Era il 9 gennaio 1992. Albeggiava
Cuba sotto un'atmosfera sanguinante che avrebbe avvolto tutto il nostro
arcipelago, in un attimo, di lutto e rabbia. Il terrore approfittava dell'alba,
di quel giovedì, per girare intorno alle coste del litorale di L'Avana, in
Tarerà, e spargere, nuovamente, sangue generoso di figli indimenticabili di
questa terra.
"Quella
notte io ero l'ufficiale superiore di guardia nella mia unità — ricorda il
capitano Ulises Boza Valdés, allora agente sostituto della Polizia Nazionale
Rivoluzionaria, PNR, di Santa María del Mar. All'improvviso vedo arrivare veloce
un'ambulanza e mi dicono: ‘Corra, che c'è una sparatoria in Tararà'. Subito
presi un arma e là mi diressi. Ero solo perché la struttura della stazione era
ridotta e la maggioranza era in pattuglia per strada.
Non avevo idea di quanto successo. Siccome conoscevo quella base nautica, per
esperienze di lavoro, relazionate col sequestro di
imbarcazioni, scesi
dall'ambulanza prima di raggiungere la
guardiola ed avanzai col fucile
pronto
per sparare. Di fronte alla casetta c'era già una
pattuglia, anche alcuni
medici.... Fu allora che vidi uscire Quintosa insanguinato, mormorandolo
all'orecchio all'ufficiale della
pattuglia: ‘Fu il violentatore, il
violentatore...'
"Entrai rapido nella stanza e mi imbattei nella cosa più disgustosa che potessi
aspettarmi. Non avevo mai visto nulla di simile. Io sono un contadino cubano. Io
so cosa significa legare bene qualcuno, mani e piedi, affinché non possa neppure
muoversi. E così stavano quei ragazzi, morti per coltellate e colpi sparati da
meno di un metro".
Non era questo il primo atto terroristico dentro l'estesa storia di crimini ed
aggressioni contro il nostro popolo, ma certo uno dei maggiori e più atroci
crimini commessi in Cuba; incoraggiato dalla cinica politica statunitense di
incentivare al massimo l'emigrazione illegale verso il loro territorio, come
strumento di lotta ideologica per promuovere l'indisciplina e l'instabilità
sociale nel nostro paese.
Sul filo della mezzanotte erano caduti indifesi, vittime dell'odio e del
tradimento, il membro delle Truppe guardie di frontiera Orosmán Dueñas e Valero
e Rafael Guevara Borges, del Corpo di Vigilanza e Protezione dell'allora Città
Pionerile José Martí.
Minuti dopo, moriva anche il sergente, di terza, della PNR Yuri Gómez Reynoso,
di appena 19 anni, nel tentativo, insieme al sergente, di prima, della Polizia,
Rolando Pérez Quintosa, di aiutare i loro compagni e respingere l'attacco.
Quest' ultimo morì il 16 febbraio 1992.
Tali giovani furono massacrati e mitragliati con accanimento da assassini
controrivoluzionari che cercavano di rubare una lancia della Base Nautica di
Tararà, per uscire illegalmente dal paese con rotta Stati Uniti.
"Fu molto duro. In quel momento decisi che era preferibile ed urgente trovare i
colpevoli affinché la giustizia li punisse, che tornare a presenziare ad
un'altra scena come quella. Per questo motivo non rientrai lì. Continuamente
arrivavano automobili di ogni tipo, con vari ufficiali di alto rango ed agenti
di polizia che eseguivano diversi ordini. Era chiaro che era un atto
terroristico estremamente perfido.
"Ricordo che il maggiore Óscar Callejas mi assegnò vari poliziotti per
controllare le basi nautiche de El Cayito, Guanabo... e prendere misure, al fine
di evitare che si rubassero altre imbarcazioni, poiché il tentativo in Tararà
fallì perché i motori delle lance erano disattivati. Lasciavamo di vigilanza
cinque o sei compagni in ogni posto. Ponemmo altri nelle case vicine, dove
stavano i malati di Chernobil, per impedire che prendessero come ostaggio
qualcuno di quei bambini.
