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13.11.08 - G.Carotenuto Latino America del n°3 2008 www.comunistinmovimento.it |
Se Cuba sopravvive a due uragani
il mondo non se ne accorge |
"Ascolta, questa è stato la cosa peggiore che ho vissuto nella mia vita. La provincia di Pinar del Rio è distrutta, così come la Ma de la Juventud, ma praticamente tutta Cuba è in ginocchio. Questo Ike ci ha spezzato in due peggio di Gustav. Abbiamo vissuto tre giorni con una pioggia torrenziale mai vista mentre tutto era spazzato dal vento. Siamo stati tre giorni senza luce, per fortuna che avevamo il gas da cucina.
E' stato tenibile tenere Felipin [un bebé di pochi mesi, ndr] chiuso in casa senza elettricità, senza frigorifero, ventilatore, con le finestre sbarrate. E José Ernesto (il fratello di IO anni, il più terribile pelotero del quartiere) sembrava un leone in gabbia.
L'autostrada inondata, alcuni morti. Qui in casa dicevamo che mai un ciclone era durato tanto, ha cominciato a fare danni da prima di arrivare e dopo che era passato ancora era pericoloso uscire. E per fortuna che quando è passato di qua in Occidente era già categoria 1 [la più bassa, ndr]. Però il gran figlio di puttana ha spazzato via tutto il paese.
Che ci succederà adesso? Suppongo che in pochi giorni comincerà a notarsi la mancanza di cose, di alimenti, al mercato soprattutto. Però la cosa più importante è che tutti noi stiamo bene, vivi e in buona salute e che anche tutto il paese è vivo e con voglia di rimettersi in piedi Bene, se la vita ci dà limoni... faremo limonata!"
Così una famiglia cubana qualsiasi ha vissuto il passaggio degli uragani Gustav e Ike, i più forti in 50 anni, che hanno messo in ginocchio l'isola, la sua agricoltura, il suo patrimonio abitativo, lasciandola per la prima volta al buio come accadeva negli anni '90 al tempo del periodo speciale. La stampa internazionale ha tergiversato evitando che si capisse, ma Cuba all'inizio di settembre 2008 è sopravvissuta a una vera e propria apocalisse.
Nonostante ciò, e con i problemi della ricostruzione e del recupero soprattutto del settore agricolo da affrontare, Cuba è uscita ancora una volta rafforzata e orgogliosa della propria protezione civile, che con una mobilitazione eccezionale ha evitato praticamente qualunque danno alle persone. Con mezzo milione di case e migliaia di pali dell'alta tensione che letteralmente volavano via, i morti sono stati appena quattro. Ma per la grande stampa tutto ciò non valeva la pena di essere raccontato.
I media internazionali si muovono secondo strani meccanismi. Uno di questi, quando si parla di tragedie, guerre e calamità naturali, è che a parità di distruzione conta il numero di cadaveri da sbattere in prima pagina. La cucina informativa mondiale è come l'orco che ha bisogno dell'odore di sangue, altrimenti non c'è notizia. Se ci sono i morti, ammazzati o che galleggiano nel fango affogati, allora c'è notizia. Se i morti non ci sono, allora una delle più epiche narrazioni della resistenza dell'uomo alle forze della natura diventa una non notizia. A questi si aggiungono altri meccanismi conosciuti. Per esempio un cadavere bianco fa più punti di un cadavere nero e una pioggia di marzo nel nord del mondo fa più notizia di centinaia di morti ad Haiti, il più disgraziato esempio al mondo di "si salvi chi può" neoliberale, A questo si aggiunga che quando si parla di Cuba è necessario almeno un appiglio per trattarla a tinte fosche e, se proprio non si può parlarne male, come in questo caso, allora scende sull'isola la più rigida delle censure. Oppure si arriva al cinismo (ascoltato in un telegiornale Rai) di dire che l'uragano Gustav aveva causato servizio pubblico) dì un famoso metereologo che decantava la protezione civile statunitense rispetto a quella inesistente (sic) di Cuba.
E, nel caso di Cuba, non si può neanche liquidarla considerando un miracolo il vedere il proprio territorio spazzato in pochi giorni da due dei più terribili uragani della storia, con il solo Gustav che ha fatto più danni che tutti gli uragani degli ultimi 15 anni messi insieme, e poter contare solo quattro vite perdute. Quattro morti, solo quattro morti che non sono un caso. Sono il frutto di anni di lavoro sia della "Defensa civil", la protezione civile cubana, sia di tutta una popolazione cosciente. Ogni cubano è tempestivamente informato minuto per minuto, sa da tempo cosa deve fare e rispetta il suo ruolo alla lettera. La parte informativa è preludio alla fase due, quella della cosiddetta "allerta ciclonica", che è la fase del disastro vero e proprio. In quel momento le autorità controllano che tutti svolgano il proprio compito con calma, le donne incinte vengono ricoverate preventivamente e tutti gli abitanti e i turisti vengono portati in zone sicure, mentre i Comitati di Difesa della Rivoluzione si occupano di tutte le persone che hanno difficoltà a muoversi.
