|
|
24 marzo '08 - G.Ginestri www.granma.cu |
E' morto Gino Doné
|
La biografia • Uno dei protagonisti della storica spedizione del Granma, con Fidel
Nel 1956, all'età di 32 anni, fu l’unico europeo a partecipare alla spedizione cubana dal Messico a Cuba. Dal 2003 Gino, vedovo e senza figli, abitava a Noventa di Piave, in provincia di Venezia, con la nipote Silvana.
A Cuba, nell’archivio storico delle FAR (Forze Armate Rivoluzionarie) c’è un dossier su Gino Donè Paro, l’unico europeo partecipante al “Desembarco del Granma” del 1956.
Di due anni più vecchio di Fidel Castro, Gino era nato da genitori braccianti il 18 maggio 1924 a Monastier di Treviso, vicino a Venezia.
Dopo le scuole andò militare e l’8 settembre 1943 a Pola. Tornò a casa e diventò partigiano con la Missione Nelson e con il Comandante Guido, un ingegnere milanese italo-americano operante nell’area della laguna veneziana. Alla fine della guerra ricevette un encomio dal Generale Alexander e poi emigrò a Cuba passando dal Canada.
Nel 1951 lavorava all' Avana come carpentiere nella grande Plaza Civica : l’attuale Plaza de la Revoluciòn.
Nel 1952 Gino si fidanzò con Olga Norma Turino Guerra, giovane rivoluzionaria di ricca famiglia cubana, abitante nella città coloniale di Trinidad, amica di Aleida March di Santa Clara, futura 2.a moglie del Che.
Entrò poi nel “Movimento 26 Luglio”, chiamato con la sigla “M-26-7”, dalla data dell’assalto dei ribelli (il 26 Luglio 1953) alle caserme di Bayamo e Santiago di Cuba.
Nel 1954 Gino si sposò. Poi nel 1955 e 1956, diventato tesoriere del “M-26-7” di Santa Clara, fu incaricato dal dirigente Faustino Perez di portare reclute e soldi in Messico, dove lo attendeva Fidel che doveva comprare il battello Granma. Gino così divenne amico del medico asmatico Che Guevara, che gli confidò che se non avesse incontrato Fidel sarebbe emigrato in Italia per specializzarsi contro l’asma, nella facoltà di medicina di Bologna. Gino diventò amico anche di Fidel e di Raul e, come ex partigiano, collaborava agli addestramenti militari.
Il 25 novembre del 1956 partì dal porto messicano di Tuxpan tra gli 82 patrioti del battello Granma. A bordo il suo grado era quello di Tenente del Terzo Plotone comandato dal Capitano Raúl, fratello di Fidel. Gli 82 sul Granma erano: 78 cubani, più un argentino (Che), più un messicano (Alfonso), più un domenicano (Ramon), più Gino (detto El Italiano).
Sul passaporto italiano c’era scritto Gino Donè, ma all’anagrafe cubana, quando si è sposò, fu registrato col nome di Gino Donè Paro, cioè anche con il cognome materno.
Dopo lo sfortunato sbarco del 2 dicembre 1956 nell’Oriente Cubano, ai piedi della Sierra Maestra, e dopo la decimazione subita ad Alegria de Pio dai soldati batistiani, Gino tornò clandestinamente a Santa Clara, dove nel Natale 1956 partecipò ad azioni di sabotaggio contro postazioni militari, assieme all’amica Aleida March. Ma nel gennaio 1957 ricevette l’ordine dal “M-26-7” di andare all’estero salpando da Trinidad.
Dopo mezzo secolo Gino ha detto che: “Dopo il Desembarco del Granma, abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, chi in una forma e chi in un’altra. Io che ero straniero ero il più indicato per starmene lontano e fare ciò che nella Sierra non avrei potuto fare. C’era necessità di collegamenti, di notizie, d’informazioni, di soldi, di armi, e di molte altre cose. Chi con le armi e chi senza armi ha fatto quello che doveva fare. E anch’io”.
Nel 1996, alla Fiera Turistica di Varadero, a Cuba, il Comandante Jesús Montané Oropésa, “moncadista-granmista” da sempre assistente di Fidel, durante una intervista con Gianfranco Ginestri, disse: "Gino era il più adulto, il più serio, il più disciplinato; e dopo la nostra vittoria non ha mai cercato privilegi; e ogni tanto ci telefoniamo".
L’ultima volta che Gino fu ospite di Montanè a Cuba avvenne in occasione del 40° dello sbarco del “Granma”, nel dicembre 1996. Jesús Montanè è morto nel 1999.
Gino, nel 2003 (senza figli e vedovo due volte: della cubana Olga Norma e della portoricana Tony Antonia) era andato a vivere a Noventa di Piave, vicino a San Donà, in provincia di Venezia, dall’amata nipote Silvana.
