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27 novembre '08 -
J.C.Bonino
www.granma.cu |
Globalizzazione centroamericana • Violenza • Narcomafie • Petrocaribe/Alba • Alimenti e crisi alimentare
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L’America Centrale ha attraversato lungo la sua storia recente un periodo di dittature e movimenti di liberazione conclusi con gli accordi di pace degli anni novanta, seguiti dalla globalizzazione neoliberista di riforme strutturali e privatizzazioni dei settori strategici degli stati nazionali e infine negli ultimi cinque anni una stagione di negoziati di trattati di libero commercio tra le aristocrazie native allineate con i poteri del nord, prima con gli USA con il DR-CAFTA (concluso con il referendum per la sua entrata in vigore in Costa Rica un anno fa) e ora con l’Accordo di Associazione tra l’Unione Europea e il centroamerica ADA UE-CA la cui quinta ronda di negoziati si tiene in Guatemala dal 6 al 10 ottobre. In questo round si discuterà "prodotto per prodotto"; si arriverà cioè al nocciolo della negoziazione in cui si esibiranno le prove di coesione e i conflitti d’interessi.
Oggi il centroamerica è frutto di una serie di cambiamenti che iniziarono con il fallimento delle dittature in America centrale, in concerto con il crollo del comunismo reale. Questi sconvolgimenti diedero via libera nel 1989 al consenso di Washington che stabilì in tutta la regione i comandamenti della globalizzazione. Queste riforme strutturali spingevano verso l’accumulazione della ricchezza e lo smantellamento dello Stato nazionale: dalla privatizzazione dell’educazione e della salute, passando per la svendita dei settori strategici delle economie nazionali (telefonia, elettricità e acqua), prima rendendoli deficitari (per non avere movimenti di piazza al momento di privatizzarli con la promessa di migliorarli) per successivamente dividerli in bad and good company vendendo quest’ultima a prezzo stracciato alle multinazionali.
Il caso del Nicaragua ha visto la multinazionale spagnola Union Fenosa (distribuzione elettrica) in un vicolo cieco con in fondo il centro di risoluzioni delle controversie della Banca Mondiale; parere favorevole alla multinazionale e l’impossibilità del governo sandinista di pagare il prezzo della rinazionalizzazione dell’antico Instituto Nicaraguense de Energia INE. L’Honduras, tanto quanto il Guatemala sono state invase dalla miniera a cielo aperto con in testa la multinazionale Glamis Gold ltd. che lavora in tutto il centramerica con prestiti della BM; questa multinazionale, secondo l’organizzazione ambientalista Madreselva, utilizza in un’ora l’acqua che una famiglia utilizzerebbe in 22 anni.
Le privatizzazioni sono giunte anche al credito per il settore di piccoli produttori, in Nicaragua si è passato dal 34% nel 1993 al 4% dieci anni dopo, mentre il settore commerciale è passato dal 37% al 84% nello stesso periodo.
A distanza di quasi 20 anni questi cambiamenti si sono tradotti nella regione (per la sua natura contadina e produttrice di materie prime) nello smantellamento dell’agricoltura sostenibile, dei sistemi alimentari locali e delle reti sociali su cui poggiano. Un modello che ha spinto progressivamente il centroamerica verso la vulnerabilità alimentare e la dipendenza dalle importazioni di cereali USA altamente sovvenzionati.
La conseguenza successiva è stato l’esodo rurale, con una massiccia decontadinizzazione a livello regionale e annessa controriforma agraria per via dell’insolvenza dei piccoli produttori: l’ipoteca delle loro proprietà come garanzia per l’acquisto di concimi e semi, il pignoramento per l’impossibilità di pagare alla prima oscillazione dei prezzi nei mercati internazionali del nord o al primo uragano che si forma nei Caraibi, per poi finire in mano ai nuovi latifondisti tramite le aste delle banche private. Questi contadini senza terra sono finiti accalcati nelle città ingrossando le bidonvilles. Nelle città sovraffollate li attendevano le multinazionali straniere del subappalto (le fabbriche di assemblaggio tessile in cui lavorano prevalentemente donne) "las maquilas", previo smantellamento dei sindacati locali e la creazione di "sindacati bianchi" al comando dei proprietari, con un salario minimo che si aggira intorno ai 30 centesimi di euro all’ora.
L’emigrazione internazionale è invece riservata di più agli uomini, pochissimi dei quali giungono a destinazione. A coloro che non sono in grado di emigrare è riservato il sottoimpiego in cui si concentra il 41% della popolazione attiva della regione.
