Detenzione ingiustificata per cinque
prigionieri algerini incarcerati a Guantanamo perché, a differenza di quanto è
imputabile ad un sesto algerino, non esistono prove di legami con al Qaeda.
Con grande disappunto la Casa Bianca ha appreso la sentenza del tribunale
federale di Washington che ha chiesto il rilascio dei detenuti. «Siamo in
disaccordo con la decisione della corte, secondo cui non abbiamo prodotto
sufficienti prove» tanto che il dipartimento di Giustizia farà ricorso alla
Corte suprema, hanno fatto sapere dalle alte sfere. Ironia della sorte, si
trattava di un giudice che, secondo indiscrezioni, era considerato favorevole
all’amministrazione Bush. E ancora, accade proprio lì dove non valgono
tribunali, processi, avvocati, dove le regole del gioco le stabilisce il più
forte, dove si sospendono diritti civili e legali.
Un atto di giustizia doveroso, verrebbe da dire, se non fosse che il Pentagono
li deteneva a Guantanamo da quasi sette anni. E una giustizia che arriva in
modo così tardo e casuale è compromessa nel suo stesso valore. Ma d’altronde a
Guantanamo garanzie non ce ne sono, perché lì non vige la democrazia degli
uomini ma la suprema legge punitiva in nome del terrorismo.
Speriamo che il neopresidente Barak Obama lo accolga come un segnale, un
monito a cui far seguire il definitivo provvedimento di chiusura di Guantanamo.
«L’America non deve compiere torture. Mi sto assicurando che ciò non accada
più, cosicché il Paese ritrovi la sua moralità» ha dichiarato più volte in
campagna elettorale. Ma alle parole devono seguire i fatti, le decisioni. E
finché non verrà specificato se e dove verranno trasferiti i detenuti del
penitenziario, se verranno rilasciati o sottoposti a processo, la parola fine
per questo carcere speciale a giurisdizione americana sull’isola di Cuba non
potrà essere scritta.