(Dal
Capitolo 7 del libro "Autobiografia a due voci)
MESSICO – L’ INCONTRO CON IL CHE -
COMPLICITÀ INTELLETTUALE - PERSONALITÀ E VOLONTÀ - PREPARANDO LA
GUERRIGLIA – L’ADDESTRAMENTO - IL GRANMA
Dopo due anni di carcere nell’Isola de Pinos, lei va in
esilio in Messico, e quando giunge là incontra per la prima volta Ernesto
Che Guevara. Mi piacerebbe sapere in che circostanze lo conobbe.
Fidel: " A me piace parlare del Che, realmente. È noto
il percorso del Che di quando studiava in Argentina; i suoi viaggi in
motocicletta all’interno del suo paese, poi in vari paesi latinoamericani,
Cile, Perù, Bolivia e altri luoghi. Non va dimenticato che inBolivia nel
1952 si formò dopo il colpo di stato militare del 1951, una forte
movimento di operai e contadini che lottarono e che ebbe molta influenza.
È noto il percorso del Che poco prima della laurea in
medicina con il suo amico Alberto Granado, quando visitarono distinti
ospedali e terminarono in un lebbrosario vicino al Rio (fiume) delle
Amazzoni.
Lui aveva visitato molti luoghi dell’America Latina,
come le miniere di rame di Chuquicamata, in Cile, dove il lavoro era molto
duro; aveva attraversato il deserto di Atacama e visitato le rovine di
Machu Picchu in Perù, navigato nel lago Titicaca, conoscendo e
interessandosi moto agli indigeni.
Era stato in Colombia e in Venezuela e provava molto
interesse per tutti quei temi.
Dall’epoca in cui era studente s’interessava al marxismo
e al leninismo. Poi, come si sa, si era trasferito in Guatemala, quando
accaddero i fatti di Árbenz.
Il presidente Jacobo Árbenz stava facendo, in quel
momento, riforme molto progressiste in Guatemala.
Sì. Là si stava sviluppando un processo importante di
riforma agraria, che permise la distribuzione ai contadini di grandi
piantagioni di banane, che venivano sfruttate dalle grandi multinazionali
nordamericane.
I militari fecero un colpo di stato con l’appoggio degli
Stati Uniti e quella riforma agraria fu frustrata rapidamente.
In quell’epoca parlare di riforma agraria era cosa da
comunisti, era essere identificato in maniera automatica come un
comunista.
In Guatemala ne avevano fatto una e, come dappertutto, i
poderosi cominciarono ad opporsi. Anche i vicini del nord e le loro
istituzioni organizzarono immediatamente azioni controrivoluzionarie per
rovesciare il presidente eletto, Jacobo Árbenz, con
una spedizione dalla frontiera e la complicità dei capi militari del
vecchio esercito.
Quando il nostro movimento attacca la caserma Moncada il
26 luglio del 1953, un numero di compagni riesce a scappare dal paese.
Antonio "Ñico" López e altri vanno in Guatemala. Che Guevara era già là
soffrendo l’amara esperienza dell’abbattimento di Jacobo Árbenz, conosce i
nostri compagni e con loro se ne va in Messico".
Suo fratello Raúl lo ha conosciuto prima di
lei?
Fidel: "Sì, perchè Raúl fu uno dei primi a partire da
Cuba per il Messico. Lo stavano già accusando di mettere bombe e io stesso
gli avevo detto che doveva partire. L’idea d’organizzare dal Messico il
ritorno armato l’avevamo concepita nella prigione. Era una tradizione in
Cuba. Raúl va in Messico e là conosce il Che per mezzo dei nostri compagni
che stavano già là. Veramente non era ancora il Che, era Ernesto Guevara,
ma siccome gli argentini chiamano la gente, Che!, i cubani cominciarono a
dirgli Che!, e così è diventato famoso.
Io ritardai un poco la mia partenza perchè non ero in
imminente pericolo, ma non potevo continuare l’agitazione in Cuba e giunse
il momento che dovetti partire per il Messico. Tra le altre cose si doveva
preparare rapidamente il ritorno. Nelle settimane successive all’uscita
dalla prigione avevamo svolto un’intensa campagna di divulgazione delle
idee e della formazione delle coscienze e avevamo strutturato la nostra
stessa organizzazione rivoluzionaria, il Movimento 26 di Luglio,
dimostrando l’impossibilità di proseguire la lotta per vie pacifiche e
legali".
Il Che simpatizzava già con le sue idee?