All’Avana è in contatto con il suo compagno “granmista” Arsenio Garcia Davila, con il quale andò alla sfilata del 1° Maggio 2004 (dove fu decorato) : poi il 18 maggio tornò a Venezia dove fu festeggiato nel suo 80° compleanno dai Circoli di Italia-Cuba del Veneto, da diverse organizzazioni amiche di Cuba, e dall’Anpi.
Per il suo 81° compleanno, nel 2005, è stato ospite a Firenze della Fondazione Italiana Ernesto Guevara. Per l’ 82° compleanno, nel 2006 a Bologna, divenne socio onorario del locale circolo dell’Ass-Italia-Cuba.
Nel 2006 si è recato spesso a Cuba, per partecipare alle celebrazioni del 50° del Desembarco del Granma.
Nel 2007 a Cuba,
“Mundo Latino” ha presentato un dvd sul tema: “ Gino: dalla Resistenza alla
Revoluciòn”.
|
24 marzo 2006 - I.H.Alavarez |
Gino Donè: «A
Fidel, fedeltà»
Gino Donè Paro partecipò alla spedizione alla fine del 1956 alla spedizione del Granma: 81 uomini che sbarcarono nella costa sud orientale di Cuba con la promessa di essere liberi o martiri. Dopo molti anni di incertezza scopriamo la sua enigmatica vita (18 settembre 2007). A 82 anni, Gino Donè conserva le caratteristiche di guerrigliero antifascista che gli permisero sopravvivere, in due occasioni, alle inclemenze dei campi di concentramento. Per questi motivi continua ad essere sfiduciato, parco ed energico. Fortunatamente scappò della prima prigione e dalla seconda fu liberato dall'Armata Rossa.
Alla metà del secolo scorso un'intensa persecuzione lo obbligò a vagare per il mondo. Così arriva a Cuba prima del 1950, a bordo di una nave che attracca a Manzanillo. La lettura di brani sulla Guerra d’Indipendenza, scritti da Martí, e l’attrazione per la vegetazione lo spingono a provare sorte nella Maggiore delle Antille.
Immediatamente viaggia all'Avana dove trova lavoro come falegname ebanista, poi partecipa alla costruzione di edifici viciniori all’allora Piazza Civica, oggi Plaza del la Revolución. Dopo pochi anni è contrattato da una società di lavori stradali per Circuito Sur.
TRINIDAD, SEMPRE PRESENTE
Conosce Trinidad più di 50 anni fa, mentre lavora nella strada che unisce la città a Cienfuegos. D'allora prova un sentimento molto intimo che lo fa ritornare alla vecchia villa. L'ultima volta, per un documentario realizzato dagli studi televisivi del Comitato Centrale del PCC (Mundo Latino), insieme a produttori italiani amici di Cuba. Approfittiamo dell’occasione per conversare con lui.
"Qui ho avuto l'amore della mia vita, Norma Albertina Turiño Guerra, una donna molto bella ed intelligente. E’ stata mia moglie…". Gli occhi s’inumidiscono, la voce è spezzata. Una domanda lo richiama al presente:
Come si arruola nel Granma?
«Lo devo al mio spirito ed a norma. Lei e la sua famiglia erano antibatistiani e molto rivoluzionari. Uno dei suoi fratelli, Carlos, arrivò ad essere capo del (movimento ndt) 26 di Luglio a Trinidad. Mi legai a lui nelle attività dell'organizzazione, perché ho sempre lottato contro le ingiustizie, gli abusi e maltrattamenti».
Per la sua capacità per difendere le cause nobili non gli risultò difficile capire la realtà cubana, nel mezzo della tirannia di Batista né identificarsi con i veri patrioti. «Quando vidi sui giornali le foto dei giovani assassinati per il fatti del Moncada m’indignai, provai per loro ammirazione, mi fecero ricordare i giorni del fascismo italiano».
«Era Carlos chi doveva andare in Messico, ma per problemi di saluti ed altre cause non gli fu possibile, allora parlò con Faustino Pérez e gli disse che io aveva esperienza militare e potevo essere utile. Realizzate le dovute consulte la proposta fu approvata. Mi unii a quei ragazzi per convinzione».
«Fidel m’impressionò, ebbi fiducia in lui. Al principio pensò di utilizzarmi come istruttore nell’addestramento del gruppo. La mia condizione di straniero, inoltre, facilitò che fossi come una specie di staffetta del Movimento. Feci alcuni viaggi tra il Messico e L'avana, portavo documenti, articoli scritti da Fidel che sarebbe stati pubblicati dalla stampa. Portato i fondi raccolti per il "26", per poter affrontare le spese in Messico».
Insieme a Gino ed al Che, altri due stranieri erano presente nell’elenco della spedizione: il dominicano Ramón Mejías del Castillo (Pichirilo), ferito il 12 agosto 1965 a seguito dell'invasione nordamericana nel suo paese e morto pochi giorni dopo, ed il messicano Alfonso Guillén Zelaya, morto il 22 aprile 1994.
