17 maggio '08 - www.monde-diplomatique.it

 

I problemi e le prospettive della seconda generazione

 

 

Miami è stufa dell'estrema

 

destra cubana

 

 

Indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali americane - John McCain, Hillary Clinton o Barack Obama - questo non influenzerà la politica di Washington nei confronti dell'Avana. Fino a oggi i repubblicani hanno sempre potuto contare sui voti della forte comunità dei cubani di Miami. Ma ormai gli anticastristi, anche se hanno ancora il controllo della città, sono sempre più contestati.

dal nostro inviato speciale Maurice Lemoine

 


«Qui è come a Cuba, ma con in più il cibo!». Il sole è tramontato su Miami e sembra di stare all'Avana: siamo in febbraio e ci sono ancora più di venti gradi. Da una piazza all'altra, in mezzo ai grattacieli, svettano le palme, in lontananza spicca la grande M di un McDonald's.


Con gli occhi il cubano mostra le vetrine piene di elettrodomestici, di mobili, di vestiti, di televisori all'ultima moda, e si lancia in una stima (piuttosto sommaria): «C'è di che rifornire l'intera popolazione di Cuba per un secolo».


I negozi abbassano le saracinesche e nei piccoli fast food latinos si sentono le ultime note di salsa. Donwntown Miami - il centro della città, peraltro tutto spostato a est - si svuota dei suoi uomini d'affari, delle sue segretarie, dei suoi impiegati. Con il lasciapassare ancora al collo, quasi tutti parlano in spagnolo. Qualche eccentrico si esprime in inglese. Ma tutti si affrettano: ben presto la Wall Street dell'America latina si trasformerà in un lugubre deserto di cemento e acciaio.


La metropolitana all'aperto si dirige verso lontane periferie. Un convoglio ogni venti minuti (quando va bene). Gli autobus si lanciano in interminabili maratone. Miami è fatta per chi può permettersi una macchina, non per i poveri. In questi autobus ci si conosce.


Un cubano saluta una cubana. Non parlano di politica né di Fidel Castro.«Come va?» «Sono stanca di andare sempre di corsa». La donna abbozza un sorriso stanco.


L'autobus non va verso Miami Beach, con le sue palme, l'oceano brillante e i suoi alberghi art déco, ma al quartiere popolare di Hialeah.


In realtà anche Miami Beach - questa Mecca dell'edonismo - ha i suoi cubani, ricchi ovviamente. E l'esercito di cameriere, di donne delle pulizie e di inservienti. Tutte queste ragazze di seconda generazione, che, perfettamente bilingue, attirano i turisti davanti ai ristoranti di Ocean Drive. «Hey, this is the place! This is the good place! Holá, amigos, como están? Tenemos de todo» (1). Ma questo autobus non va né a Miami Beach né a Little Havana.


Little Havana. Un mito. Un mito alimentato da frotte di giornalisti frettolosi. È vero, per molto tempo Little Havana, a ridosso di Downtown, è stata il «feudo» cubano di Miami. Una roccaforte popolata da sostenitori di Batista (2): grandi proprietari, liberi professionisti, dirigenti, commercianti, ma anche trafficanti di ogni risma fuggiti dalla rivoluzione.
All'epoca la vita scorreva animata sulla Calle Ocho - l'Ottava strada.


Una via costeggiata da negozi, da bar illuminati, da ristoranti.


Qui si sono ordite tutte le trame per invadere Cuba, per uccidere Fidel Castro, per destabilizzare l'isola, per organizzare attentati dinamitardi e altri progetti tenebrosi. Ma oggi Little Havana è solo una sorta di triste periferia.


Dalla metà degli anni Ottanta i cubani non la frequentano più. Gli esiliati più anziani sono morti, i loro figli si sono trasferiti in altre parti della città - Kendall, Hialeah, North West - e nel resto della contea di Miami Dade. A poco a poco sono stati sostituiti da centroamericani, da colombiani e da altri latinos. La Calle Ocho presenta ormai solo negozi onduregni, bar nicaraguegni, ristoranti salvadoregni; in altre parole Little Havana non è stata ripresa dagli autoctoni. Sulla porta di alcuni negozi si può leggere «Qui si parla inglese», ma da queste parti i cubani sono ormai solo la principale minoranza.


