L'odio ammazza sotto istigazione yankee

 

A 15 anni dal perfido crimine commesso

 

nella Base Nautica di Tararà

 

8 gennaio 2007 - M.T.Aguilar www.granma.cubaweb.cu

 

 

Era il 9 gennaio 1992. Albeggiava Cuba sotto un'atmosfera sanguinante che avrebbe avvolto tutto il nostro arcipelago, in un attimo, di lutto e rabbia. Il terrore approfittava dell'alba,  di quel giovedì, per girare intorno alle coste del litorale di L'Avana, in Tarerà, e spargere, nuovamente, sangue generoso di figli indimenticabili di questa terra.

"Quella notte io ero l'ufficiale superiore di guardia nella mia unità — ricorda il capitano Ulises Boza Valdés, allora agente sostituto della Polizia Nazionale Rivoluzionaria, PNR, di Santa María del Mar. All'improvviso v
edo arrivare veloce un'ambulanza e mi dicono: ‘Corra, che c'è una sparatoria in Tararà'. Subito presi un arma e là mi diressi. Ero solo perché la struttura della stazione era ridotta e la maggioranza era in pattuglia per strada.


Non avevo idea di quanto successo. Siccome conoscevo quella base nautica, per esperienze di lavoro, relazionate col sequestro di imbarcazioni, scesi dall'ambulanza prima di raggiungere la guardiola ed avanzai col fucile pronto per sparare. Di fronte alla casetta c'era già una pattuglia, anche alcuni medici.... Fu allora che vidi uscire Quintosa insanguinato, mormorandolo all'orecchio all'ufficiale della pattuglia: ‘Fu il violentatore, il violentatore...'

"E
ntrai rapido nella stanza e mi imbattei nella cosa più disgustosa che potessi aspettarmi. Non avevo mai visto nulla di simile. Io sono un contadino cubano. Io so cosa significa legare bene qualcuno, mani e piedi, affinché non possa neppure muoversi. E così stavano quei ragazzi, morti per coltellate e colpi sparati da meno di un metro".

Non era questo il primo atto terroristico dentro l'estesa storia di crimini ed aggressioni contro il nostro popolo, ma certo uno dei maggiori e più atroci crimini commessi in Cuba; incoraggiato dalla cinica politica statunitense di incentivare al massimo l'emigrazione illegale verso il loro territorio, come strumento di lotta ideologica per promuovere l'indisciplina e l'instabilità sociale nel nostro paese.

Sul filo della mezzanotte erano caduti indifesi, vittime dell'odio e del tradimento, il membro delle Truppe guardie di frontiera Orosmán Dueñas e Valero e Rafael Guevara Borges, del Corpo di Vigilanza e Protezione dell'allora Città Pionerile José Martí.

Minuti dopo, moriva anche il sergente, di terza, della PNR Yuri Gómez Reynoso, di appena 19 anni, nel tentativo, insieme al sergente, di prima, della Polizia, Rolando Pérez Quintosa, di aiutare i loro compagni e respingere l'attacco. Quest' ultimo morì il 16 febbraio 1992.

Tali giovani furono massacrati e mitragliati con accanimento da assassini controrivoluzionari che cercavano di rubare una lancia della Base Nautica di Tararà, per uscire illegalmente dal paese con rotta Stati Uniti.

"Fu molto duro. In quel momento decisi che era preferibile ed urgente trovare i colpevoli affinché la giustizia li punisse, che tornare a presenziare ad un'altra scena come quella. Per questo motivo non rientrai lì. Continuamente arrivavano automobili di ogni tipo, con vari ufficiali di alto rango ed agenti di polizia che eseguivano diversi ordini. Era chiaro che era un atto terroristico estremamente perfido.

"Ricordo che il maggiore Óscar Callejas mi assegnò vari poliziotti per controllare le basi nautiche de El Cayito, Guanabo... e prendere misure, al fine di evitare che si rubassero altre imbarcazioni, poiché il tentativo in Tararà fallì perché i motori delle lance erano disattivati. Lasciavamo di vigilanza cinque o sei compagni in ogni posto. Ponemmo altri nelle case vicine, dove stavano i malati di Chernobil, per impedire che prendessero come ostaggio qualcuno di quei bambini.