Fidel: "Lui era già marxista. Anche se non militava in
nessun partito, in quell’epoca era un marxista convinto.
Là in Messico, era in contatto con Ñico López, uno dei
dirigenti del Movimento, buon compagno, modesto, del Partito Ortodosso,
molto radicale e valoroso, al quale io avevo parlato molto di marxismo, ed
era già convinto. Aveva partecipato all’attacco alla caserma di Bayamo.
La coincidenza di idee fu uno dei fattori che incise di
più nella mia affinità con il Che".
Lei si accorge quando lo conosce per la
prima volta che il Che è differente?
Fidel: "Lui attirava la simpatia della gente. Era di
quelle persone a cui tutti vogliono bene immediatamente per la sua
spontaneità, la sua semplicità, la sua disponibilità e le sue virtù. Era
medico e lavorava in un Centro dell’Istituto della Previdenza facendo
delle investigazioni, non so se su problemi cardiaci o allergie, perchè
lui era allergico".
Era asmatico.
Fidel: "Era simpatico al nostro gruppetto là in Messico.
Raúl aveva già fatto amicizia con lui. Aveva 27 anni.
Lui stesso ha raccontato che il nostro incontro era
avvenuto una notte di luglio del 1955 in calle Emparan,nella capitale del
Messico, nella casa di una cubana, Maria Antonia González. Non c’era
niente di strano nella sua simpatia, dato che aveva viaggiato per tutta
l’America del sud, aveva vissuto i fatti del Guatemala ed era stato
testimone dell’intervento nordamericano e sapeva della lotta a Cuba,
sapeva come pensavamo.
Giungemmo là, conversai con lui e si unì al nostro
gruppo.
Lui sapeva che nel nostro movimento c’erano anche dei
piccolo borghesi; che andavamo a fare una Rivoluzione di liberazione
nazionale, una Rivoluzione antimperialista e che non s’intravedeva ancora
una rivoluzione socialista, ma tutto questo non fu un ostacolo e lui si
sommò rapido e si arruolò immediatamente.
Che si unisce a noi nell’avventura.
Una sola cosa mi disse: "La sola cosa che desidero è che
dopo il trionfo della Rivoluzione a Cuba, voi, per ragioni di Stato, non
mi proibiate d’andare in Argentina a lottare per la Rivoluzione".
Nel suo paese?
Fidel": Sí, nel suo paese. Così mi disse. Noi già
praticavamo un’incipiente ma forte politica internazionalista. Cos’erano
altrimenti la nostra posizione verso Bogotà, la lotta contro Trujillo, la
difesa dell’indipendenza di Puerto Rico, la restituzione del Canale a
Panama, i diritti dell’Argentina sulle Malvine e l’indipendenza delle
colonie europee nei Caraibi? Non eravamo dei semplici apprendisti. Il Che
aveva completa fiducia in noi. Io gli dissi – D’accordo - e non ci fu la
necessità di parlare di quello mai più!"
Lui cominciò ad addestrarsi militarmente
con voi?
Fidel: "Partecipava a un corso di tattica impartito da
un generale spagnolo, Alberto Bayo, nato in Camagüey, a Cuba, nel 1892,
prima dell’indipendenza. Negli anni ‘20 aveva lottato in Marocco,
nell’Esercito dell’Aria e poi come ufficiale repubblicano aveva combattuto
nella Guerra Civile Spagnola. Quindi era andato in esilio in Messico. Il
Che partecipava a tutte quelle lezioni di tattica.
Bayo diceva che era il suo miglior alunno.
I due giocavano a scacchi e là nell’accampamento dove
restammo mesi prima dell’arresto, giocavano tutte le notti.
Bayo ci insegnava come deve attuare una guerriglia per
rompere un accerchiamento, partendo dall’esperienza di tutte le volte che
i guerriglieri marocchini di Abdelkrim, nella guerra del Rif, avevano
rotto gli accerchiamenti degli spagnoli. Lui non elaborava una strategia e
non immaginava nemmeno che una guerriglia si potesse trasformare in un
esercito e che quell’esercito potesse sconfiggerne un altro, mentre quella
era la nostra idea essenziale".
Era quello che voi volevate realizzare?
Fidel : "Quando parlo di esercito, parlo di sviluppare
una forza in grado di sconfiggere un altro esercito. Era la nostra idea
essenziale quando partimmo per il Messico. Le prodezze della nostra
piccola forza nei mesi iniziali della lotta sulla Sierra Maestra
rafforzarono quell’idea".