Del loro splendore passato rimangono i vecchi anticastristi che giocano a domino nel Maximo Gómez Park e il ristorante Versailles, quartier generale dell'estrema destra in esilio. È da queste parti che in occasione di ogni evento importante il clima diventa effervescente: in occasione dell'implosione dell'Unione sovietica, «tra poco, molto poco, cadrà anche Fidel»; con la crisi dei balseros (3), «con la prossima spallata, il sistema crollerà»; quando le truppe americane hanno preso Baghdad, «oggi l'Iraq, domani Cuba!»; quando il «líder máximo» si è ammalato, «questa è una grande occasione per tutti gli uomini e donne di coraggio che vogliono che Cuba prenda un'altra strada». È qui perciò che si precipitano le telecamere per riprendere i membri della «comunità», anche se di solito sono solo alcune migliaia di persone a manifestare su 650 mila cubani (4).


In ogni modo bisogna riconoscere che dagli anni Sessanta in poi l'estrema destra cubana ha sempre avuto il controllo di Miami grazie all'enorme potere economico del suo capitale iniziale, al suo dinamismo e all'aiuto concesso da dieci amministrazioni successive; e grazie anche al controllo dei media. Due mondi strettamente collegati.


Due quotidiani in spagnolo, Diario las Américas ed El Nuevo Herald - versione spagnola del Miami Herald. Sei radio - La Poderosa, Radio Mambi, Wqba, ecc.; una rete televisiva, Canal 41(5). «Quando sono arrivato, nel 1982 - racconta Luis, un uruguaiano - ho subito cominciato ad ascoltare la radio e a guardare la televisione in spagnolo. Tutti i programmi avevano un solo argomento: Cuba. Era il nostro pane quotidiano, una propaganda incessante che non aveva nulla a che vedere con l'informazione».


E da allora non è cambiato nulla.


I giorni dell'esilio Riguardo la stampa scritta, il discorso è simile. Il Miami Herald sa bene che da un punto di vista economico non ha alcun interesse a mettersi contro la destra cubana. La sua traduzione in spagnolo, El Nuevo Herald, va ancora più lontano: edulcorando, censurando addirittura alcuni articoli della casa madre, pubblica quello che sembra più un ciclostile politico che un quotidiano. Per trovare in città una copia di Usa Today o del New York Times bisogna alzarsi presto. E in ogni modo sono scritti in inglese, una cosa che non piace molto ai cubani.


«Il ruolo della radio in questa città - spiega Francisco Aruca - è sempre stato quello di mantenere "la linea" e di esercitare una pressione sociale, in particolare sui gruppi che manifestano opinioni diverse. C'è stato un tempo in cui se ti criticavano alla radio dicendo che eri un simpatizzante di Castro, anche se non era vero, la sera gli amici non ti salutavano dicendoti: "Mi sei molto caro, ma è meglio se non ci facciamo vedere insieme". E tutte le porte si chiudevano».
Contrario all'indirizzo preso dalla rivoluzione - al punto di prendere le armi per combatterla sull'isola negli anni '60, nelle campagne dell'Escambray - Marc Leznic, dopo essere arrivato a Miami, ha creato una rivista, Réplica. Tornato su posizioni più moderate, Leznic raccomanda oggi il dialogo e rifiuta la violenza contro Cuba. «La rivista è stata vittima di undici attentati dinamitardi fra il 1975 e la metà degli anni Ottanta, quando abbiamo smesso di pubblicarla». I tempi cambiano, negli Stati uniti si è ridotto lo spazio per questo tipo di attività. «Questo ci permette di sopravvivere in un ambiente ostile, ma dove l'azione diretta è più difficile - osserva Leznic, che dirige adesso, sempre sulla stessa linea politica, Radio Miami. Ma questo non vuol dire che ci sentiamo del tutto sicuri».
Fondatore di Marazul, agenzia organizzatrice di voli verso Cuba, Aruca conduce una trasmissione, «Radio Progreso», sulla Wocn - Unión Radio in spagnolo. Cinque ore che avrebbero dovuto essere finanziate con la pubblicità: musica cubana, cronache, analisi politiche moderate.