"Passammo giorni in questo lavoro. Senza dubbio, i criminali diedero per morto
Quintosa e fuggirono fiduciosi che non ci fossero testimoni che denunciassero le
loro identità. Ma quando Rolando denunciò il violentatore, già sapevamo che
c'era un individuo, prima custode del posto, che aveva violato un'operaia di
quell'accampamento. Rapidamente fu rivisto il suo incartamento e si tentò di
localizzarlo in Barreas, dove viveva, ma non stava oramai lì. Così cominciò la
ricerca degli assalitori".
Il
giorno si annunciava grigio anche per Jorge Polanco Toledo, che in quello
momento era il secondo capo dell'Unità Territoriale 15 della PNR , in Celimar, e
si trovava allora di guardia, come ufficiale superiore.
"La notte dell' 8 avevo investigato su un furto nella Sala Polivalente di Tararà,
dove la moglie di Rafael era l'amministratrice e lì vidi vivo, per l'ultima
volta, Rolando, nel Posto 1 dell'accampamento. Egli e Yuri lavoravano con me.
Erano ragazzi allegri. Come figli per me. Essi, con altri giovani, avevano
trasformato la nostra piccola unità in un gran orgoglio. Ricordo come si
rapportavano coi più vecchi e facevano qualunque cosa con la maggiore volontà e
rispetto.
"Vengo a sapere dell'evento quando, all'alba, la telefonista Arminda mi comunica
che hanno legato il custode di Tararà. Quando arrivo, Ulises mi spiegò tutto.
Non voleva tornare a vedere i corpi. Io gli dissi: bisogna entrare. E lo fece.
Ma trovarmi coi miei compagni freddati in maniera tanto brutale, legati,
indifesi... fu doloroso e ripugnante.
"Orosmán era steso su un tavolo, pugnalato nella parte superiore della
cervicale. Rafael chinato, pugnalato allo stomaco, e Yuri, sulla porta,
crivellato di colpi.
"Propongo ad Ulises recingere la zona per preservare il posto fino a che
arrivasse il gruppo operativo e tranquillizzare un po' la gente, perché c'era
varie guardie di frontiere alterate. Nessuno capiva questa viltà. Io piansi,
nonostante i miei anni di esperienza in casi di omicidio.
"A partire da qundo incominciarono le investigazioni della polizia stemmo 36 ore
senza dormire. Esplorammo tunnel, percorremmo chilometri e così incominciò tutta
una ricerca popolare fino a catturare gli assassini".
I sette implicati nell'atroce crimine, diretti da Luis Miguel Almeida Pérez (il
violentatore), furono, in poco tempo, arrestati grazie all'effecace e rapida
operazione portata a termine dalle forze specializzate del MININT, il Sistema
Unico di Vigilanza e Protezione e l'attiva contribuzione del popolo cubano. Più
tardi, il 17 febbraio 1992, nella cerimonia funebre per la morte del combattente
Rolando Pérez Quintosa, Fidel affermava:
"Con Pérez Quintosa ed i compagni morti non accade come diceva Hemingway nel suo
romanzo "Per chi suona la campana" che ogni volta che un uomo moriva diminuiva
l'umanità. In questo caso non ci sentiamo ridotti, ci sentiamo accresciuti,
moltiplicati ed ispirati nei loro esempi. Essi seppero consegnare
coraggiosamente le loro vite per la Rivoluzione e per la Patria".
In quei
giorni in cui Quintosa agonizzava presso l'Istituto Superiore di Medicina
Militare Luis Díaz Soto (Ospedale Navale), l'atmosfera era molto convulsa. Il
popolo indignato condannava
il massacro di Tararà. Da varie parti arrivavano lettere infervorate e messaggi
di solidarietà ai parenti delle vittime.
"Ricordo che Manolo, il padre di Rolando, mi diceva: ‘Ho speranza', ricorda
Polanco. La notte in cui il ragazzo morì, sembrava che tutti avessero perso un
figlio nel Navale. Il silenzio in ogni angolo era terrificante e quell'alba di
febbraio faceva il più gran freddo del mondo.
"Il mio bambino più piccolo piangeva. Io conservavo e conservo ancora a casa,
alcuni ferri che Quintosa mi aveva dipinto per una mensola, che alla fine non
misi mai. Il ragazzino allora mi diceva: ‘Papi, questo non può buttarsi; deve
rimane qui per tutta la vita".
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