Due decenni o quasi di questa globalizzazione hanno provocato una metamorfosi nell’architettura dell’accumulazione nel centro America. Da tre si è passati ad avere cinque classi sociali di cui una all’estero, gli "expatriados": in cima un’elite di dieci famiglie (secondo uno studio di El Periodico di Guatemala) che controllano la regione; sotto di loro una classe di 80 milionari (secondo la rivista Estrategia & Negocios di Costa Rica) che aspirano ad entrare nella cupola dei vip della globalizzazione in Centroamerica, sotto una classe media ogni volta più povera formata da professionisti, commercianti e burocrati dello stato. Al di sotto ancora, il 70% dei centroamericani che vivono con meno di tre euro al giorno. All’estero poi ci sono gli espatriati, circa 4,5 milioni di centro americani su i 37 milioni, di cui il 75% negli USA. Questo modello viene popolarmente chiamato "Hood Robin": le rimesse entrano alla regione e rappresentano il 15% del pil regionale (nel 2007 circa 17 mila milioni di dollari con un incremento del 10% annuo, anche se la tendenza è a diminuire per via della crisi USA) e vengono quasi interamente spese dai poveri in beni e servizi, merce e servizi venduta al dettaglio dai commercianti che si riforniscono dai grandi importatori (gli ottanta milionari), essi a loro volta si dotano di capitali dalle dieci famiglie che controllano la regione e utilizzano questo flusso ascendente di ricchezza per poi utilizzare i guadagni all’estero perché il Centro America non dà garanzie.
Due decenni o quasi di questo neoliberismo hanno attirato da una parte l’arrivo massiccio della cooperazione internazionale, per sopperire agli effetti collaterali. Il Guatemala, l’Honduras e il Nicaragua si trovano tra i 9 paesi a livello globale che ricevono più cooperazione internazionale. Inoltre, il 60% della cooperazione internazionale dell’UE per l’America Latina viene data al centroamerica che rappresenta solo il 7% della popolazione latinoamericana. Nella regione escludendo la Costa Rica, la cooperazione internazionale rappresenta in media il 15% del PIL. Simile è la percentuale delle rimesse degli espatriati, di cui El Salvador detiene il primato nell’istmo, con la minore spesa sociale della regione 6,6% del PIL e più del 90% dei suoi fiumi inquinati. Situazione che ha espulso un terzo della sua popolazione, 2,5 milioni di salvadoregni che vivono attualmente all’estero, prevalentemente negli USA, mentre in patria il 70% dei salvadoregni sopravvivono grazie alle rimesse.
Le rimesse e la cooperazione costituiscono oggi la colonna portante dell’economia di questi paesi e rappresentano circa il 30% del PIL, con il quale i governi dell’istmo tengono a galla l’economia della regione in una versione tropicale della globalizzazione (alla) centroamericana.
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E STATO
Un altro dei punti di frattura nella regione è la criminalità organizzata che affligge maggiormente il così detto "triangolo del nord" (Guatemala, El Salvador e Honduras). Il centroamerica si trova tra i più grandi produttori e consumatori di cocaina; per ogni grammo che arriva agli USA dalla Colombia, il 90% del suo prezzo si gioca sul trasporto attraverso il centroamerica e il Messico. L’anno scorso secondo l’UNDOC (l’ufficio delle Nazioni Uniti contro la droga e il crimine) si calcola siano passati 72 tonnellate attraverso l’istmo. Inoltre è una delle tre aree al mondo (tra cui anche l’Europa) in cui il traffico di cocaina è aumentato di oltre il 10% nell’ultimo anno. Altro fattore della crescita della violenza è l’intensificarsi della lotta al narcotraffico in Messico, che sta facendo scivolare verso il triangolo del nord le reti di crimine organizzato.
Le droghe illecite, si sa, giocano un ruolo strategico come alibi per il controllo militare. Allo stesso modo che il Plan Colombia, si è creato promosso dagli USA un suo alias per il Messico e il centro america il Plan Merida, messo appunto nell’ottobre 2007, venduto come un’iniziativa per combattere il crimine e il traffico di stupefacenti nella regione. Il senato nordamericano nel maggio scorso ha stanziato 450 milioni di dollari, di cui 350 destinati al Messico e 100 all’America centrale. Il mese dopo il sottosegretario di stato USA John Negroponte (ambasciatore degli USA in Honduras tra il 1981-1985 durante gli anni della messa appunto della contra, mercenari assoldati dagli USA per boicottare la rivoluzione sandinista in Nicaragua e dello scandalo Iran-Contras) ha viaggiato nel triangolo del Nord "con la preoccupazione del crescente potere corruttore delle narco-mafie e la facilità che hanno di infiltrarsi nelle strutture statali".
