4 marzo '08 - Samir Lamrani www.prensa-latina.cu

 

 

 

Fidel Castro ed

 

il futuro di Cuba

 

 


Il 19 febbraio 2008, in un messaggio destinato ai suoi compatrioti, Fidel Castro annunciò ufficialmente che non si sarebbe postulato ad un nuovo mandato presidenziale. Si tratta, senza alcun dubbio, di un annuncio di un'importanza storica trascendentale. Dopo avere esercitato la carica di Primo Ministro durante quasi 18 anni (febbraio del 1959–gennaio del 1976) ed occupare il posto di Presidente della Repubblica dal 2 dicembre 1976 al 31 luglio 2006, il più famoso leader rivoluzionario del secolo XX si ritirò della vita politica ufficiale quattro giorni prima delle elezioni che avrebbero designato i membri del Consiglio di Stato e del consiglio dei Ministri ed il suo presidente (1). Le ragioni di questa decisione  

Lo stato di salute di Fidel Castro spiega in gran parte questa decisione. Inoltre, sottolineò la necessità di preparare psicologicamente e politicamente il popolo cubano per la sua assenza. Si trattava secondo lui del suo primo obbligo. Per queste ragioni, informò il popolo cubano del suo desiderio. “Ai miei cari compatrioti che mi fecero l'immenso onore di scegliermi in giorni recenti come membro del Parlamento [...], comunico loro che non aspirerò né accetterò –ripeto–non aspirerò né accetterò, la carica di Presidente del Consiglio di Stato e Comandante in Capo (2)”.  

Il leader cubano diede prove di lucidità al riguardo. “Tradirebbe, pertanto, la mia coscienza occupare una responsabilità che richiede una mobilità e dedizione totale che non sono in condizioni fisiche di offrire [...]. Prepararsi sempre per la peggiore delle varianti. Essere tanto prudenti nel successo quanto fermi nell'avversità, è un principio che non si può dimenticare”, dichiarò (3).  

Questa decisione è logica nella misura in cui Fidel Castro aveva dato già segni della sua volontà di non afferrarsi alle cariche ed essere conseguente fino alla fine, in una lettera del 17 dicembre 2007 (4). La popolazione cubana accolse la notizia senza sorpresa, con calma e tranquillità, ma anche con una certa tristezza, dimostrarono con varie manifestazioni di appoggio e solidarietà verso il loro leader nella capitale ed attraverso il paese (5). “Molta gente è triste, oggi”, ha detto Associated Press. “Cuba reagì alla ritirata di Castro il martedì con una calma sorprendente [...]. Si trattava di un giorno come un altro [...]. Nessuno sembrava avere repentine perturbazioni –e ancora meno un collasso totale–del sistema socialista”, aggiunse l'agenzia di stampa statunitense (6).  

 
Le reazioni negli Stati Uniti  
 

Da parte degli Stati Uniti, le dichiarazioni di ingerenza si sono moltiplicate e furono intrise, come di abitudine, di un certo tanfo colonialista. Il presidente Bush affermò che la comunità internazionale avrebbe dovuto lavorare col popolo cubano per incominciare a costruire delle istituzioni necessarie per la democrazia. Da parte sua, il senatore John McCain dell'Arizona, candidato del partito repubblicano alle elezioni presidenziali, sottolineò la necessità di fare delle pressioni al regime cubano (7).  

Perfino la candidata democratica, Hillary Clinton, ha dato segnali della sua incapacità di liberarsi della politica obsoleta della Casa Bianca. “Abbiamo bisogno di un presidente che lavori coi paesi del mondo intero, con l'Europa, con l'emisfero occidentale per fare delle pressioni su Cuba” (8).  

Il senatore democratico del Connecticut, Christopher Dodd, lanciò un appello alla ragione: “il bloqueo degli Stati Uniti contro Cuba è uno delle politiche estere più inefficaci e retrograde della storia. Oggi, gli Stati Uniti hanno finalmente un'opportunità di cancellare tutto e cominciare da zero”. Il congressista repubblicano dell'Arizona, Jeff Flake, da parte sua, auspicò una nuova messa a fuoco verso Cuba da parte del governo statunitense (9).  

