Allo spuntare dell'alba, nel porto
di L'Avana il 4 marzo 1960, nessun osservatore avrebbe potuto trovare alcun
indizio che quella data e quel posto si sarebbero tanto inseriti nella storia
per il realizzarsi della più grande azione terroristica, fino ad allora
eseguita, dal governo nordamericano contro la nascente Rivoluzione, con più di
cento vittime e di quattrocento feriti — uno dei maggiore di tutti i tempi —
come per aver, con ciò, fuso nella coscienza nazionale i concetti di libertà e
di patria, dando origine a quello che a partir da allora — dall'esequie delle
vittime, il giorno dopo — è stata bandiera di combattimento del popolo cubano:
Patria o Morte!
Lo scenario del crimine
Come era abituale, a partire dalle sei della mattina stivatori e lavoratori di
coperta cubierteros si erano concentrati nel vecchio edificio Oficios e Luz, in
attesa di essere selezionati per i lavori da eseguire quel giorno, secondo la
posizione di una lista rotatoria di più di un migliaio di stivatori e circa
trecento cubierteros. I lavoratori, impiegati nei moli, si concentravano in
propri locali, come parte dell'attesa giornaliera di lavoro.
Quel giorno non in tutti i casi si cominciò lo
scarico
in orario, tanto presto: alle 8 e 12 minuti della mattina aveva fatto la sua
entrata nella baia de L'Avana la nave francese La Coubre, con 36 marinai e due
passeggeri a bordo, che nelle sue stive 2, 4 e 5 trasportava carichi vari e,
nella stiva 6 e nel suo entrepuente refrigerato, alla fine della poppa, un
importante carico di munizioni e granate anticarro ed antipersona per il fucile
FAL, acquistato in Belgio per la difesa del paese, che soffriva, dallo stesso
trionfo della Rivoluzione nel gennaio 1959, i forti colpi di una guerra non
dichiarata proveniente dagli Stati Uniti.
Dopo aver attraccato nell'ancora denominato molo Pan American Docks, che già a
quella data era passato in mano al popolo, attorno alle 10 della mattina erano
terminate le procedure doganali, le ultime realizzate nel suo lungo foglio di
servizio da Carlos Alfaro Galbán, che i suoi capi e compagni, chiamarono in
maniera postuma, professore dell'ispezione nel porto, che lavorava come
ispettore capo del Distretto Doganiere dell' Arsenale, assistito da Alberto
Rosales Puebla, anch'egli ispettore ed antico combattente clandestino nelle file
del Direttorio Rivoluzionario 13 Marzo, morto anch'egli quel giorno.
Immediatamente, il sovrintendente del molo, Julio González López, diede il
beneplacito, per l'ultima volta nella sua vita, per iniziare lo scarico alle
undici della mattina nella stiva 2 — carico generale — e nella stiva 6, quella
di maggiore complessità data la indole di ciò che lì si trasportava. Rispetto a
questa ultima, aveva, in
precedenza, ultimato ogni dettaglio col capitano Carlos Mir Marrero, capo della
Sezione Materiale da Guerra della Direzione di Logistica (G-4), dello Stato
maggiore dell'Esercito Ribelle (EMER), colui che accompagnato dal primo tenente
Eduardo Calvet — gravemente ferito quel pomeriggio — e dai membri di quell'organo
Estanislao Figueras ed Alfredo Vidal — che nel 1999 testimoniarono davanti al
Tribunale Popolare Provinciale di Città di L'Avana, nella Domanda agli Stati
Uniti per Danni Umani — avrebbe assunto in consegna l'armamento al molo e
trasportato a destinazione. "Mir,
da molto prima, aveva coordinato con me l'operazione per garantire il trasporto
del carico verso i posti dove si sarebbe immagazzinato. Da poco aveva acquisito
due traini nuovi, che in unione di camion più piccoli utilizzammo quello giorno.
