura dei sistemi elettorali a loro immagine e
somiglianza.
Le agende dei nuovi dirigenti popolari hanno molte cose in comuni tra loro. Ed
anche molte e notevoli differenze.
Sono simili gli obiettivi di riaffermazione dell'identità nazionale e la
difesa della sovranità, così come sono avviati a promuovere la giustizia
sociale. Le differenze possono essere piccole o infinite, perché derivano da
diversi fattori. Possono differire anche in quanto a capacità di resistere a
pressioni e tentazioni.
È da molti anni che le oligarchie latinoamericane si sono avvalse della
gigantesca campagna di propaganda e bugie che, durante quasi mezzo secolo su
scala mondiale, la superpotenza statunitense ha portato avanti contro la
Rivoluzione cubana per attaccare qualunque aspirazione popolare o qualunque
misura patriottica che proponga o attui un governo della regione, accusandola
di essere "identica" a quelle di Cuba, perché temono un'unità partecipata del
popolo come quella nostra.
È stata pratica sistematica che, a qualunque dei progetti rivoluzionari per
l'indipendenza e la giustizia sociale che sorgono nel continente, le poderose
risorse mediatiche delle oligarchie e dell'impero attribuiscano similitudini
col modello cubano, nutrendosi degli schemi che per anni questi stessi mezzi
sono riusciti ad impiantare.
Ciò nonostante, il modello cubano, rappresentato nel suo leader, Fidel Castro,
lontano dal perdere simpatie tra le masse umili del continente, si é mantenuto
e riprodotto nelle nuove generazioni latinoamericane che l'hanno come bandiera
di lotta per le loro rivendicazioni.
Il progetto rivoluzionario cubano arrivò ad essere potere per effetto di una
rivoluzione popolare armata ed i nuovi governanti popolari, in America Latina,
vi approdano come risultato di elezioni. Ciò determina che gli scenari per
eseguire i cambiamenti rivoluzionari siano molto variabili.
In ogni modo i governi popolari che ora stanno sorgendo, a partire da processi
istituzionalizzati, hanno programmi che vanno da ben strutturati progetti
rivoluzionari autoctoni fino a piattaforme nazionaliste articolate con impegni
di onestà amministrativa, l'identificazione dei fattori che conducono
all'unità deve passare per un processo che non può violentarsi.
Ma di questo si servono le campagne della reazione per paragonare situazioni
con l'intento di confondere.
A Cuba raccomandano instaurare o estendere l'uso di elementi dell'economia di
mercato, perfino la privatizzazione, per risolvere qualunque problema
dell'economia, alla maniera di altri paesi che vivono giovani processi
rivoluzionari che a loro volta sono denigrati per applicare soluzioni "alla
cubana".
Il momento, che viviamo oggi, di affermazione della sovranità delle nazioni
della nostra America Latina si inserisce in un divenire diretto dalle
leggi dello sviluppo sociale ma necessariamente deve trovare radici autoctone
in ognuna delle nostre patrie. Sarà più universale ed autentico nella misura
in cui assuma caratteristiche proprie in ogni nazione.
Le esperienze di ognuno devono farsi comuni per impedire errori evitabili, ma
mai devono agire come modelli prestabiliti come camicie di forza.
* Manuel E. Yepe Menéndez è avvocato,
economista e politologo. E' professore nell'Istituto Superiore di Relazioni
Internazionali di L'Avana. E' stato Ambasciatore di Cuba e Direttore Generale
dell'Agenzia Latinoamericana di Notizie Prensa Latina.
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