Dalla
cessazione dell’aiuto sovietico a partire dalla caduta del
blocco socialista, dopo il 1989 e soprattutto nel 1990 e 1991
(anno nel quale fu consegnata meno della metà del petrolio
sovietico), Cuba si è ritrovata a livello alimentare in una
situazione catastrofica.
La produzione agricola a Cuba era organizzata sul modello
dell’agricoltura produttivista, con una coltivazione intensiva
in grandi fattorie di Stato basata sul petrolio, importato per
il 98% dal blocco sovietico, e sull’uso massiccio d’insetticidi
e fertilizzanti chimici importati. Si trattava di un’agricoltura
orientata verso l’esportazione di alcune derrate (agrumi,
tabacco, zucchero), ma che non sovveniva ai bisogni della
popolazione: il 66% delle derrate era importato dal blocco
sovietico [1].
Questo modello assomiglia in effetti al modello instaurato
dall’attuale sistema neoliberista: produrre per il mercato e non
per soddisfare ai bisogni della popolazione.
Come fare quando all’improvviso tutto questo è sparito?
E’ il problema che Cuba ha dovuto risolvere durante il “periodo
speciale”, il periodo di grave crisi seguito alla caduta
dell’URSS.
Non c’erano praticamente né concimi chimici né insetticidi, meno
della metà del carburante, le esportazioni erano crollate e con
esse le importazioni. La razione alimentare era diminuita del
20% riguardo alle calorie e del 27% per le proteine, il cubano
medio aveva perso 15 kg e migliaia di contadini senza risorse
avevano lasciato le campagne verso le città nella speranza di un
avvenire migliore [2].
Per necessità, Cuba ha deciso di orientarsi verso i vecchi
metodi: agricoltura biologica, trazione animale, ammendanti del
terreno naturali, orticoltura di prossimità (in quanto mancavano
i trasporti) … Nel 1993, le fattorie di Stato produttiviste
erano state trasformate all’80% in cooperative finalizzate a
fornire alimenti alle istituzioni statali (ospedali, scuole,
asili), ma le cui eccedenze produttive potevano essere vendute
liberamente. Nel 1994, furono creati i mercati contadini
[1].
L’agricoltura di prossimità venne sviluppata attraverso la
distribuzione a chi li volesse coltivare di centinaia di terreni
non utilizzati e l’incitazione a coltivare dovunque possibile:
nei patii, sulle terrazze delle abitazioni – in vasi, scatole o
pneumatici – creando cooperative urbane così come una rete di
negozi di sementi e di utensili dove dei consulenti davano
consigli ai clienti [2].
Venne creato un Istituto di ricerca per lavorare sul
vermicompostaggio, sulle bio-formulazioni e la difesa biologica
del suolo e vennero realizzati 280 centri di produzione di
pesticidi e prodotti biologici.
[2-4]
In seguito, apparve che la scelta fatta sotto la spinta della
necessità era stata una buona scelta per il futuro e per uno
sviluppo duraturo: fu deciso di generalizzare l’agricoltura
biologica per la produzione di cibo
[2],
e sviluppare l’agricoltura nelle zone suburbane de La Havana
(che comprendono numerose municipalità semi-urbanizzate) in
grado di fornire frutta e verdura biologiche per il 50% della
popolazione, mentre il rimanente fabbisogno resta assicurato
dalle cooperative della provincia. Nelle altre località,
l’agricoltura urbana copre con alimenti biologici dall’80 al
100% del fabbisogno ed è stato oggi raggiunto l’obiettivo di
fornire a ciascuno 300 grammi di verdura fresca al giorno
[3,1,4].
Rimane il problema della carne, dei latticini e delle uova: le
riforme in questo campo sono state meno importanti e sussiste
una penuria, anche se nel 2004 la produzione, tranne che per le
uova, aveva superato quella del momento della crisi (1994). Oggi
sono prese in considerazione altre strade, come l’allevamento di
conigli in agricoltura urbana
[4].
Un’altra azione è stata, dal 1992, lo sviluppo della
coltivazione di piante medicinali per fare fronte alla mancanza
di farmaci. Oggigiorno, 13 fattorie provinciali e 136 fattorie
municipali producono annualmente 1000 tonnellate di piante e
erbe.
I risultati di questa politica sono enormi: riduzione della
contaminazione del suolo, dell’aria e delle acque da parte di
pesticidi e fertilizzanti chimici, diversificazione delle
produzioni e dell’alimentazione, riciclaggio dei rifiuti,
riduzione al minimo dei costi di trasporto, sicurezza
alimentare, diminuzione dell’inquinamento, sviluppo dell’impiego
…
Come è la situazione attuale?