Gli autisti erano molto buoni, selezionati tra gli antichi combattenti ribelli,
e viaggiavano scortati da altre forze" esprime, molto tempo dopo quei fatti,
l'allora capitano Raúl Camacho Espinosa, a quell'epoca capo della Sezione dei
Trasporti della Direzione Logistica dell'EMER.
Nel locale marcato col numero 61 nella strada Mision, dove si trovavano, in
attesa, i lavoranti di quel molo, fu rapida la selezione di coloro che avrebbero
partecipato allo scarico. Si erano, già in precedenza, adottate misure per
garantirla. Altrettanto successe, non lontano da lì, nel controllo di stivatori
di Oficios e Luz. Col numero 88 nella lista dei cubierteros, e come parte di un
gruppo di una decina di lavoratori, a Rolando Oliver Navarro corrispose far
parte del gruppo che iniziava, quella mattina, i lavori nella stiva 2, dove
lavorava come operatore dei winches1
o winchero. Con molta probabilità, l'essere stato assegnato a quel boccaporto,
all'estremo opposto della poppa, fu determinante perché Rolando potesse
sopravvivere alla più scioccante esperienza della sua vita.
Le più severe misure di sicurezza furono adottate dopo l'arrivo della nave. Per
attuarle, tra le altre, poco dopo l'alba erano partiti da Managua, al comando
del tenente Eulogio Ámita — veterano guerrigliero della Colonna 1 José Martí —
forze specialmente selezionate tra antichi combattenti ribelli, molti di essi
provenienti dal III Fronte Orientale Mario Muñoz, appartenenti alla Compagnia di
Riconoscimento del Battaglione Blindato e del Battaglione 1 di Artiglieria delle
Forze Tattiche di Combattimento di Occidente. Vicini a compiersi 47 anni da quei
fatti, il tanquista Almelio Venero Portales che svolgeva compiti di protezione
sulla coperta de La Coubre vicino a José Casanova Pruna, ricorda: "prendiamo le
posizioni nella barca, ci diedero le istruzioni... Stavamo in movimento per
vedere se veniva un aereo e tirava una bomba; un uomo rana che potesse uscire da
sotto e tutto questo tipo di cose". "Io stavo custodendo, con vari combattenti,
il molo e la scaletta", dice l'allora sergente Aladino del Toro. Riferendosi al
gruppo di cui faceva parte, diretto dal sergente Marcelino Sánchez, Aladino
ricorda: "eravamo responsabili della protezione del molo e del carico che lì si
depositava". "Lì c'era un cordone di militari", evoca il tanquista Blas Masó, e
continua: "stavamo sulle porte di entrata, sul molo ed anche dentro la barca".
L'artigliere Manuel L'O, che ricorda con lui Víctor Arzuaga, Reynaldo Sánchez
Galán e Rafael Echevarría, dice da parte sua: "La missione che ci diedero fu
quella di prendere le misure di sicurezza e protezione. Si impedì l'entrata di
fiammiferi e portafiammiferi, o di qualunque pacchetto non necessario. Gli
stivatori venivano solamente coi loro vestiti da lavoro". Da parte sua, Lázaro
Betancourt Collazo era membro della Polizia Marittima che copriva la scala di
accesso alla nave, e tra gli altri compiti doveva garantire che chi entrasse ed
uscisse trasportasse la documentazione che lo autorizzava: nessuno senza di essa
poteva farlo.