«Mi sono detto, gli inserzionisti arriveranno. E di fatto sono arrivati, numerosi. Ma dopo quattro, cinque giorni mi chiamavano: "ci arrivano telefonate minatorie". Il proprietario di un bar mi ha detto che gli avevano lanciato un sasso contro la vetrina!». Così, in mancanza di denaro, Aruca ha ridotto la sua trasmissione di informazione indipendente a un'ora. Sempre senza pubblicità (tranne Marazul) e nonostante uno share del 15%.


Nei primi tempi l'esilio cubano aveva un carattere familiare, bianco, ricco e fortemente anticastrista. L'ondata antirivoluzionaria successiva, fino alla metà degli anni '70, vi ha aggiunto il suo numero di impiegati, di artigiani, di insegnanti e di piccoli commercianti. Nel 1980, in seguito alle gravi difficoltà incontrate dall'isola, 125 mila cubani attraversano lo stretto della Florida dal porto di Mariel.


Ma se si eccettua il piacere di vedere L'Avana in difficoltà, i loro predecessori ricevono piuttosto male questi marielitos: per la prima volta la città si popola di cubani che non appartengono né all'ex classe dominante né alla classe media, ma provengono «dalla strada» e hanno una pelle un po' più «colorata». Il fenomeno diventerà ancora più accentuato nel 1994, con l'arrivo dei balseros.


La città cambia completamente, con alcuni effetti perversi. «Nel complesso, osserva un «anglo» del quartiere di Coral Gables parlando dei marielitos, la maggioranza di persone arrivata è gente perbene, onesta, ma tra di loro vi sono anche dei delinquenti e dei malati mentali mandati da Castro». Riguardo questi ultimi, Max Leznic fornisce una spiegazione di solito passata sotto silenzio: «Questi matti si trovavano negli ospedali psichiatrici cubani, lasciati alle cure della rivoluzione. L'Avana ne aveva la lista. "Dove sono i loro parenti?


Negli Stati uniti? Allora fateli uscire e spediteli laggiù. I loro parenti hanno i mezzi per occuparsene"». Con tutti questi arrivi Miami ha attraversato un periodo difficile, contrassegnato dalla violenza, da traffici di droga e da morti violente (in seguito la situazione è parzialmente migliorata).
Gli americani di colore non vedono con piacere l'arrivo di questi nuovi emigranti, che fanno loro concorrenza nella ricerca di lavori umili già malpagati. A loro volta i latinoamericani e gli haitiani sopportano con difficoltà il trattamento privilegiato di cui beneficiano i cubani. «La loro posizione viene subito regolarizzata - osserva Luis, l'uruguaiano. Sono gli unici. Gli altri vivono nella paura, e per molto tempo in condizioni di illegalità. Se sono scoperti perdono tutto e devono "sloggiare"».


A tutto ciò bisogna aggiungere che ancora oggi i cubani - anche se hanno ottenuto la nazionalità americana - vivono fra cubani. «Sono snob, si considerano i migliori, sono diversi! A noi, latinos, ci trattano da indios». Il paradosso può andare più lontano: ormai la rivoluzione è qualcosa di lontano nel tempo e così, non appena viene evocato loro il presidente venezuelano Hugo Chávez, assumono un'aria importante: «Chávez? È un pagliaccio! Fidel è molto, molto più intelligente».


La situazione è ancora peggiore con l'estrema destra: «Se gli afroamericani sapessero come parlano di loro. Per fortuna non capiscono quello che viene detto alla radio».