Se si è intellettualmente onesti è difficile non essere accusati della colpa imperdonabile di essere amici della Rivoluzione cubana a far notare che, almeno nella prevenzione degli uragani, Cuba ha insegnato al mondo che la fatalità non esiste. Non esiste per i tornado così come non esisterebbe nell'edificare in maniera antisismica oppure nel prevenire il dissesto idrogeologico e in tanti aspetti della vita che in un paese che si considera più ricco, più evoluto e più democratico come l'Italia, sono lasciati al caso o quasi.
Nonostante appaia retorico da dire non è così a Cuba, dove la tenace opera dell'uomo ha dimostrato di poter resistere alla furia degli elementi e limitarne i danni e soprattutto non abbandonare nessuno, non lasciare indietro nessun essere umano più debole. Certo, è necessario essere sufficientemente ostinati da mettere tale obbiettivo, non lasciare mai nessuno indietro, prima di tutto sempre. E quando si dice che nessuno è stato lasciato indietro a Cuba non ci si riferisce solo al milione di persone aiutate a spostarsi ed a trovare rifugio e ai due milioni e mezzo che sì sono mossi autonomamente secondo le precisissime informazioni e direttive della protezione civile. Ci si riferisce per esempio ai cinque marinai rimasti in balia dell'uragano su di un peschereccio. Per due giorni ne hanno dato conto anche il Miami Herald e la Efe, 36 imbarcazioni, tre elicotteri e due aerei hanno battuto palmo a palmo il mare fino a salvare i cinque dalle onde.
Il confronto stride con quanto avveniva poche ore dopo con il passaggio di Gustav verso la città di New Orleans. La catastrofe di tre anni fa, con i suoi 1800 morti, ha insegnato ben poco e la gente è dovuta di nuovo fuggire disperatamente. Chi ha potuto si è rifugiata in alberghi privati, che ha dovuto pagare per intero. Mentre a Cuba decine di migliaia di persone hanno lavorato per salvare vite umane, il governo degli Stati Uniti ha inviato nella città solo 2000 soldati armati fino ai denti con il compito di bloccare i saccheggi. E nonostante la forza di Gustav fosse stata in Luisiana la metà di quella con la quale si è abbattuto su Cuba, i morti sono stati di nuovo 26.
E allora si comprende perché la storia di come gli uragani Gustav e Ike hanno distrutto Cuba ma non hanno ucciso i suoi abitanti non è stata raccontata, o è stata raccontata il più superficialmente possibile. Perché se avessero dovuto raccontarla, allora sarebbe stato impossibile non parlare della pianificazione perfetta, dei mille casi di eroismo ma soprattutto dì professionalità e disciplina della protezione civile cubana, dell’organizzazione, degli investimenti, dell'efficacia e soprattutto di un popolo intero abituato a ragionare con la propria testa.
Qualcuno a Cuba ha scritto che gli uragani sono uguali e contrari alla bomba al neutrone. La bomba al neutrone è quella bomba della quale si è detto per decenni, per fortuna senza mai sperimentarla, che avrebbe ucciso le persone senza fare alcun danno materiale alle cose e lasciando in piedi le case. Ebbene a Cuba ci siamo trovati di fronte al caso contrario: una bomba atomica della natura che spazza via rutto ma non riesce ad uccidere le persone. Nonostante perfino l'ONU abbia scritto nero su bianco che Cuba è un esempio di protezione civile anche per i paesi ricchi, o forse proprio per questo, è decisamente troppo scomodo parlarne.
I DANNI RESTANO
Nonostante tutto ciò i danni causati dai due uragani e dai precedenti tre minori, e con il ragionevole dubbio che il cambiamento climatico obbligherà l'isola sempre più frequentemente a fronteggiare questa minaccia, sono drammatici e sono stati quantificati fino all'enorme cifra di 10 miliardi di dollari I due settori più danneggiati sono quello agricolo, che è contemporaneamente uno dei punti deboli del sistema cubano, con un livello di produttività già insufficiente alle necessità dell'isola, e quello abitativo. Le case danneggiate in appena cinque giorni sarebbero 320mila, che aggiungendosi a quelle già danneggiate nei tornado precedenti di questa stagione farebbero superare il numero di mezzo milione, una percentuale consistente dell'intero patrimonio immobiliare dell'isola. Quasi 50mila sarebbero quelle completamente distrutte, delle quali un terzo nella sola Isla de la Juventud. Questa è, con la provincia di Pinar del Rio, la zona più castigata. Per il resto i danni più gravi sono stati alle reti elettriche e telefoniche. Migliaia di pali e centinaia di torri dell'alta tensione sono stati abbattuti dal passare dell'uragano e come detto l'intera isola è rimasta a lungo al buio, anche se ospedali e altri luoghi sensibili hanno continuato a funzionare con generatori autonomi.
Per quanto riguarda gli aiuti internazionali c'è stata la solita prova di cinismo del governo statunitense. Ha offerto una cifra irrisoria e solo a patto di aprire l'isola a non meglio precisate ispezioni di osservatori e ha negato, nonostante Barak Obama fosse favorevole, la sospensione dell'embargo. Non solo: ha impedito che i cubano-statunitensi potessero mandare aiuti alle famiglie. Mandare poche centinaia di dollari per riparare un tetto costerebbe 250000 dollari di multa. Una non molto miglior figura ha fatto l'Unione Europea che ha stanziato 2 milioni di Euro. E' lo 0,02% dei danni e sono 74 centesimi per ogni cubano che ha dovuto abbandonare la propria casa. Il biglietto dell'autobus.
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