Lo stesso giorno dell'annuncio ufficiale di Fidel Castro, 104 membri del Congresso degli Stati Uniti di un totale di 435, inviarono una lettera aperta alla segretaria di Stato Condoleezza Rice esigendo una revisione totale della politica di Washington verso Cuba. “Dopo 50 anni, consideriamo che è già ora di pensare ed agire in una forma nuova”. I firmatari hanno insistito sull'assoluta mancanza dei risultati: Per cinque decenni, la politica statunitense scommise sulle sanzioni economiche e l'isolamento diplomatico per obbligare il governo cubano al cambiamento. L'evoluzione della situazione dimostra che questa politica non ha funzionato (10).  

Ma John Negroponte, sottosegretario aggiunto, assicurò in maniera categorica che le sanzioni economiche anacronistiche ed inumane su Cuba non si toglieranno e che la politica ostile verso Cuba seguirà il suo corso (11).  

Queste parole illustrano l'incapacità di Washington di accettare la realtà di una Cuba sovrana ed indipendente. Gli Stati Uniti si accaniscono in maniera crudele, disperata e controproducente su un piccolo paese del Terzo Mondo che si rifiuta di chinare la testa, senza ammettere che la sua strategia di stato di assedio che applica da mezzo secolo è uno strepitoso fallimento.  


Le reazioni europee

 
 
I paesi dell'Unione Europea non diedero prova di sagacità ripetendo la stessa retorica di Washington e dimenticando che L'Avana non accetta nessuna ingerenza nei suoi temi interni. Il Primo Ministro francese, François Fillon, ha esatto un'evoluzione del regime cubano verso la democrazia (12). Il ministero degli Affari Esteri britannico, da parte sua, lanciò un appello per un maggiore rispetto dei diritti umani e di riforme politiche ed economiche più ampie. A Bruxelles, Javier Solana, l'alto rappresentante della politica estera e della Sicurezza Comune dell'Unione Europea, alluse anche ad un processo di transizione democratica (13). Il presidente del Parlamento Europeo Hans-Gert Poettering adottò lo stesso discorso (14).  

Perfino la Spagna che auspica un avvicinamento ed il dialogo con L'Avana, non ha potuto evitare l'espressione di parole inaccettabili e graffianti verso i cubani. L'ambasciatore spagnolo a Washington, Carlos Westendorp, espresse al riguardo: “Possiamo avere discrepanze con le comunità cubane e coi nostri amici negli Stati Uniti rispetto alla relazione con Cuba, ma sono più tattiche che strategiche” (15).  

L'obiettivo dichiarato di Washington è restituire a Cuba il suo status di neocolonia, come lo dimostrano le leggi Torricelli di 1992 e Helms-Burton di 1996, come le due relazioni della Commissione di Assistenza per una Cuba Libera del 2004 e del 2006 (16). Affermare che Madrid persegue lo stesso obiettivo non è altro che un'infamia morale ed una vigliaccheria politica.  

L’Italia, benché favorisca l'eliminazione delle sanzioni politiche e diplomatiche come dell'illegittima Posizione Comune che l'Europa impone a Cuba, non fu più ispirata, benché abbia avuto una messa a fuoco più costruttiva. Il sottosegretario degli Affari Esteri per l'America Latina, Donato di Santo, alluse anche “ad una transizione democratica ed al rispetto dei diritti umani” (17).  

Le nazioni del Vecchio Continente dimostrarono la loro totale incapacità per adottare una politica pragmatica ed indipendente dall'influenza statunitense rispetto a Cuba. L'arroganza e la pretesa furono evidenti. Conviene ricordare che Bruxelles soffre un'assoluta carenza di legittimità morale per dare lezioni a Cuba sulla democrazia ed i diritti umani, come dimostrano le relazioni annuali di Amnesty International (18). Ma alla Vecchia Europa costa molto liberarsi dal sentimento di superiorità che la caratterizza.  

 
Le reazioni dell'America Latina e del Terzo Mondo  



 
In America Latina, le reazioni furono differenti. La Bolivia di Evo Morales assicurò che le relazioni con Cuba continueranno ad essere eccellenti. Si tratta di una relazione da Stato a Stato, di governo a governo, che non dipendono da una sola persona (19).  

Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula dà Silva segnalò che “il processo si sta sviluppando in modo tranquillo [...]. Ho un profondo rispetto per il popolo cubano [e] credo che sia il paese più politicizzato del pianeta [...] Ogni popolo decide il suo regime politico [e] lasciamo che i cubani decidano quello che vogliono fare. I cubani hanno la maturità per risolvere i loro problemi” (20). Lula ricordò anche che “Fidel è l'unico mito vivo della storia dell'umanità” (21).  

Il governo messicano informò della sua volontà di continuare ad avanzare nel processo di avvicinamento bilaterale, iniziato vari mesi fa, avviato al ristabilimento pieno di relazioni rispettose e mutuamente vantaggiose per Messico e Cuba, aggiungendo che data l'importanza che ha per il Messico la relazione con Cuba, il governo messicano seguirà con attenzione gli avvenimenti politici in questa nuova tappa della storia di Cuba, con plenum rispetto all'autodeterminazione e volontà del popolo cubano (22).  

Anche Cile e Guatemala salutarono la decisione di Fidel Castro. Il presidente guatemalteco, Alvaro Colom, affermò che non colpirà in nessun modo le relazioni piene ed eccellenti con Cuba (23). Il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OEA), José Miguel Insulza, ha insistito sul fatto che Cuba è una nazione sovrana. Devono essere gli stessi cubani, attraverso il dialogo libero e pacifico, e senza ingerenze esterne a trovare la strada più appropriata per il benessere del loro popolo (24).  

Da parte sua, il presidente venezuelano Hugo Chavez dichiarò che “Fidel Castro sarà sempre all'avanguardia perché gli uomini come Fidel non si ritirano mai”. Il leader bolivariano aggiunse che “il popolo di Cuba ha dimostrato al mondo, e soprattutto all'impero che la Rivoluzione Cubana non dipende da una persona, da una congiuntura o da una circostanza” (25).  

In Sudafrica, il Congresso Nazionale Africano (ANC), partito nel potere, rese omaggio al leader cubano qualificandolo come una leggenda viva. “Il popolo cubano, con la direzione del presidente Castro, si è compromesso nella liberazione del popolo oppresso dell'Africa, particolarmente del Sudafrica”, sottolineò la dichiarazione dell'ANC, ricordando che circa 300.000 soldati cubani contribuirono all'indipendenza dell'Angola ed alla caduta del regime dell’apartheid. “Non hanno contribuito solo alla trasformazione del nostro paese, ma hanno continuato ad appoggiare i nostri sforzi di ricostruzione e sviluppo inviando i loro medici”. Anche numerosi dirigenti di tutto il mondo salutarono la decisione di Fidel Castro e mostrarono la loro solidarietà con Cuba (26).   

La popolazione cubana scoprì l'integrità delle reazioni mondiali diffuse durante il programma televisivo Mensa Redonda del 20 febbraio 2008. E’ stata ferita solo nella sua estrema sensibilità, come sempre, quando si tratta della sua indipendenza di fronte al disprezzo di alcuni paesi occidentali, incapaci di capire che solo il linguaggio basato sul rispetto, la reciprocità e non l'ingerenza nei temi interni è ascoltato dai cubani.  

Parlare di processo di transizione sarebbe un grave errore. I cubani non vogliono in nessun modo ritornare ad un'economia di mercato che sarebbe sinonimico di attentato contro le loro conquiste sociali e la loro sovranità. Si tratta in realtà di un processo di continuità rivoluzionaria, profondamente radicato nel seno della società cubana e, senza alcun dubbio, irreversibile.  

Quelli che negli Stati Uniti ed in Europa occidentale pensavano che i cubani ricevessero la notizia del ritiro di Fidel Castro con allegria ignorano totalmente la realtà di Cuba. L'immensa maggioranza della popolazione professa un affetto, un'ammirazione ed un rispetto infiniti al suo leader politico, storico, morale e spirituale. D'altra parte, se i cubani hanno accettato più o meno il fatto che Fidel Castro non desideri aspirare alla presidenza della Repubblica, si negano categoricamente che lasci il suo grado di Comandante in Capo.  

Cuba non è sensibile alle pressioni, né al ricatto ed ancora meno alle minacce. Il governo rivoluzionario non accetterà nessuna esigenza da parte di Washington o dell'Europa occidentale. Questa realtà la devono capire quelli che pretendono di decidere il destino di Cuba al posto degli stessi cubani.  