La sua idea era trasformare una guerriglia
in esercito e sferrare una forma di guerra di nuovo tipo?
Fidel: "Ci sono due tipi di guerra: una guerra
irregolare e una guerra regolare convenzionale. Noi avevamo elaborato una
formula per affrontare l’esercito di Batista, che disponeva di aerei,
carri armati,cannoni e comunicazioni. Noi non avevamo nè denaro nè armi.
Dovemmo cercare la forma di sconfiggere la tirannia e
fare la Rivoluzione a Cuba. Il successo ha coronato la nostra idea. Non
voglio dire che furono tutti i meriti e l’azzardo ha avuto un ruolo
importante.
Uno può commettere errori o può fare le cose
perfettamente, ma ci sono sempre altre cose che non si possono prevedere,
come morire o vivere per una semplice questione di dettagli, per aver
ricevuto o meno un’informazione opportuna. Ricordi il dolore con cui le ho
parlato dei fattori casuali che determinarono la frustrazione dei nostri
piani di prendere la caserma Moncada, dopo tanto sforzo organizzativo.
Parleremo anche della sorpresa tonta di cui fummo vittime nello sbarco del
Granma. Quante vite preziose si potevano salvare in uno e nell’altro caso?
In Messico, con Bayo si addestrarono numerosi compagni.
Io avevo la responsabilità dell’organizzazione e dell’acquisto delle armi
e preparavo il personale nei campi di tiro. Mi dovevo muovere molto ed era
molto difficile per me partecipare ai corsi di Bayo".
Il Che seguiva i corsi assiduamente?
Fidel: "Sì: i corsi teorici, le pratiche di tiro ed era
un eccellente tiratore. Là in Messico ci addestravamo a sparare in un
campo vicino alla città che era di proprietà di un vecchio compagno di
Pancho Villa, e lo avevamo in affitto. Allo sbarco disponevamo di 55
fucili con mirino telescopico.
Ci addestravamo con questi fucili, sparando a bersagli
in movimenti lanciati a 200 metri dal tiratore. Potevamo rompere un piatto
a 600 metri. La nostra gente tirava molto bene. Mettevamo un uomo a 200
metri e al suo fianco una bottiglia. Puntavamo con il mirino telescopico
che offre una grande precisione. Sparavamo centinaia di colpi.
Uno dei volontari era Il Coreano. Ponevamo una bottiglia
a un piede di distanza; io sparai alla bottiglia molte volte e mai la
pallottola colpi lo spazio tra la persona e la bottiglia. Avevo il fucile
ben appoggiato ovviamente. Non lo si può fare nell’aria, perchè per la più
lieve variante rischi di colpire il compagno. Questa pratica ci diede una
grande fiducia in quel che si poteva fare con quelle armi".
Il Che non aveva esperienze militari di
sorta quando giunse lì?
Fidel: "No, nessuna, non ne aveva".
Imparò lì quindi?
Fidel: "Studiava e praticava sì, ma lui era con noi come
medico della truppa; si dimostrò un buon medico e curava tutti i compagni.
Posso parlare d’una qualità che lo distingueva, una di quelle che io
apprezzavo di più tra le molte che avevo osservato in lui.
Vicino alla capitale messicana si trova un vulcano, il
Po-pocatépetl, e lui tutti i fine settimana cercava di scalarlo. Preparava
il suo equipaggiamento - la montagna è alta più di 5.000 metri, con neve
perenne e iniziava la salita, faceva un enorme sforzo e non giungeva mai
alla cima.
L’asma ostacolava il suo tentativo. La settimana
seguente tentava di nuovo di raggiungere la cima del "Popo" —come lo
chiamava — e non ci riusciva. Non riuscì mai a raggiungere la cima del
Popocatépetl. Ma continuava a farlo, e avrebbe passato la vita cercando di
scalare sino alla cima il Popocatépetl. Realizzava uno sforzo eroico,
anche se non scalò mai quella montagna sino alla cima. In questo si può
apprezzare il suo carattere. Questo rende l’idea della sua forza
spirituale e della sua costanza".
Una gran volontà...
Fidel: "Quando eravamo ancora un gruppo molto ridotto,
ogni volta che era necessario un volontario per un compito, il primo ad
offrirsi era sempre il Che.
Un’altra sua caratteristica, senza dubbio, era quella
previsione profetica che aveva dimostrato, chiedendomi che non gli si
proibisse per ragioni di Stato, d’andare dopo nella sua terra natale a
lottare per la Rivoluzione".