Al momento, il 20% della superficie coltivata a Cuba è protetta
con metodi biologici: essi riguardano essenzialmente
l’orticoltura. La maggior parte delle coltivazioni di frutta e
di agrumi è di tipo biologico e tali metodi sono in corso di
sperimentazione per la canna da zucchero, il caffé, il cacao, la
noce di cocco, l’ananas e il mango.
Le banane danno ancora problemi e vengono ancora utilizzati
trattamenti chimici. Diversamente, le grandi coltivazioni
destinate all’esportazione (tabacco, ecc.) rimangono
produttiviste, con utilizzo di OGM, trattamenti e concimazioni
chimiche (testimonianza di Jean Claude Lefort ex-deputato di
Ivry, fondatore del gruppo ATTAC all’assemblea nazionale, di
ritorno da Cuba).
La protezione biologica integrata è utilizzata su 27 colture per
controllare un totale di 74 insetti.
In occasione di un recente soggiorno a Cuba, ho potuto avere un
panorama dell’orticoltura biologica e visitare una cooperativa
orticola urbana a Lisa (un quartiere periferico de La Havana
dove solamente il 50% del territorio è urbanizzato). Ho visto
altre aziende agricole lungo una via del centro (una delle quali
esponeva il cartello “lombricoltura”).
Tutto quello che mangiavamo era biologico, come tutto quello
consumato dalla popolazione.
Le cooperative “bio” dei quartieri periferici vendono i loro
prodotti al mercato o in piccoli punti vendita vicini alle
abitazioni in città. Queste cooperative condividono i loro
vantaggi. Riforniscono le istituzioni locali: in forma
volontaria, alcuni contadini cedono gratuitamente una parte
della loro produzione ad asili, scuole, ospedali. I guadagni dei
soci delle cooperative sono sostanzialmente il linea con i
salari medi.
Esistono anche coltivazioni ai piani bassi delle case (ad opera
degli abitanti del pianterreno che desiderano farlo) o su tetti
e terrazzi.
Infine, esistono in città punti vendita, soprattutto in centro,
gestiti da cooperative più grandi situate a distanza maggiore ma
sempre in provincia de La Havana. A questo tipo di cooperative
lo Stato fornisce crediti per l’acquisto dei mezzi di produzione
ricevendone in cambio generi alimentari distribuiti alle
istituzioni (scuole, ospedali) mentre il resto viene venduto al
pubblico.
Vi è dunque a La Havana un sistema piramidale basato sulla
vicinanza, dove ogni livello è rifornito localmente, quando ciò
è possibile, e i livelli superiori sono riforniti sempre
localmente ma da aziende più grandi situate a distanza maggiore.
E’ un sistema generalizzabile e sopravviverà a Cuba?
Le
circostanze da cui è nato sono particolari: embargo, isolamento
dal mercato mondiale. Ci si può chiedere se, in caso di totale
apertura al commercio - predicata dal WTO - l’agricoltura
biologica cubana potrebbe resistere alla concorrenza di alimenti
non biologici importati e se essa non conoscerà la sorte di
molte agricolture africane rovinate dal latte o dai polli
europei sovvenzionati, o degli agricoltori messicani rovinati
dal mais e dai fagioli statunitensi sovvenzionati.
Da qui l’importanza di lottare contro le regole del libero
scambio, che non sono altro che le regole della libertà del più
forte di annientare i più deboli, e di ottenere il diritto per i
paesi meno “sviluppati” di proteggere la propria economia.
Ciò non toglie che l’esempio cubano è senza dubbio il solo
esempio di trasformazione, su scala nazionale, da un’agricoltura
intensiva e produttivista in un’agricoltura estensiva e
biologica e in una relocalizzazione dell’economia,
trasformazione in larga misura permessa dalla proprietà pubblica
della maggior parte delle terre.
Così l’esempio cubano è forse una strada che, magari per
necessità, altri dovranno seguire quando le crisi dell’energia e
dell’economia mondiale diventeranno più profonde. E Cuba è senza
dubbio un pioniere che alcuni già cominciano a imitare in
America Latina, dove l’esempio cubano comincia a diffondersi, ad
esempio con la nascita dell’agricoltura urbana a Caracas.
NOTE
1-
Rural-urban migration and the stabization of cuban agriculture,
Lisa Renolds Wolfe, Global Exchange/Food First
2 - «
Organic by necessity »
3 - «
Comment Cuba a survécu au pic Oil », L’energia della
comunità, di Megan Quin, da Wilderness. [ Pubblicato e tradotto
da
Cuba Solidarity Project]
4 -
theholmteam.ca
Titolo originale: "Cuba : agriculture biologique et
relocalisation de l’économie"
Fonte: http://www.geostrategie.com/
Link
27.03.2008
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS
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