Terrore vs. Rivoluzione
In mezzo a rigide misure si cominciò lo scarico delle munizioni trasportate
nella stiva 6. Date le speciali condizioni di lavoro che lì si applicavano,
all'una del pomeriggio terminava il primo turno di lavoro per quella stiva e per
coloro che allora abbandonarono la nave col doppio del doppio del salario — con
la giornata di lavoro, per trattarsi di carico speciale ed avere lavorato
nell'orario di pranzo — erano molto lontano dal pensare che con ciò salvavano le
loro vite. Tra coloro che lavorarono lì quella mattina si trovava Francisco Díaz
Domínguez che non poteva neppure sospettare, salutando gli stivatori che lo
sostituirono, la terribile notizia che avrebbe ascoltato per radio , poco dopo,
a casa nel distante villaggio di Jaruco: nessuno di loro sopravvisse. Quelli non
solo perirono, ma dovettero essere registrati come scomparsi, volatilizzati
dall'enorme temperatura e pressione sviluppate provocate dal criminale
esplosivo, preparato in forma tale che esplodesse quando si realizzassero i
lavori di scarico delle casse di granate nell'entrepuente refrigerato di quella
stiva.
L'orrenda esplosione, accaduta
approssimativamente
alle tre e quindici minuti, torse le pesanti travi e le grosse plance
dell'imbarcazione come se si fosse trattato di un fine guscio. Secondo Julio
Martín Pérez, con ogni probabilità il testimone oculare, che rimase in vita, con
maggiore visibilità e vicinanza al punto focale del sinistro quella fu "una
esplosione barbara... a me
quell'esplosione mi spinse
indietro". Riferendosi all'impasto di ferri risultante, espresse: "tutto quel
ferro io lo sentii quando cadde". Anche la testimonianza di Rolando Oliver è
molto eloquente: "in quel momento un'onda d'urto mi lanciò in aria, ed aprendo
gli occhi vidi cadere pezzi di ferro, oggetti e persone sconquassate, insieme ad
un fumo denso che saliva come un fungo".
Nel turno del pomeriggio avevano anche incominciato i lavori nei due nuovi
boccaporti con carico generale, corrispondenti alle stive 4 e 5. Nessuno degli
operai assegnati a questa ultima sopravvisse, data la sua maggior vicinanza al
macchinario infernale portatore di quel messaggio di morte e distruzione. Nel
boccaporto 4 morirono i suoi wincheros — Anastasio Mascaró Pérez e Manuel
Rodríguez Yánez — rimase gravemente ferito José Castromán Prieto, uno dei
gangleros2
che li dirigeva, e miracolosamente salvò la sua vita il suo compagno di lavoro,
anch'egli ganglero Julio Martín Pérez, con sole ferite lievi.
Sangue cubano, francese e spagnolo
L'interno di quella stiva 4, attigua a quella che aveva sofferto la maggiore
strage, si trasformò rapidamente in una scena di terrore. Il numero 608
nell'elenco degli stivatori, Miguel Herrera Herrera, allora ferito come
risultato della forte scossa che sconquassò tutta la nave, ha ancora tra i suoi
ricordi, in mezzo allo spesso fumo, la barcollante scala per la quale poté
ascendere penosamente fino in coperta ed in un impreciso luogo, della sua
memoria, il cadavere di un marinaio francese. Un altro ricordo gli risulta
particolarmente lacerante: quello del cubiertero Marcelino Guevara, antico
marinaio del mercantile cubano Manzanillo, affondato dai nazisti durante la
Seconda Guerra Mondiale, e che per tale fatto era molto conosciuto. Da lui aveva
ascoltato i suoi racconti su altre latitudini mentre aveva condiviso, nella
mattina, l'attesa della chiamata
e
con lui si era incamminato verso La Coubre per essere imbarcati. Il fatto che
Manzanillo fosse ganglero nel boccaporto 5, molto vicino al punto focale del
sinistro, fu determinante affinché succedesse qualcosa che da il brivido,
recensito il giorno dopo sulla stampa: il suo torso sconquassato, riconoscibile
solo per i suoi tatuaggi da marinaio, volò per aria per cadere in un luogo tanto
lontano come i paraggi della Polizia Motorizzata.