La criminalità organizzata nel triangolo del nord ha di fatto prolungato la violenza iniziata durante i conflitti armati, nell’intera regione si presume circolino più di 2 milioni di armi da fuoco illegali; In Guatemala esiste una subordinazione del potere civile a quello militare dell’esercito, autore del 98% dei massacri che si presumano siano mille. Le ragioni che generarono il conflitto armato sono rimaste intatte. Dei 626 massacri documentati dalla Commissione della Verità e la Riconciliazione REHMI, secondo l’ONU si è processato un solo caso nei tribunali guatemaltechi e delle 45mila denunce di sparizioni forzate attribuite ai militari e paramilitari non se n’è investigata alcuna. L’anno scorso si sono vendute circa 50 milioni di munizioni, più del doppio del 1995, ultimo anno del conflitto armato. Dal lato della terra, le aree coltivabili del Guatemala sono in mano al 2% dei latifondisti mentre il 94% della popolazione dispone del 18% della terra.
Il binomio tra accordi di pace mancati e infiltrazione delle reti mafiose nello Stato, hanno alimentato la progressiva erosione dello spazio politico d’azione dei governi, alimentando la corruzione in una regione in cui la politica è quasi sempre un bussines ogni giorno più intrecciato al narcotraffico. In Guatemala sulla scia del narcobusiness, si vede con particolare gravità come il potere corruttore delle narco-mafie penetrano facilmente nelle strutture statali in un meccanismo para-politico. Lo scandalo dello spionaggio al presidente Colom a inizio settembre la dice lunga e prima ancora nel 2007 con l’assassinio dei tre deputati salvadoregni del parlamento centroamericano PARLACEN e la successiva sparizione di prove e uccisione di capri espiatori, inoltre, la campagna elettorale dell’anno scorso è stata accompagnata da più di 50 assassini politici. Secondo il procuratore dei diritti umani "non si tratta solo di lavaggio di narcodollari e trasporto di stupefacenti verso il nord, adesso si tenta di creare dei laboratori e piattaforme di rinvio della droga in Guatemala, i cartelli stanno comprando delle haciendas nella frontiera con il Messico e hanno finanziato deputati e sindaci delle città del nord oriente del Guatemala". Uno degli accusati di ricevere finanziamenti dei cartelli e di essere stato implicato nella morte dei deputati salvadoregni del PARLACEN che viaggiavano a Guatemala è l’ex deputato e sindaco di Jutiapa Manuel Castillo. Testimonianze dirette da preti indigeni raccolte un mese fa, raccontano di come i sindaci di città vicine alla capitale chiudano lunghi tratti di strade a notte fonda, mettendo gorilla travestiti da poliziotti a sbarrarle, nel giro di 2 ore che l’aereo ha scaricato la merce, tutto torna alla normalità senza il problema "pista clandestina".
Il problema del crimine organizzato si estende in tutto l’istmo, per qualche anno si è puntato con scarsi risultati a promuovere programmi repressivi per combatterla puntando il dito sulle maras (gruppi delinquenziali di giovani) tra cui la strategia"Cero Tolerancia" (Honduras, 2001), il Plan "Escoba" (Guatemala, 2003), e il Plan "Mano Súper Dura" (El Salvador, 2004). Le maras infatti sono state criminalizzati e utilizzate come capro espiatorio della situazione di violenza che si vive nel triangolo del Nord, dove più della metà della sua popolazione ha meno di 24 anni. Questi programmi repressivi sono andati ad oltranza ignorando dichiarazioni del PNUD che affermavano che dei crimini del 2007 in Honduras solo l’11% è attribuibile alle maras, in Guatemala un 14% secondo uno studio della polizia e in El Salvador il 12% secondo l’istituto di Medicina Legale.
Questa campagna si è fermata solo nelle ultime elezioni dell’Honduras in cui il candidato Porfirio Lobo Sosa PARTITO ha perso le elezioni contro Zelaya per i toni alti del suo discorso di repressione alle bande giovanili, allo stesso modo che Otto Perez Molina PARTITO con la sua campagna elettorale della mano dura in Guatemala contro Alvaro Colom.