Oltre qualunque considerazione ideologica, conviene riconoscere che Fidel Castro ha permesso alla patria di José Martí di conquistare la sua indipendenza e la sua libertà, di acquisire un livello di sviluppo umano simile a quello dei paesi più avanzati e di godere di un prestigio internazionale fuori dal comune nel Terzo Mondo. Per ciò, i cubani gli saranno eternamente grati.  

 

 

 



Note:

(1) Fidel Castro Ruz, «Mensaje del Comandante en Jefe», Granma, 19 de febrero de 2008.
 
(2) Ibid.
 
(3) Ibid.
 
(4) Fidel Castro Ruz, «Carta de Fidel a la Mesa Redonda», 17 de diciembre de 2007.
 
(5) El autor se encuentra actualmente en La Habana.
 
(6) Will Weissert, «Castro Retirement Managed From Start», The Associated Press, 19 de febrero de 2008.
 
(7) The Associated Press, «Washington Quotes on Castro. U.S. Government Reactions to Cuban President Fidel Castro’s Resignation Monday», 19 de febrero de 2008.

(8) The Associated Press/El Nuevo Herald, «Washington ve a Raúl Castro como un ‘dictador lite’», 19 de febrero de 2008.

(9) The Associated Press, «Washington Quotes on Castro. U.S. Government Reactions to Cuban President Fidel Castro’s Resignation Monday», op. cit.
 
(10) Agence France Presse, «Des parlementaires américains exigent un changement de politique envers Cuba», 19 de febrero de 2008; Agence France Presse, «US Lawmakers Urge Review of Cuba Policy», 19 de febrero de 2008.
 
(11) The Associated Press, «US Says It Won’t Lift Cuba Embargo», 19 de febrero de 2008.
 
(12) Agence France Presse, «Fillon: la ‘vraie question’ pour Cuba est celle de la démocratie», 19 de febrero de 2008.
 
(13) The Associated Press/El Nuevo Herald, «Bush: Salida de Castro debe ser inicio de transición», 19 de febrero de 2008.

(14) Wilfredo Cancio Isla, «El fin de una era», El Nuevo Herald, 19 de febrero de 2008.

(15) Wilfredo Cancio Isla, «España favorece diálogo abierto con La Habana», El Nuevo Herald, 19 de febrero de 2008.
 
(16) Salim Lamrani, Fidel Castro, Cuba et les Etats-Unis (Pantin: Le Temps des Cerises, 2006), capítulo IV.
 
(17) The Associated Press/El Nuevo Herald, «Expectativa mundial por renuncia de Fidel Castro», 19 de febrero de 2008.
 
(18) Amnesty International, informe 2007.

(19) The Associated Press/El Nuevo Herald, «Expectativa mundial por renuncia de Fidel Castro», op. cit.
 
(20) Ibid.
 
(21) Libération, «Des appels à davantage de démocratie à Cuba», 20 de febrero de 2008.
 
(22) The Associated Press/El Nuevo Herald, «Expectativa mundial por renuncia de Fidel Castro», op. cit.

(23) Ibid.
 
(24) Gerardo Reyes, «Sorpresa y dudas en América Latina por renuncia de Castro», El Nuevo Herald, 20 de febrero de 2008.
 
(25) Agencia Bolivariana de Noticias, «Chávez: Fidel no renuncia, siempre estará en la vanguardia», 19 de febrero de 2008.
 
(26) Granma, «Personalidades mundiales elogian altura política de Fidel», 21 de febrero de 2008.

 

 

 



 *Salim Lamrani è professore, scrittore e giornalista francese, specialista delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Ha pubblicato i libri: Washington contre Cuba (Pantin: Le Temps des Cerises, 2005), Cuba face à l’Empire (Genève: Timeli, 2006) e Fidel Castro, Cuba et les Etats-Unis (Pantin: Le Temps des Cerises, 2006).Ha appena pubblicato Double Morale. Cuba, l’Union européenne et les droits de l’homme (Paris: Editions Estrella, 2008).

Contatto : lamranisalim@yahoo.fr


tradotto da Ida Garberi