Per i casi del destino, anche un altro dei pochi che ancora oggi possono
raccontare quanto accaduto all'interno de La Coubre, in quel nefasto giorno, si
trovava nella stiva 4. René Oliver Mesa, impiegato come bottaio — incaricato
della riparazione del carico con lesioni nell'imballaggio e lavori affini —
della rappresentanza, in Cuba, della Compagnia navale francese Generale
Trasatlántica (CGT), che includeva nella sua flotta La Coubre, cominciò a
lavorare all'una del pomeriggio. Dopo un certo tempo ricevette un compito dai
suoi superiori: localizzare a terra il delegato della barca Tomás Pérez Carmona,
con cui il vicepresidente e pagatore di quella rappresentanza francese, Alfonso
León Martínez, come il capo di stivaggio Francisco González Fernández dovevano
determinare se corrispondeva a qualche collettivo di quel turno di lavoro un
trattamento salariale speciale, come era successo col gruppo di operai che aveva
lavorato nella mattina. Ancora oggi trema ricordando che eseguendo l'ordine e
presentandosi nella zona di poppa in cui quelli si trovavano, ricevette
inizialmente l'indicazione di rimanere in quell'area, benché dopo fosse inviato
alla stiva 4 dove aveva iniziato i suoi lavori. Fu quello che gli salvò la vita:
solo pochi minuti trascorsero dal suo ritorno perché l'esplosione spazzasse
tutti quelli che aveva lasciato dietro.
Quell'esplosione lasciò anche uno strascico di distruzione e morte nell'area dei
moli. Julio Martín Pérez, testimone eccezionale, ricorda: "Non rimase niente sul
molo. Sai tu ciò che sono due camion chiusi? Volarono come cartine cinesi. Dove
prima tu vedevi il movimento, i montacarichi, merci per le imbarcazioni (...)
rimase come un deserto". Tra i caduti si trovava il lavoratore, di quel molo,
Alonso Solís Villarrica, asturiano trapiantato e con famiglia nel paese che
aggiunse, tra gli altri, sangue spagnolo al cubano e a quello dei sei marinai
francesi versato in quello giorno. Con lui caddero anche i lavoratori Martín
Armenteros, Plácido Beltrán Santamarina, Gregorio Zulueta Pedroso, Arturo García
Vargas (Manduley), Luis Reoyo Márquez ed Andrés Zaldívar González, il cui
cadavere fu il primo dei 27 che arrivarono quella notte al Palazzo dei
Lavoratori — gli identificati fino a quel momento — per ricevere l'addio di un
popolo scosso dal dolore e dall'indignazione. Risultò scomparso José Guillermo
Capetillo, tarjador, la cui funzione era il registro di quello che si andava
scaricando dalla nave; nel 1999 sua sorella offrì testimonianza su quel fatto
vandalico nella Domanda agli Stati Uniti per Danni Umani. Di Manuel Codina, con
una lunga carriera nelle funzioni doganali, poco dopo il fatto si localizzò il
suo cadavere orribilmente mutilato. L'ispettore di dogana Arturo González Coca,
nonostante aver perso un braccio, rimase in vita. Risultarono vittime anche due
operatori della squadra di carico di uguale nome: Juan Rigores. Erano padre e
figlio; il più giovane lasciò la sua vita su quel molo. Suo padre, ferito, con
piacere avrebbe scambiato la sua fortuna con quella di suo figlio deceduto.
Tra gli addetti al ricevimento e trasferimento dell'armamento, una delle vittime
mortali fu Max Orúe Leyva — nonostante la sua gioventù era veterano di numerosi
combattimenti contro la dittatura nel Secondo Fronte Orientale Frank País — che
occupava un'importante responsabilità nella Sezione Materiale da Guerra dello
Stato maggiore dell'Esercito Ribelle. Tra altri militari che caddero si
trovavano anche i membri della Polizia Militare distaccata nella caserma di San
Ambrosio, Juan Francisco Aro Fernández e Reynaldo Lago González; della Sezione
del Trasporto della Direzione Logistica, Anselmo Rubiera Castillo, come gli
addetti ai serbatoi Miguel de los Ángeles Cotorruelo Lozano, Emilio Reyes
González, Pedro Manuel Suárez Figueredo, Argelio Tamayo Lago ed Agustín Astorga
Cardoso.
