Più delle sentenze della Corte Suprema a
favore dei detenuti, più delle critiche da parte della stampa e delle
organizzazioni per i diritti umani, che l'intero sistema di Guantanamo abbia
qualcosa che non va lo si intuisce dal rifiuto di alcuni ingranaggi di andare
avanti così. Come è successo qualche giorno fa, quando un membro dell'accusa
nei tribunali militari contro i detenuti ha lasciato l'incarico, citando
“preoccupazioni morali” nel trattamento di uno degli imputati. Non solo:
chiedendo che gli venga concessa l'immunità, ora intende anche testimoniare in
favore della difesa.
Il tenente colonnello Darrel Vanderveld, un riservista in servizio per un anno
come pubblico ministero a Guantanamo, faceva parte del pool dell'accusa
impegnato nel caso dell'afgano Mohammed Jawad, un 23enne nel campo di
prigionia dal 2002, quando era ancora minorenne. Jawad è accusato di tentato
omicidio per aver lanciato una bomba a mano contro la jeep di due soldati
americani e del loro interprete a Kabul. L'inizio del processo nei suoi
confronti, che potrebbe condannarlo all'ergastolo, è previsto per dicembre.
Secondo Vanderveld, i suoi superiori sono a conoscenza del fatto che Jawad era
stato probabilmente drogato prima di quell'episodio, nonché della confessione
di due altri detenuti di essere gli autori dello stesso attacco. Ma vogliono
omettere queste informazioni dal caso.
Il colonnello Lawrence Morris, responsabile della pubblica accusa davanti alle
commissioni militari di Guantanamo, ha sminuito il caso spiegando che
Vandeveld era semplicemente “deluso dal fatto che i suoi superiori non fossero
d'accordo con le sue opinioni”, e che non ci sono i presupposti per i suoi
“scrupoli etici”. Ma intanto l'ex accusatore, che nella lettera di dimissioni
ha anche protestato contro il maltrattamento del giovane afghano, ha dato agli
avvocati di Jawad la disponibilità a testimoniare dicendo cosa sa, nel
tentativo di arrivare al patteggiamento e quindi a una pena più mite. Per
farlo, però, ha chiesto l'immunità.
Vandeveld non è il primo ufficiale giudiziario di Guantanamo che dice
signor-no. Non sempre i loro casi sono stati resi pubblici e quindi non c'è
certezza sul numero di “dissidenti”, ma si calcola che almeno altre tre
persone abbiano lasciato i loro incarichi in protesta contro diverse
irregolarità. Il caso più famoso è quello del colonnello Morris Davis, che
nell'ottobre dell'anno scorso si dimise sostenendo di aver ricevuto pressioni
dal dipartimento della Difesa per occuparsi di casi più “pepati” in vista
delle elezioni del 2008. Anche lui alla fine testimoniò in favore della
difesa, e in seguitò ha parlato più volte pubblicamente contro le commissioni
militari istituite a Guantanamo. Le stesse giudicate incostituzionali dalla
Corte Suprema lo scorso giugno, quando i giudici sancirono il diritto dei
detenuti di ricorrere presso i tribunali civili negli Usa.