Sei detenuti del carcere di Guantanamo
affronteranno un processo per l´11 settembre. Sono accusati di aver avuto un
ruolo centrale negli attentati di sette anni fa. Niente di strano, si dirà.
Ma, colpevoli o meno, quella di un processo è già una novità: ad oggi,
infatti, tra tutte le persone che sono passate per la baia trasformata in
prigione, nessuno ha mai avuto un processo né, di conseguenza, una sentenza di
condanna o di assoluzione.
Per questo la notizia finisce dritta dritta sulla prima pagina del
New York Times. Ma per l'autorevole quotidiano americano, non si tratta
solo di combattere il terrorismo. Il caso serve soprattutto, secondo la tesi
del NYTimes, a supportare il vecchio obiettivo di George W. Bush, quello di
dimostrare la ragionevolezza della guerra al terrore. E, scrive il New York
Times, aiuta l'amministrazione ad avvalorare l'idea per cui i prigionieri
avrebbero proseguito negli attentati se non fossero stati rinchiusi a
Guantanamo o in qualche altro carcere.
Ma non solo. Il caso serve anche a dare nuova linfa alla legittimità dei
Tribunali militari, che hanno avuto una storia travagliata e non hanno mai
avuto il beneplacito delle corti civili statunitensi. Incriminare e processare
i detenuti, quindi, significa dare autorevolezza a quei Tribunali militari che
la Corte Suprema americana aveva più volte condannato perché non garantivano
il diritto alla difesa dei detenuti, la presunzione di innocenza e la
possibilità di ricorrere in appello.
Ora per le Corti si tratterà di dimostrare le accuse, che vanno dall'omicidio,
alla cospirazione e alla fornitura di materiali di supporto all'azione
terroristica: tra gli incriminati c'è anche Zacarias Moussaoui, l'unico ad
essere stato oggetto di indagini anche da parte dei tribunali civili.
Per i 275 detenuti ancora reclusi nel carcere senza diritti, è ancora lontano
lo spiraglio per vedere cambiare la versione di Bush sulla giustizia americana