PETROCARIBE, ALBA, ALIMENTI E CRISI ALIMENTARE
Il nuovo quadro geopolitico nell’istmo viene modellato dal diffondersi della crisi finanziaria negli USA che aumenta la disoccupazione, riduce le rimesse e colpisce l’export centro americano verso il vicino del nord e dalla sponda opposta tentando di contenere i danni dall'influenza di Petrocaribe "il braccio energetico" dell'Alternativa Bolivariana per le Americhe che sta portando i governi di Alvaro Colom (Guatemala) e Zelaya (Honduras) entrambi socialdemocratici di destra, verso l'ALBA, alter-ego dei TLC proposti dal nord del mondo.
Petrocaribe, contraddicendo la logica neoliberista fonda le sue basi nella cooperazione energetica orizzontale e la solidarietà tra i popoli, tenendo conto delle asimmetrie degli stati e con l’obbiettivo di creare progetti sociali e d’infrastrutture. Inoltre cerca il coordinamento di politiche energetiche, cooperazione tecnologica, e potenziamento di fonti alternative.
Petrocaribe è nato il 29 di giugno del 2005, con la partecipazione del Venezuela e di 13 paesi dei Caraibi, oggi 17 con tre paesi del centro America e Venezuela: Antigua e Barbuda, Bahamas, Belice, Cuba, Dominica, Granada, Guatemala, Guyana, Honduras, Giamaica, Nicaragua, Repubblica Dominicana, San Cristóbal e Neves, Santa Lucía, San Vicente y las Granadinas, Suriname e Venezuela.
Petrocaribe si è creato sotto proposta del presidente del Venezuela Hugo Chavez con l’intenzione di dare sicurezza energetica ai suoi membri e rendere flessibili i pagamenti per contrastare il continuo rincaro del greggio e gli effetti negativi che crea nel sud del mondo. La formula proponeva che con il barile a 100 dollari i paesi membri pagassero il 40% della fattura petrolifera a 90 giorni e il resto a 25 anni con un tasso dell’ 1% annuo. Se il prezzo del greggio superava i 150 dollari al barile i paesi membri dovrebbero pagare il 30% a 90 giorni e il restante 70% a 30 anni.
Dei paesi centroamericani il primo membro ad entrare in Petrocaribe è stato il Nicaragua nell’agosto 2007 durante il terzo summit, il seguente paese è stato L’Honduras del governo Zelaya nel quarto summit e nel quinto Guatemala; Costa Rica per ora ha sollecitato l’ingresso formale.
Nel quinto Summit di Petrocaribe lo scorso luglio a Maracaibo, Venezuela, si decise la creazione di una impresa mista, la "Grannacional de Energia". In controtendenza all’operato delle multinazionali, si invitano i paesi membri a partecipare fin dalla estrazione del greggio nella Striscia dell’Orinoco nel Venezuela e in questo modo acquisire conoscenze e benefici fin dalle basi.
Attualmente Petrocaribe distribuisce circa 140mila barili giornalieri ai suoi membri a condizioni favorevoli per un ammontare di 800 milioni di dollari secondo Asdrúbal Chávez, vicepresidente di Petróleos de Venezuela (PDVSA)
Petrocaribe però, opera in un centro America che sostanzialmente non ha produttori di petrolio e con una dipendenza dagli idrocarburi che dal 1990 ad oggi si è incrementata del 557%, insieme a problemi alimentari storici: "tra il 1940 e il 2004 si sono prodotte più di 2,6 milioni di morti associate alla denutrizione nella regione centroamericana, e questo numero di morti evitabili è maggiore al totale delle vittime dei conflitti armati in quei decenni", recita la relazione del 2007 del PMA e del CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina).
La povertà oggi giunge in Honduras al 75%, in Guatemala 51%, in Nicaragua 41% e in El Salvador al 35%, in tutti i casi con una forte componente esogena. In Nicaragua dei 17 punti percentuali della sua inflazione, la più alta della regione, si calcola che l’8% arriva dalla congiuntura globale di crisi: la recessione USA, l’effetto etanolo, seguito dagli sbalzi del prezzo del greggio che catalizzano la reazione irradiando la carestia nella maggioranza impoverita della popolazione, infatti con l’attuale crisi alimentare c’e il rischio che altri 800.000 centroamericani entrino a ingrossare le fila dell’indigenza perché paesi importatori di alimenti.
Con il progressivo smantellamento delle funzioni dello Stato nella regione, oggi prevale l’incapacità della politica pubblica d’incidere nei modelli d’offerta alimentare, perché buona parte degli strumenti del passato, aboliti con l’arrivo del consenso di Washington, come i sussidi ai piccoli produttori, i poteri d’acquisto delle imprese statali e il controllo dei prezzi dei prodotti cerealicoli (su cui poggia l’autosufficienza alimentare, non solo in centro America, ma anche in Europa) sono spariti e le politiche pubbliche sono rimaste subordinate al raggiungimento degli equilibri macroeconomici, decisi negli istituti finanziari e nei dipartimenti di economia del nord del mondo.
