COLPO DI
STATO IN HONDURAS
un colpo dallo stato
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5 luglio '09 - J.C.Bonino www.granma.cu
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Negli ultimi vent’anni, da quando la globalizzazione neoliberista divenne religione e il consenso di Washington (1989) ai suoi dieci comandamenti (istruzioni per lo smantellamento dello stato nazionale e via libera al business della privatizzazione) la modernizzazione ha penetrato in modo irregolare le realtà nazionali dell’istmo centroamericano, ammodernando e smantellando segmenti diversi delle economie, dello stato e della società.
La transnazionalizzazione dell’economia ed il progressivo depotenziamento dello stato, hanno fatto dell’America Centrale un corpo unico per quanto riguarda alla sua elite economica-imprenditoriale.
Dieci famiglie controllano l’economia della regione[1], immediatamente legate alle 100 transnazionali che operano nell’istmo.[2] E fanno parte insieme ai 100 imprenditori più potenti[3] di un triangolo di potere che sovrasta la sovranità dei singoli stati nazionali e delle popolazioni che ci risiedono. In questo nuovo paesaggio sociale “la politica è l'ombra che il potere economico posta sulla società”(John Dewey).
Dal Nord poi, arrivano dei trattati di libero commercio e vengono “impiantati a freddo” nelle vulnerabili realtà locali (contadine, semi analfabeti, di lavoro artigianale e commercio informale) che rimpiazzano i vecchi modi e istituzionalizzano il lavoro sporco dello sfruttamento moderno. Prima gli Usa con il DR-CAFTA[4] e sulla sua scia in una versione in apparenza più soft, adesso l’Europa, con l’Accordo di Associazione UE-CA: il solito tlc in carta da regalo” secondo il deputato salvadoregno Sigfrido Reyes del FMLN.
Questi mutamenti hanno trasformato il centro america e nella sua cupola, delle dieci famiglie che dispongono del potere, due sono honduregne, la più influente capeggiata da Miguel Facussé Barjum, figlio di emigrati palestinesi, tanti affari regionali e in Honduras, la produzione di palma africana che rappresenta da sola il 10% del PIL del paese centroamericano.
La seconda famiglia guidata da Fredy Nasser Selman, discendente da una famiglia araba affarista nel tessile, sposato con la figlia di Facussè.
Fecce la sua fortuna comprando nella post-guerra dei novanta, il 40% dell’impresa di telefonia pubblica nicaraguense Enitel e rivendendola poi a America Movil del milionario messicano Carlos Slim per 200millioni di dollari, un affare grosso per paesi del quarto mondo latinoamericano (Centro america e Caraibi).
Nel paese centro americano, di 7,2 milioni di abitanti, dalla povertà dal volto rurale, femminile e indigeno e nel posto 115 su 177 nel indice di sviluppo umano, prima del Tajikistan e dopo la Bolivia. Si è tentato tramite i meccanismi democratici di partecipazione diretta di trasformare la loro realtà. Ma come affermava il suo presidente Manuel Zelaya in dichiarazioni nell’Aeroporto del Costa Rica, la domenica scorsa appena espatriato.
“La legge di plebiscito e referendum in Honduras non può essere adoperata per consulte su bilanci, questioni fiscali ne tributarie, non può essere utilizzata su questioni economiche ne sociali, ne trattati internazionali; allora non serve assolutamente a niente, limita i diritti dei cittadini dell’Honduras… nessuno può proibire ad una società che s’interroghi in modo democratico, che si ponga delle domande”.
I meccanismi di partecipazione diretta erano stati accuratamente circoscritti e vietati ai socialmente invisibili. La dimenticata Honduras aveva trovato la chiave per smontare questo meccanismo in cui la sua gente si trovava incapestrata; e i nodi sono arrivati al pettine.
Il paese centro americano portaerei degli Stati Uniti nella guerra fredda, nella sua storia contemporanea è stato il regno dalle aristocrazie locali allineate con i poteri del nord, dai militari, e dagli investitori esteri nordamericani. La sua elite di potere è stata edificata da periodici colpi di stato: 1956, 1963, 1972, 1975, 1978 [6]. Il nesso che ha messo insieme i militari e la classe politico-imprenditoriale come un tutt'uno, sono stati i militari ritirati ora imprenditori, che durante le numerose dittature e colpi di stato si sono arricchiti: a catalizzare la reazione è stato il paesaggio politico di grandi trasformazioni che si intravedeva.
Il paese Centroamericano è cresciuto negli ultimi dieci anni fra il mentre la povertà si è mantenuta al 67% e la strema povertà al 45%[8], lo scarto aritmetico fra questi due dati è salito in forma di economia reale di mano in mano fino al triangolo di potere dei vip della globalizzazione. Per via della crisi però, che riduce le rimesse, colpisce l’export verso il primo socio commerciale nordamericano e diminuisce la cooperazione internazionale (Honduras è uno dei nove paesi al mondo che ricevono più cooperazione internazionale), il timore di perdere i loro affari ha avuto la meglio e i militari ritirati e gli imprenditori, compresse le lobbie dietro al congresso nazionale, hanno fatto pressione alla Corte Suprema di Giustizia e alla cupola militare con al comando il Generale Romeo Vázquez Velasquez.
Un rigurgito anti-storico, un’impresa para-politica malavitosa della vecchia aristocrazia conservatrice del paese;dell’Honduras della United Fruit Company di ieri; dei trattati capestro, delle maquilas e la minieria a cielo aperto d’oggi. Una risposta corale di un movimento popolare che si scrolla dal suo passato travagliato dai fucili, con una utopia basilare; decidere la loro storia.
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