"Passammo giorni in questo lavoro. Senza dubbio, i criminali diedero per morto Quintosa e fuggirono fiduciosi che non ci fossero testimoni che denunciassero le loro identità. Ma quando Rolando denunciò il violentatore, già sapevamo che c'era un individuo, prima custode del posto, che aveva violato un'operaia di quell'accampamento. Rapidamente fu rivisto il suo incartamento e si tentò di localizzarlo in Barreas, dove viveva, ma non stava oramai lì. Così cominciò la ricerca degli assalitori".

Il giorno si annunciava grigio anche per Jorge Polanco Toledo, che in quello momento era il secondo capo dell'Unità Territoriale 15 della PNR , in Celimar, e si trovava allora di guardia, come ufficiale superiore.

"La notte dell' 8 avevo investigato su un furto nella Sala Polivalente di Tararà, dove la moglie di Rafael era l'amministratrice e lì vidi vivo, per l'ultima volta, Rolando, nel Posto 1 dell'accampamento. Egli e Yuri lavoravano con me. Erano ragazzi allegri. Come figli per me. Essi, con altri giovani, avevano trasformato la nostra piccola unità in un gran orgoglio. Ricordo come si rapportavano coi più vecchi e facevano qualunque cosa con la maggiore volontà e rispetto.

"Vengo a sapere dell'evento quando, all'alba, la telefonista Arminda mi comunica che hanno legato il custode di Tararà. Quando arrivo, Ulises mi spiegò tutto. Non voleva tornare a vedere i corpi. Io gli dissi: bisogna entrare. E lo fece. Ma trovarmi coi miei compagni freddati in maniera tanto brutale, legati, indifesi... fu doloroso e ripugnante.

"Orosmán era steso su un tavolo, pugnalato nella parte superiore della cervicale. Rafael chinato, pugnalato allo stomaco, e Yuri, sulla porta, crivellato di colpi.

"Propongo ad Ulises recingere la zona per preservare il posto fino a che arrivasse il gruppo operativo e tranquillizzare un po' la gente, perché c'era varie guardie di frontiere alterate. Nessuno capiva questa viltà. Io piansi, nonostante i miei anni di esperienza in casi di omicidio.

"A partire da qundo incominciarono le investigazioni della polizia stemmo 36 ore senza dormire. Esplorammo tunnel, percorremmo chilometri e così incominciò tutta una ricerca popolare fino a catturare gli assassini".

I sette implicati nell'atroce crimine, diretti da Luis Miguel Almeida Pérez (il violentatore), furono, in poco tempo, arrestati grazie all'effecace e rapida operazione portata a termine dalle forze specializzate del MININT, il Sistema Unico di Vigilanza e Protezione e l'attiva contribuzione del popolo cubano. Più tardi, il 17 febbraio 1992, nella cerimonia funebre per la morte del combattente Rolando Pérez Quintosa, Fidel affermava:

"Con Pérez Quintosa ed i compagni morti non accade come diceva Hemingway nel suo romanzo "Per chi suona la campana" che ogni volta che un uomo moriva diminuiva l'umanità. In questo caso non ci sentiamo ridotti, ci sentiamo accresciuti, moltiplicati ed ispirati nei loro esempi. Essi seppero consegnare coraggiosamente le loro vite per la Rivoluzione e per la Patria".


In quei giorni in cui Quintosa agonizzava presso l'Istituto Superiore di Medicina Militare Luis Díaz Soto (Ospedale Navale), l'atmosfera era molto convulsa. Il popolo indignato condannava il massacro di Tararà. Da varie parti arrivavano lettere infervorate e messaggi di solidarietà ai parenti delle vittime.

"Ricordo che Manolo, il padre di Rolando, mi diceva: ‘Ho speranza', ricorda Polanco. La notte in cui il ragazzo morì, sembrava che tutti avessero perso un figlio nel Navale. Il silenzio in ogni angolo era terrificante e quell'alba di febbraio faceva il più gran  freddo del mondo.

"Il mio bambino più piccolo piangeva. Io conservavo e conservo ancora a casa, alcuni ferri che Quintosa mi aveva dipinto per una mensola, che alla fine non misi mai. Il ragazzino allora mi diceva: ‘Papi, questo non può buttarsi; deve rimane qui per tutta la vita".