Che voleva andare in Argentina?
Fidel: "Sí. E dopo, nella nostra guerra, dovetti fare
uno sforzo per preservarlo, perchè se gli avessi permesso di fare tutto
quello che pensava, non sarebbe sopravvissuto.
Sin dai primi momenti si fece notare. Ogni volta che
mancava un volontario per una missione difficile, per fare una sorpresa,
recuperare delle armi riscattandole prima che il nemico le prendesse, il
primo volontario era il Che".
Era volontario per realizzare le missioni
più pericolose?
Fidel: "Era il primo volontario per qualsiasi missione
difficile; dimostrava una straordinaria audacia, un assoluto disprezzo del
pericolo e inoltre a volte proponeva di fare cose molto difficili e
rischiose e io gli dicevo: No".
Perchè correva troppi rischi?
Fidel: "Guardi, lei manda un uomo in una prima
imboscata, poi una seconda e poi una terza, la quarta, la quinta o la
sesta, ed è come fare a testa o croce: in un combattimento molto vicino e
a livello di squadra o di plotone, si muore come muoiono quelli che
praticano l’avventura della roulette russa".
Non dava problema il fatto che non fosse
cubano?
Fidel:"Sì, in Messico gli avevamo dato la responsabilità
di un accampamento, ma ci furono alcuni che si resero conto che era
argentino e si lamentarono, ricevendo una mia sfuriata. Non faccio nomi
adesso, perchè dopo tutto andò bene. Anche là nell’accampamento in
Messico. Qui nella guerra era il medico, ma per il suo coraggio e le sue
condizioni lo nominammo capo di una colonna e lui si fece notare per le
sue grandi qualità. Nessuno si permise una critica".
Umane, politiche, militari?
Fidel: "Umane e politiche. Come uomo, come essere umano
straordinario. Era, inoltre, una persona di cultura elevata e di grande
intelligenza. E aveva anche qualità militari. Il Che fu un medico che si
trasformò in soldato senza smettere d’essere medico nemmeno un minuto.
Combattemmo insieme in molte occasioni. Io riunivo a
volte le truppe delle due colonne e facevamo un operativo di maggiore o
minore complessità, con le imboscate e i prevedibili movimenti delle forze
nemiche.
Noi rivoluzionari apprendemmo lottando l’arte della
guerra e scoprimmo che il nemico era forte nelle sue posizioni e debole
nei suoi movimenti. Un colonna di 300 uomini ha la forza di una o due
squadre, quelle che vanno all’avanguardia; gli altri non sparano nei
combattimenti o realizzano solo spari in aria per fare rumore, perchè non
vedono e non possono vedere coloro che stanno sparando sulla loro
avanguardia.
Quello che usammo fu un principio elementare; attaccare
il nemico quando era più debole e vulnerabile. Se attaccavano le sue
posizioni, perdevamo uomini, usavamo troppe pallottole e non sempre
conquistavamo l’obiettivo. Il nemico, in cambio, era trincerato e
combatteva con maggiori informazioni e sicurezza Sviluppammo le tattiche.
Non parlerò di questo, ma apprendemmo a combattere contro un avversario
forte e la Colonna 1 fu il nostro apprendistato".
Un giorno, mentre vi stavate addestrando in
Messico, vi arrestano. Lei si ricorda quei fatti?
Fidel: "Sì. Questo ha
la sua storia. Ci arrestarono.
Io fui detenuto quasi casualmente. La polizia messicana
scoprì solo un foglietto qui o là con qualche indirizzo o telefono nelle
tasche degli arrestati, perchè nessuno diede la minima informazione.
Fummo fortunati: era la Polizia Federale di Sicurezza
che ci aveva arrestato e non la Polizia Segreta. La dirigeva un ufficiale
dell’esercito. Inizialmente pensarono che eravamo contrabbandieri e o
qualcosa di simile, perchè ci sospettavano per determinate misure di
protezione contro piani di sequestro da parte degli agenti di Batista.
I nostri movimenti apparivano strani. Miracolosamente
non ci uccisero nell’incidente che poi accadde.
Batista aveva influenza e appoggio tra la Polizia
Segreta che pagava, ed esistevano dei piani per sequestraci in Messico.
