Un sole che non si spegne
|
27 marzo '09 - www.granma.cu
|
|
All’alba del giorno 12 settembre del 1998 l'FBI (Ufficio Federale di Investigazione) informò Ileana Ross - Lehtinen e Lincoln Díaz Balart, due leader della mafia reazionaria e terrorista di Miami che erano appena stati arrestate cinque supposte “spie” lì residenti. La delegazione del Congresso della Florida è composta da 25 individui, ma nessun altro dei componenti ricevette la notizia anticipata.
L'FBI in quel momento non conosceva ancora l’identità di tre dei detenuti e gli altri due avevano cittadinanza statunitense.
I legislatori menzionati non occupano posizioni nel Congresso che abbiano relazione con la sicurezza e il controspionaggio: perchè vennero privilegiati? Perchè vennero messi al corrente di un’investigazione ancora segreta? Le accuse formali sarebbero state pronunciate solamente quattro giorni dopo, ma sin dal primo istante era già chiaro che si trattava di un’operazione di carattere politico – repressivo, la cui finalità era solamente favorire il settore più aggressivo e violento formato da coloro che hanno convertito la Florida nella base principale della guerra contro Cuba.
I gruppuscoli controrivoluzionari, politici e funzionari strettamente vincolati a tutto questo, scatenarono immediatamente una frenetica e isterica campagna per stigmatizzare i cinque giovani arrestati. Lì dove quasi tutti i mezzi di comunicazione e di stampa vengono controllati dalla mafia e operano sotto minacce costanti, non ci fu un giorno nel quale non venne pubblicato almeno un articolo o una nota informativa, con dichiarazioni di funzionari ufficiali, per calunniare e denigrare i cinque, presentandoli come pericolosi nemici della società.
Non è mai stata scritta una parola nemmeno su tutto ciò che accadde dopo la mattina di quel 12 settembre, sulle brutali condizioni alle quali vennero sottoposti in uno dei peggiori regimi carcerari che l’uomo ha mai immaginato. Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Fernando González, Antonio Guerrero e René González sono vittime di un’abominevole ingiustizia e di un trattamento crudele e degradante che oltraggia brutalmente i diritti umani e che è prova irrefutabile dell’arbitrarietà e dell’illegittimità dei processi ai quali vennero sottoposti.
Il fatto di aver ottenuto questo non cancella però le ingiustificabili atrocità commesse sui cinque giovani uomini, violando gli stessi regolamenti statunitensi che ammettono l’isolamento solo come castigo per infrazioni commesse nelle prigioni. Il limite massimo sono 60 giorni per i casi più gravi, come l’omicidio. Ovviamente prima di entrare in prigione non avevano trasgredito nessuna norma carceraria e non avevano mai ucciso nessuno...
Se a Miami esistesse qualcosa di simile alla giustizia, solo per questo fatto il Tribunale avrebbe dovuto metterli in libertà e obbligare il Governo a compiere le pertinenti riparazioni. Ma a Miami - per tutto quello che riguarda Cuba - non esiste nulla che, nemmeno di lontano, rassomigli alla giustizia.
Va segnalato l’encomiabile operato realizzato dalla difesa, nonostante tutte le difficoltà. I cinque accusati non avevano avvocati propri e nemmeno le risorse finanziarie sufficienti per assumerli: hanno avuto difensori pubblici, di ufficio, con i quali non avevano relazioni.
Questi avvocati, quando li conobbero, seppero apprezzare l’onestà delle loro motivazioni, la nobiltà e l’eroismo della loro condotta e nonostante le profonde differenze ideologiche che li separavano - e che segnarono sicuramente il processo – si convinsero dell’assoluta innocenza dei loro difesi. Questa convinzione si riflesse nell’impegno personale posto, assieme a una grande qualità professionale nella difesa. Mentre i cinque eroi resistevano isolati e nell’ombra i loro vigliacchi nemici occupavano giorno e notte le televisioni, i microfoni, le rotative, per sputare su di loro, per minacciare le loro famiglie e i loro amici e... anche per amministrare la “giustizia nello stile di Miami”.
Fu così che si lessero nei libelli stampati in questa città i dettagli sul cosiddetto processo giudiziario, includendo nuove accuse che il Pubblico Ministero avrebbe formulato solo parecchi mesi dopo. In questo modo, per esempio, si conobbe la più assurda, aberrante e falsa tra le accuse: la “cospirazione per assassinio” presentata per la prima volta nel maggio del 1999, quando i prigionieri erano isolati in carcere da otto mesi.
Dopo una
vergognosa operazione di stampa della mafia e una serie di riunioni pubbliche e
private tra giudici e mafiosi vennero esposti apertamente i piani per formulare
le nuove false accuse.
Che era impossibile lo si era constatato pienamente anche prima della selezione della giuria; le reiterate richieste dei difensori per trasferire in un’altra città il processo vennero respinte da Joan Lenard, la Sig. Giudice federale di Miami alla quale venne assegnato il caso.
Gli avvocati della difesa non vennero rinchiusi nel “buco” come i loro difesi e a differenza di quelli potevano leggere i giornali o ascoltare la radio, ma va rilevato però che era con questi mezzi che la difesa poteva conoscere le notizie sui passi che avrebbe compiuto l’accusa... così giungevano “le comunicazioni ufficiali” e le prove che dichiarava di possedere, i carichi da imputare e persino le mozioni che dovevano presentare nell’ostinato sforzo di introdurre un’ombra di legalità nel bel mezzo dell’arbitrarietà e la frode.