Grazie alle rilevanti qualità ed al distinto comportamento viene promosso al grado di tenente ed inserito tra i partecipanti della spedizione del Battello della Libertà, come capo di squadra nel plotone di Raúl.
"Non avevamo mostrine, i gradi erano nominativi. La cosa più importante è che tutti eravamo uno solo. Mi sentii sempre come un cubano; l'unica cosa che mi distingueva era il linguaggio. In quei prima dello sbarco stabilii una relazione con il Che, era un uomo molto educato, intelligente. M’identificai in lui, avevamo molte cose in comune».
ALEGRÍA DE PIO E L'ENIGMA
Il combattimento di Alegría de Pio disintegrò il gruppo. Alcuni persero la vita, altri caddero prigionieri e poi furono assassinati. La maggioranza prese direzioni differenti, secondo le circostanze. Un piccolo nucleo riuscì ad unirsi dopo pochi giorni per riorganizzare la lotta nella Sierra Maestra. Gino racconta le sue esperienze:
«Dopo il combattimenti rimasi al comando di 14 uomini, persi nel monte. Per non richiamare l'attenzione ci dividemmo in due gruppi. Il capitano Smith con sette uomini, ed io ugualmente. Camminammo molto, passando fame e sete. Alcuni decisero d’andare all’Avana o in altri luoghi in cerca dei compagni del (movimento) "26" . Io volli andare a Las Villas. Alcuni contadini della zona mi aiutarono ad uscire di lì».
Aleida March, attiva lottatrice della clandestinità, lo riceve a Santa Clara. Con lei partecipò ad un'azione che, fortunatamente, non arrivò alla fine. Mentre un gruppo della resistenza avrebbe tagliato la corrente elettrica, Aleida e Gino avrebbero lanciato una granata contro l'edificio del governo di Santa Clara dove erano riuniti numerosi sbirri.
«Quando eravamo pronti per portare a termine l'azione, tornò la luce e vedemmo dei bambini all’interno della struttura, per fortuna non successe nulla: non mi sarei mai perdonato di aver ammazzato delle creature innocenti».
Alcune settimane lasciò Cuba diretto in Messico, ma la sua vita era in pericolo. Girò allora per vari paesi come il Venezuela, la Grecia e il Vietnam. Grazie alla sua esperienza come marinaio lavorò sulle navi.
«Volevo ritornare a Cuba, e ritornai alla fine del 1958 al porto di Cienfuegos. Immediatamente mi diressi a Trinidad; sapevo che numerosi delatori mi conoscevano e potevano denunciarmi. Decisi di entrare in contatto con il Che che era nell'Escambray. Gli inviai un messaggio con un ragazzo. Non ho mai saputo se lo ricevette».
«Fui ad un villaggio chiamato Jíquima de Alfonso, dove il mio suocero aveva una coltivazione di tabacco. Lì mi nascosi alcuni giorni. Seppi che i soldati di Batista mi stavano cercando».
«Quando seppi che le guardi erano in zona, una notte appesi l’amaca all’entrata della fattoria dove dormivo, per far credere che ero lì. Mi nascosi nelle sterpaie ad aspettare. C’era la luna piena e potevo notare se veniva qualcuno. Come all'una arrivarono tre uomini della Guardia Rurale a cavallo e subito dopo in un jeep arrivò il sergente Perdomo. Ascoltai quando dissero che ero lì. Il sergente disse: "Portatemi a quest’italianetto figlio di puttana per ammazzarlo"».
«Morsi l'erba per la rabbia. Se avessi avuto un'arma in quel momento… Camminai fino all’alba lunga la ferrovia per arrivare a Trinidad. Dissi a norma che andavo via dal paese perché la dittatura mi sta cercando in ogni luogo, gli proposi di venire con me, ma mi spiegò che non poteva abbandonare la sua famiglia, né i compagni del movimento. La capii. Salpai da Nuevitas, nella stessa nave che mi portò dal Messico ed arrivai negli Stati Uniti».
Negli USA Gino comincia una nuova vita. Lavora come tassista, pittore, decoratore, ecc. e si sposa con un’altra donna. Il trionfo della rivoluzione cubana lo sorprende a New York. L'allegria fu tanta che dice ad un amico cubano (chiamato José Pérez), che lavorata all’Hotel Waldorf Astoria, di mettere una bandiera cubana nell'ultimo piano.
"Quel giorno fu il più saporito della mia vita". All’inizio della Rivoluzione sollecitò l'ingresso a Cuba, negato perché esisteva una legge che privava di residenza chi permaneva più di un anno all’estero.
Dopo molto tempo, Gino stabilisce un contatto con alcuni compagni di lotta. Nel 1995 tornò a Cuba, della quale, come dice, non si è mai potuto dimenticare. «Amo l’Italia – dice - ma sono figlio adottivo di Cuba. Mi sento sempre come uno di voi. Seguo ammirando e rispettando il Comandante in Capo; a Fidel, come indica il suo nome, fedeltà».
|