Noi eravamo obbliga¡ti a prendere le nostre misure e un giorno, nel tardo
pomeriggio, mentre ci trasferivamo da una casa a un’altra in una
situazione rischiosa, vari agenti della Polizia Federale che stavano
guardando i nostri movimenti decisero d’arrestarci. Si mossero con
abilità. Io stavo camminando a piedi, dato che avevo osservato uno strano
movimento di macchine, e vedo a 30 o 4 metri dietro a me Ramirito che
camminava sul marciapiede sinistro.
Avanzo sullo stesso marciapiede sino al prossimo angolo.
Era una zona con poche case, ma lì c’era un edificio in costruzione.
Improvvisamente, giungendo nella stessa strada, una macchina frena di
colpo vicino all’angolo e scende un gruppo di uomini. Mi getto dietro una
colonna della costruzione e cerco di afferrare la pistola automatica
spagnola a 25 colpi. In quell’istante qualcuno mi colloca con forza la
canna di una pistola alla nuca. Era un uomo della Polizia Federale.
Avevano catturato Ramiro e per noi cominciava una lunga odissea in
Messico.
Cos’era accaduto? Quando io credevo d’avere Ramirito e
Universo Sánchez come retroguardia, in realtà loro erano già stati
catturati e nell’istante in cui io mi stavo per difendere,
m’immobilizzarono da dietro. Se sparavo un colpo si può immaginare quanti
secondi potevo sopravvivere! In quello stesso momento in cui cercavo
d’afferrare l’arma, mi arrestarono. Credevano d’aver arrestato dei
contrabbandieri o qualcosa di simile. In quei tempi quasi non esisteva il
problema della droga e l’attenzione delle autorità andava soprattutto al
contrabbando. Ci portarono negli uffici centrali. Quello che ci sollevò è
che cominciarono subito a parlare con noi. Era gente dura e con un
atteggiamento abbastanza energico. Furono realmente abili nell’azione
della cattura e nelle investigazione, perchè con un foglietto qualsiasi
seguivano minuziosamente il filo.
Mi angosciai molto perchè mi ricordai che Cándido
González - uno dei compagni che mi accompagnava sempre - mi aveva messo
nella tasca il numero di telefono della casa dove tenevamo un lotto delle
nostre armi migliori. Un telefono che solo io e un altro compagno
conoscevamo.
Io mi ero dimenticato di quel foglietto. Per fortuna gli
agenti che seguivano le piste non gli fecero caso più di tanto. Sarebbe
stato il colpo più forte, ma comunque ci sequestrarono una buona quantità
di armi, seguendo altre piste. Uno poteva valutare però che più ci
conoscevano, più ci rispettavano".
Il Che non era con lei in quel momento.
Quando lo arrestarono?
Fidel: "No. Il Che lo arrestarono in quell’accampamento
dove si addestravano, nella fattoria Santa Rosa, a Chalco, situata ai
limiti della città.
Gli agenti cercavano quel luogo, avevano indizi e
s’impegnarono a trovarlo. Un giorno il capo mi dice – Sappiamo già dov’è
il punto dell’addestramento- era come un gioco o una sfida. Ci misero un
certo tempo cercando e non so come giunsero ad una pista reale; ci fu la
versione di qualcuno che aveva detto che a Chalco c’era un movimento di
cubani. Mi dissero il luogo esatto dov’era il campo. Io sapevo che c’erano
almeno 20 compagni e che c’erano anche le armi. Di fronte al carattere
preciso delle informazione dissi al capo della Polizia Federale: ‘Voglio
chiederle una cosa. Mi permetta d’andare con lei per evitare uno scontro’.
Lui fu d’accordo. Andammo e giungemmo là: io chiesi a quelli della
Federale che mi lasciassero solo ed entrai dal portone e mi affacciai. I
compagni, vedendomi, manifestarono molta allegria perchè credevano che mi
avessero liberato. Io dissi che no, state buoni e non muovetevi e spiegai
quello che stava accadendo.
È là dove arrestarono il Che. Alcuni che erano fuori
dalla casa, occupati in altre cose, si salvarono dall’arresto.
Bayo fu uno di quelli. Non lo arrestarono perchè non era
là. Come dato curioso le racconto alcune settimane prima aveva digiunato
per 20 giorni per provare l’esercizio della volontà. Era spartano. Aveva
guidato durante la guerra civile spagnola una spedizione alle Baleari, ma
non aveva potuto liberarle dai franchismi.
Bayo sempre, dopo ogni avventura di lotta armata e il
suo immancabile fallimento, scriveva un libro e stava già scrivendone uno
mentre eravamo detenuti. La mia frustrata spedizione a Cuba.
Fu genio e gran personalità quello spagnolo nato a Cuba
e vissuto nelle Canarie".