Come se tutto ciò fosse poco nelle sessioni in tribunale vennero dimostrate diverse violazioni nei procedimenti che viziavano un processo illegittimo e nullo sin dalla sua origine. Gli avvocati difensori non ebbero accesso alla totalità delle “evidenze” che portava l’accusa, che vennero amministrate esclusivamente dal Pubblico Ministero, che in diverse occasioni, nonostante le forti proteste, presentò improvvisamente centinaia di pagine di “nuove prove” o impedì l’esame completo delle documentazioni.
Cosciente dall’assoluta falsità di tutte le accuse temeva che il verdetto sarebbe stato sfavorevole ai propositi dei controrivoluzionari... la mafia era allarmata soprattutto dall’operato degli avvocati difensori che davano mostra di capacità e di elevata professionalità. I difensori stavano smascherando le sporche manovre dei fiscali e stavano collocando la mafia sul banco degli accusati.
Dopo cinque mesi di battaglia verbale in condizioni molto difficili e ostili, nella sala del tribunale l’innocenza di Gerardo, Ramón, René, Fernando e Antonio era molto evidente, com’era evidente la colpevolezza di chi li accusava. Gli accusati non avevano mai esercitato attività di spionaggio, non avevano mai cercato o ottenuto informazioni relazionate con la sicurezza, la difesa o altro interesse degli Stati Uniti. Non avevano mai causato danni a quel paese o ai suoi cittadini. Non venne presentata alcuna prova contro di loro. Non apparvero testimoni che potessero sostenere le accuse. Il loro lavoro si era concentrato solamente ed esclusivamente nel tentativo di infiltrarsi nei gruppi terroristi, informando le autorità cubane dei piani aggressivi che si organizzavano. Non lo hanno mai negato.
Nel processo venne provato in maniera dettagliata che dalla Florida si organizzano molte azioni terroristiche contro Cuba e che le autorità degli Stati Uniti non fanno nulla per contrastarle. Cuba è obbligata a difendersi di fronte ad attività che, come è stato dimostrato, hanno provocato perdite di vite e gravi danni anche alla popolazione degli Stati Uniti.
Tutto ciò venne ampiamente dimostrato durante il processo. Prima di quel 24 febbraio Cuba aveva avvertito che non avrebbe mai più tollerato incursioni illegali sopra il suo territorio. L’azione difensiva cubana davanti a coloro che ancora una volta violarono i confini dello spazio aereo, esattamente davanti alla capitale dell’Isola, erano in completo accordo con i diritti internazionali. Indipendentemente da tutti i fatti anteriori Gerardo non aveva nulla a che spartire con la decisione presa dalle forze aere cubane, non partecipò in nessuna forma a quanto accade quel giorno. Accusarlo di omicidio di primo grado e imporre un secondo ergastolo è il colmo dell’infamia e della stupidità! Mai prima era stato condannato qualcuno così, senza testimoni, senza una sola prova, senza nemmeno allegare un’evidenza circostanziale.
Fernando
González: 19 anni
Antonio
Guerrero: un ergastolo più 10 anni.
Le loro voci
però non riuscirono a spegnerle. Il lungo, brutale e profondamente ingiusto periodo di isolamento non li indebolì. Nemmeno la tortura, le pressioni psicologiche, l’assenza dei familiari e degli amici: nulla spezzò il loro spirito indomabile. Carenti dei mezzi più elementari per organizzare le idee e per ordinarle, scrivendole, furono capaci di alzarsi al di sopra di tutta quella spazzatura che cercava di schiacciarli e pronunciarono queste formidabili dichiarazioni, racchiuse in questo libro.
I cinque
giovani, assai lontani da quella filistea tradizione degli USA che offre questa
opportunità finale agli accusati affinché possano elemosinare con il pentimento
la clemenza dei giudici, denunciarono e smascherarono i loro accusatori, misero
in luce tutte le falsità e l’arbitrarietà di un processo manipolato sin dal
principio e riaffermarono la loro assoluta fedeltà alla Patria, al popolo
cubani, ai loro ideali. Gerardo è stato inviato nella prigione di Lampoc in
California; Ramón a Beaumont, in Texas; Fernando a Oxford in Wisconsin; René a
Loreto, in Pennsylvania e Antonio a Florence, in Colorado. Se si guarda la mappa
degli Stati Uniti si comprende che sono stati selezionati cinque punti molto
lontani e dispersi nella geografia di quel paese, per evitare ogni possibile
comunicazione tra di loro, per rendere molto difficili le comunicazioni con le
famiglie che risiedono a Cuba e con i diplomatici cubani che stando alle norme
internazionali possono visitarli, ma che devono anche obbedire a limitazioni
precise per i
Queste
prigioni sono di massima severità e vi si inviano le persone che hanno commesso
i peggiori crimini. Conoscendo la brutalità della quale sono capaci le autorità
in luoghi come i centri federali di detenzione dove erano stati rinchiusi con
altri detenuti in attesa di giudizio, è facile immaginare le crudeltà che
È anche un’offesa per tutti coloro che credono nella dignità, nella decenza umana. Il popolo cubano non smetterà di lottare un solo istante sino a che i cinque verranno liberati e potranno ritornare alle loro case, nella loro Patria. Per ottenere questo è indispensabile la solidarietà di uomini e donne di buona volontà di tutto il mondo. I cinque discorsi riuniti in questo libro daranno al lettore un’idea dell’abnegazione, della nobiltà d’animo e dell’idealismo di Gerardo, Antonio, Ramón, Fernando e René. Sono discorsi che supereranno la prova del tempo.
|