Tuttavia i cubani del dopo-Mariel hanno dato a Miami il suo volto, con i loro difetti e le loro qualità. Simpatici, ironici, estroversi, aiutati al loro arrivo dal governo americano, hanno lavorato sodo e si sono creati un loro spazio. I più dinamici sono diventati commercianti, piccoli imprenditori nel campo dei servizi, del commercio, delle pizzerie. Tutti fanno ridere il loro connazionale Francisco: «Criticano Fidel perché non li lasciava viaggiare. Arrivati qui, non escono mai da Miami, a loro il mondo esterno non sembra interessare. C'è una sola eccezione: appena hanno quindici giorni di vacanza vogliono andare a Cuba!».


L'anticastrismo radicale si attacca alle sue certezze: ancora un mese, una settimana, un giorno e il «regime» cadrà; gli esiliati torneranno sull'isola e saranno accolti in modo trionfale; uno di loro si presenterà alle elezioni presidenziali e le vincerà. A forza di parlare della vittoria futura e sempre rimandata, si credono invincibili e vivono guardando al passato.


Attorno a loro hanno attirato e attirano tuttora una moltitudine di organizzazioni criminali - Alpha 66, Comandos L, Comandos Martianos Mrd, Omega 7, Partito di unità nazionale democratica (Pund), Consiglio per la libertà di Cuba e così via - e una facciata più «rispettabile», la Fondazione nazionale cubano-americana (Fnca), creata nel settembre 1981 da Ronald Reagan, e le cui modalità operative sono basate sulla corruzione degli uomini politici e sull'intimidazione. Tutte queste persone vivono dilapidando patrimoni enormi: il denaro fornito generosamente dalla Cia e dalle varie amministrazioni per «rovesciare Castro».


A livello federale dall'inizio degli anni Novanta sono molto attivi i tre deputati cubano-americani di Miami eletti alla Camera dei rappresentanti: i due fratelli Lincoln e Mario Díaz Balart e Ileana Ros Lehtinen.


Questi deputati, tutti repubblicani, conducono a Washington un'intensa attività di lobby: sono all'origine di tutte le leggi dirette a irrigidire l'embargo contro Cuba (6), chiedono la comparsa di Fidel Castro davanti a una Corte penale internazionale (se non la sua uccisione) ed esigono la liberazione di Luis Posada Carriles (vedere il box).


La maggioranza dei cubano-americani ha invece altre preoccupazioni.
Di fronte a questi estremisti, alla loro violenza e alle loro pressioni, per molto tempo la popolazione cubana di Miami ha tenuto un atteggiamento piuttosto passivo, partecipando anche al finanziamento delle loro attività pubbliche (e delle varie attività clandestine contro Cuba).


Ma soprattutto, ha cercato di non farsi notare. «Anche qui - dice Francisco - la gente ha paura di parlare. Non sono d'accordo con la corrente dominante, ma non dicono nulla per evitare problemi».


L'embargo dei pacchi Come i milioni di latino-americani che non provengono da un paese «comunista», ma che hanno scelto comunque di emigrare negli Stati uniti, i cubani hanno intrapreso il viaggio per ragioni economiche.


Avendo lasciato le loro famiglie sull'isola, vogliono poter andare a trovarle, e anche se i loro mezzi sono per lo più modesti, vogliono aiutarle. E non vogliono sentir parlare di embargo o di invasione militare dell'isola.
Molti negozi mostrano l'annuncio: «Mandiamo dei pacchi a Cuba». Il fenomeno - soprattutto i viaggi sull'isola - è iniziato in modo quasi clandestino, ma adesso nessuno si nasconde. In questo autobus due donne dicono ad alta voce: «Vado a Cuba, vuoi che porti qualcosa alla tua famiglia?». «Ti preparo delle lettere e un pacco. Quando parti?». Sembra di stare all'Avana, in una guagua (7).