Di fronte al terrore: solidarietà e fermezza
rivoluzionaria
Il recupero delle vittime e la reazione ai risultati del sinistro non si fece
aspettare. In mezzo all'ululare delle ambulanze, delle sirene della polizia e
dei pompieri che arrivavano sul posto, si adoperavano, con celerità, tutti i
mezzi di trasporto disponibili per inviare verso i centri ospedalieri le decine
di feriti che faticosamente scappavano dall'imbarcazione o erano rimasti feriti
sul molo ed i suoi paraggi, posto quello nel quale rapidamente si riunirono per
aiutare le vittime ed affrontare le conseguenze del sinistro, non facendo caso
alla pericolosità regnante, tanto i più alti dirigenti rivoluzionari come
militari e poliziotti, lavoratori, operai portuali di altri moli, vicini ed
impiegati del circondario e perfino di posti molto distanti, alcuni dei quali
eludevano le barriere esistenti per offrire il loro aiuto solidale.
È di quel momento una delle più importanti testimonianze, ripetute da molti che
poterono osservarlo: la presenza del Comandante in Jefe Fidel Castro che assunse
immediatamente la direzione della reazione alle gravi conseguenze di quell'atto
terroristico; come lo sforzo di dissuaderlo di chi l'accompagnava che cercavano
di fermarlo nella sua avanzata verso la nave sinistrata. È riferito al
comandante Ernesto Che Guevara un'altra importante attestazione. Secondo il
pompiere Rafael Valdés, della caserma ubicata in Corrales e Zulueta, che accorse
tra i primi, ancora l'assalta l'emozione al ricordare il Che, che saltò sopra di
un'autocisterna che ostacolava l'accesso al molo per la sua principale via di
entrata e seguito dai suoi compagni si incamminò verso La Coubre, in mezzo al
denso fumo e l'esplosione delle munizioni e granate stivate all'interno del
buque3.
Si presentarono rapidamente anche Raúl, Almeida, il presidente Osvaldo Dorticós,
Ramiro Valdés, Efigenio Ameijeiras ed altri alti dirigenti e capi militari.
Alle
3 e 45 del pomeriggio accadde la seconda esplosione, qualificata dai testimoni
come tanto spaventosa o più della prima che seminò una nuova stele di morte e
distruzione tra coloro che aiutavano le prime vittime. Così cadde — uno tra
molti — Lucilo Peñalver Pedroso che aveva prestato il suo aiuto solidale dal
Mercato Unico, relativamente lontano, dove guadagnava il suo sostentamento; come
crebbe esponenzialmente la quota di feriti, tra essi il membro della Polizia
Nazionale Rivoluzionario capitano Juan Luis Rodríguez Infante (Bayamés) la cui
testimonianza e denuncia su questo fatto si ascoltò anche nella Domanda agli
Stati Uniti per Danni Umani. Gli effetti mortali dell'esplosione non si rimasero
circoscritti alle aree più vicine: Ramón Sánchez Alonso, taxista al Terminale
delle Ferrovie, secondo la stampa dell'epoca, morì colpito dai rottami di un
crollo nell'incrocio delle strade Arsenal ed Economia. In un ampio raggio gli
edifici subirono danni, alcuni di elevata gravità.
Espressione di dolore ed indignazione, ma anche di valutazione serena ed
oggettiva dell'evento, di denuncia degli autori principali e di riaffermazione
della volontà di lotta del popolo cubano fu l'intervento del capo della
Rivoluzione all'esequie delle vittime. Con argomenti irrefutabili, la
possibilità di un incidente per cattiva manipolazione del carico come causa del
sinistro fu completamente scartata: per comprovarlo, granate che la nave
trasportava, scaraventate a gran altezza nelle scatole che le contenevano, non
erano esplose, nonostante la rottura degli imballaggi e il roteare liberamente
sul terreno. I responsabili del sinistro erano chi si era opposto a che quelle
armi arrivassero al paese. "Gli interessati a che non ricevessimo questi
esplosivi", espresse Fidel, "sono i nemici della nostra Rivoluzione, quelli che
non vogliono che il nostro paese si difenda, quelli che non vogliono che il
nostro paese sia in condizioni di difendere la sua sovranità", precisando ancora
più: "l'hanno detto le stesse autorità nordamericane, i loro porta voci, gli
sforzi perché non si vendessero armi a Cuba".