Lui non lo arrestarono?
Fidel: "No. Bayo non fu arrestato. Lui non era là in
quel momento, ma sequestrarono varie decine di armi, quelle che tenevamo
al campo e che i compagni usavano per addestrarsi, che non erano certo le
più sofisticate e nemmeno le più precise. Quei fucili non avevano mirino
telescopico. Nella fattoria si producevano latte e formaggio di capra con
l’amministrazione di alcuni vicini amici e quella era la facciata che
occultava il centro d’addestramento.
Ma la polizia investigando accuratamente, come ho
spiegato, aveva scoperto degli indizi e quindi il luogo.
Lì arrestarono il Che".
Eravate insieme nella prigione?
Fidel : "Sì, siamo stati insieme quasi due mesi nella
prigione. Quando ci diede dei problemi?
Quando lo interrogarono e gli chiesero ‘Lei è comunista
?’, e lui, ‘Sì, sono comunista, rispose e i giornali, lì in Messico
scrissero che si trattava di comunisti che stavano cospirando per
‘liquidare la democrazia’ nel continente e un mucchio di altre cose.
Il Che lo portarono davanti a un giudice e mentre lo
stavano interrogando si mise persino a discutere del culto della
personalità e della critica a Stalin. Immagini il Che coinvolto in un
discussione concettuale con la polizia, il giudice e le autorità
dell’immigrazione sugli errori di Stalin. Questo accadeva nel luglio del
1956 e nel febbraio dello stesso anno c’era stata la critica di Jruschov a
Stalin. Si accoglieva ovviamente la versione ufficiale del Congresso del
Partito sovietico. Che disse: ‘Sì, hanno commesso errori in questo e
quest’altro’ difendendo la sua teoria e le sue idee comuniste. Figuratevi!
Lui che era argentino, in quel momento correva maggiori rischi. Credo
sinceramente che in una situazione come quella in cui tutto il progetto
poteva fallire, la cosa più conveniente era disinformare il nemico. Però
non si poteva rimproverare il Che, fortemente influenzato dall’epica della
letteratura comunista per quell’errore tattico che non gli impedì di
viaggiare con noi a Cuba. Praticamente gli ultimi due ad uscire di
prigione fummo proprio lui ed io. Credo che io uscii alcuni giorni prima.
Nella faccenda dei cubani intervenne Lázaro Cárdenas, e la preoccupazione
che dimostrò contribuì molto alla nostra liberazione. Il suo nome era
venerato dal popolo e la sua autorità morale era capace di aprire le porte
di quella prigione.
Si dice che il Che aveva piuttosto simpatie
trotskiste. Lei lo aveva percepito allora?
No, no. Mi lasci dire com’èra realmente il Che. Lui
aveva già, come ho detto, una cultura politica. Aveva letto, naturalmente,
un buon numero di libri sulle teorie di Marx, di Engels e di Lenin. Era
marxista. Non l’ho mai sentito parlare di Trotski. Lui difendeva Marx,
difendeva Lenin, e criticava Stalin. D’accordo, allora criticava il culto
alla personalità, gli errori di Stalin; ma non l’ho mai sentito parlare
realmente di Trotski. Lui era leninista, e, in una certa forma riconosceva
anche alcuni meriti di Stalin.
Cioè l’industrializzazione e alcune altre cose.
Intimamente io ero più critico verso Stalin per alcuni
dei suoi errori. Era sua la responsabilità, a mio giudizio, della
invasione del paese, avvenuta nel 1941 da parte della poderosa macchina da
guerra di Hitler, senza che le forze sovietiche avessero ricevuto l’ordine
d’allarme di combattimento.
Stalin inoltre commise altri gravi errori: è noto il suo
abuso del potere con altre arbitrarietà. Ebbe anche dei meriti, però.
L’industrializzazione della URSS e il trasferimento e lo sviluppo
dell’industria militare in Siberia furono fattori decisivi in quella lotta
del mondo contro il nazismo.
Io, quando lo analizzo, valuto i suoi meriti e anche i
suoi grande errori e uno fu quando purgò l’Esercito Rosso in virtù di un
intrigo dei nazisti, azione che debilitò militarmente la URSS, poco prima
della zampata fascista".
Lui stesso si disarmò.
Fidel : "Si disarmò, si debilitò, e firmò quel nefasto
patto tedesco-sovietico Ribbentrop-Molotov e altri. Ho già parlato di
questo e non aggiungerò altro
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