Purtroppo le cose sono diventate più difficili dopo il 2004. In quell'anno infatti il presidente Bush ha approvato un rapporto della Commissione per l'aiuto a Cuba libre, che prevede una serie di misure che rendono ancora più duro l'embargo: restrizione all'invio di denaro - 1.200 dollari all'anno e solo alla famiglia diretta - e dei pacchi; limitazione dei viaggi (da uno all'anno di 14 giorni a uno ogni tre anni, e solo per visitare la propria famiglia) ; riduzione dei fondi che è possibile importare, da tremila a trecento dollari. La somma permessa per le spese quotidiane passa da 167 a 50 dollari. E non è possibile di portare con sé più di ventisette chili di bagagli.


All'inizio Miami rimane attonita, incredula, poi la comunità lascia esplodere tutta la sua rabbia. Anche il direttore dell'Fnca dell'epoca, José García, parla di un madornale errore di valutazione. Nella città si comincia a sentire l'impensabile: «Ho sempre votato repubblicano, adesso basta».


I democratici colgono la palla al balzo e tre dei loro candidati si presenteranno alle elezioni politiche del prossimo novembre con la volontà e, per la prima volta, con delle serie possibilità di essere eletti. Contro Lincoln Díaz Balart si presenta Raúl Martínez, a lungo sindaco molto popolare di Hialeah, il più importante dei quartieri cubani. José García affronterà Mario Díaz Balart, mentre Ileana Ros Lehtinen dovrà vedersela con l'americo-colombiana Annette Taddeo. «Già il fatto che i tre repubblicani abbiano un avversario dimostra che c'è una forte corrente di opinione contro l'estrema destra - osserva Max Leznic. Altrimenti tutto ciò sarebbe inutile».


Ovviamente è difficile che Miami passi al «centrosinistra». García, solo per fare un esempio, è stato l'uomo di fiducia di Jorge Mas Canosa, presidente dell'Fnca fino alla sua morte il 23 novembre 1997, è stato direttore dell'organizzazione e ancora oggi ne è membro (9).


Ma il fiuto politico gli dice che la politica di Washington non funziona.


Come gli altri due candidati non si pronuncia contro l'embargo (anche se Martínez lo fa in privato), ma si batte per un alleggerimento delle misure che tagliano il cordone ombelicale fra i cubani di Miami e l'isola, convinto che la moltiplicazione dei contatti favorirà sull'isola l'evoluzione del sistema politico.


In ogni modo, osserva Aruca, «se uno di questi candidati dovesse vincere sarà in cinquanta anni il primo duro colpo per l'estrema destra locale. Se dovessero farcela in due, questa struttura crollerà in poco tempo, aprendo nuove prospettive. Il clima politico a Washington cambierà».

 


note:

(1) «Ehi! È questo il posto giusto! Ehilà, amici, come state? Qui abbiamo di tutto».

(2) Sostenitori del dittatore Fulgencio Batista, rovesciato nel 1959 dalla rivoluzione.

(3) Partenza dall'isola di 32 mila cubani su imbarcazioni di fortuna nel 1994.

(4) Nel censimento del 2000 c'erano in tutta la contea di Miame Dade 650 mila cubani o discendenti di cubani (la comunità più importante), 465.770 americani bianchi, 427.140 neri e 641.130 latino-americani di varia origine.

(5) Le due reti televisive nazionali in spagnolo, Univisión e Telemundo, sono poco guardate dai cubani perché danno la precedenza ai messicani (molto più numerosi sull'intero territorio degli Stati uniti e quindi un pubblico privilegiato per gli inserzionisti).

(6) La legge Torricelli, su iniziativa del democratico Robert Torricelli (23 ottobre 1992) e la legge Helms-Burton, promossa dai repubblicani Jess Helms e Dan Burton (12 marzo 1996).

(7) Mezzo di trasporto pubblico.

(Nel 2003 115 mila esiliati si sono recati a Cuba).

(9) Dopo la morte di Jorge Mas Canosa, l'Fnca è entrata in crisi ed è stata costretta a rinnovarsi. Gli elementi più estremisti la hanno abbandonata nel luglio 2001 per creare il Cuba Liberty Council.
(Traduzione di A. D. R.)