Le azioni terroristiche già in opera e poco tempo dopo l'invasione di Playa
Girón, davano ragione a quella sentenza e confermavano ancora più l'identità dei
suoi veri responsabili. Ciò poté apprezzarsi nella sua migliore prospettiva al
conoscersi, attraverso documenti declassificati della stessa Agenzia Centrale di
Intelligence (CIA)4,
che da sette mesi prima — coincidente col fallimento del suo primo importante
piano contro la Rivoluzione, dopo il trionfo, che culminò con la congiura CIA
trujillista ed il fallito tentativo di invasione da Trinidad, agosto 1959 — le
più alte sfere governative nordamericane avevano deciso di iniziare una nuova
tappa nei piani per per eliminarla con la forza. Già dal mese di ottobre di
quell'anno la CIA fece i primi passi nella sua applicazione, col bombardamento
di zuccherifici e piantagioni; incrementò le azioni di spionaggio per
determinare, tra gli altri molti aspetti, le possibilità difensive del paese —
La Coubre aveva fatto il suo primo viaggio con armi belghe per Cuba nell'ottobre
1959 — e, nel gennaio 1960, due mesi prima della criminale azione, la CIA creó
la sua struttura organizzativa (Ramo 4 della Divisione dell'Emisfero
Occidentale) per assassinare Fidel Castro — così appare, esplicitamente, nel suo
primi documenti5
— ed abbattere la Rivoluzione attraverso un vasto piano sovversivo. Conclusione
di tutto ciò fu l'approvazione formale da parte del presidente Eisenhower di
questi piani, già in esecuzione, realizzata il 17 marzo 1960, appena trascorse
due settimane dall'orrendo crimine che oggi ricordiamo.
Quel minuto luttuoso si trasformò in un momento di virile riaffermazione
riassunto nelle parole di Fidel:
"E non solo sapremo resistere a qualunque aggressione, ma sapremo vincere
qualunque aggressione, e che nuovamente non avremmo altra alternativa che quella
con cui iniziammo la lotta rivoluzionaria: quella della libertà o la morte. Solo
che ora libertà vuole dire qualcosa di più ancora: libertà vuole dire patria. E
la nostra alternativa sarà:
Patria o Morte!"
* Investigatori del Centro di Investigazioni
Storiche della Sicurezza dello Stato.
1-La parola non è registrata nella lingua. Deriva dall'inglese winch [uinch],
argano; tornio di asse verticale usato nelle manovre che esigono grandi sforzi.
2-Operaio portuale che indica ai wincheros i movimenti da realizzare col carico
mediante segni.
3-Rolando I. Nogueira Castro: Pompieri contro il terrorismo. Memoria storica
Corpo dei Pompieri.
4-Agencia Centrale di Intelligence: Relazione del Direttore generale della CIA
sull'operazione di Baia dei Porci. Vedere Centro di Investigazioni Storiche
della Sicurezza dello Stato, CIHSE, e CITMATEL: Cuba Accusa, CD-Rom multimedia.
L'Avana, 2003.
5-Agencia Centrale di Intelligence: Memorandum per il Direttore dell'Agenzia
Centrale di Intelligence, attraverso il vicedirettore di piani, da parte del
capo della Divisione dell'Emisfero Occidentale J. C. King, 11 dicembre di 1959,
Archivio di Sicurezza Nazionale dell'Universidad George Washington.
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