Per combattere questa crisi è stato creato il fondo prima chiamato "Petro-alimentos" e dalla riunione dei ministri dell’agricoltura all’Avana a metà agosto "Alba-alimentos". Con l’intenzione di coordinare le politiche in ambito agro-alimentare, composto da un consiglio dai ministri di agricoltura dei paesi membri. Questo fondo si sta utilizzando dal 1 ottobre per la produzione di alimenti, tramite la donazione di concimi e semi migliorati unicamente per i piccoli e medi produttori, si intende anche promuovere tecnologie agricole sostenibili, con una serie di programmi sociali in tutta la regione a beneficio della maggioranza. Inoltre in questa riunione si approvarono due milioni di dollari per ciascuno dei paesi membri da utilizzarli nella semina di postrera che inizia in questo mese.
L’ALBA con Petrocaribe va in controtendenza all’effetto etanolo (che fabbrica alimenti con i combustibili) tentando di ricavare dei proventi dell’aumento del prezzo del petrolio, un’arma per contrastare la crisi alimentare che si sta diffondendo in centro America e nei caraibi, il quarto mondo latinoamericano spinto nella modernizzazione senza biglietto di ritorno.
BOX NICARAGUA
Il Nicaragua alla fine del secondo anno di governo dei Sandinisti di Daniel Ortega, stretto tra promesse, nuovi compromessi e vecchi nemici, ha riprodotto il clientelismo come "modus operandi di governance" ed ha centralizzato il potere in mano alla sua famiglia e una ristretta cerchia di collaboratori. E benché abbia fatto passi avanti come la gratuità della salute e l’educazione, il programma Hambre Cero (omologo di Fome Zero di Lula), Usura Cero per lottare contro gli intermediari finanziari, insieme a sussidiare il trasporto e i prezzi dei cereali alla base della sicurezza alimentare del Nicaragua, ha anche penalizzato l’aborto terapeutico per avere la benedizione del suo storico nemico, il Cardinale Obando y Bravo e riuscire ad essere eletto nel novembre 2006. Il Nicaragua con Daniel Ortega è senza dubbio meglio che senza, e da quanto si legge nell’elettorato nica, hanno la possibilità di vincere le prossime elezioni municipali del 9 novembre, ma adesso l’interrogativo si sposta verso il dopo-Ortega: riuscirà ad avere l’appoggio per rieleggersi nelle elezioni del 2011 o dobbiamo aspettarci altri 16 anni di neoliberismo, quanti prima del suo ritorno?
BOX EL SALVADOR
In El Salvador il molto criticato mandato del governo di Antonio Saca sta arrivando alla fine e il nuovo candidato del FMLN (Farabundo Martì per la liberazione nazionale, la ex guerriglia ora diventata un partito politico di opposizione) Mauricio Funes, un giornalista "pianta grane" di molta credibilità ha molte possibilità di vincere, ma riceverà all’unico paese centroamericano imprigionato nella dollarizzazione. Secondo un economista Salvadoregno Cesar Villalona, la minoranza ricca di El Salvador, assieme alla classe politica attualmente al potere di ARENA, ha voluto a tutti i costi la dollarizzazione dell’economia nel 2001 (e contrariamente alle promesse non ha fatto che accrescere gli squilibri preesistenti) per tutelarsi da un’eventuale salita al potere del FMLN, attraverso la dollarizzazione possono eventualmente controllare e destabilizzare il paese anche dall’esterno, manovrando i flussi e deflussi di capitale. Alcuni ex-presidenti del paese insieme a dirigenti di ARENA, la cupola conosciuta come La Tandona sono entrati in panico all’idea che Funes una volta al potere cancelli la legge ad hoc di amnistia e dover affrontare le loro responsabilità sui crimini durante la guerra. Per le irregolarità finanziarie delle privatizzazioni delle istituzioni dello Stato e per una serie di massacri tra cui quella di El Mosote rimaste ancora senza colpevoli. Il settore finanziario inoltre ha la fobia che Funes faccia una riforma tributaria e i ricchi inizino a pagare le tasse che li corrispondono.
Il programma di governo del FMLN punta a
garantire salute e l’educazione di qualità cominciando da una campagna di
alfabetizzazione.
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