Perché “Le vene aperte...”? |
8 maggio '09 - E.Sader www.granma.cu
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Perché Hugo Chavez ha scelto il libro “Le vene aperte dell’America Latina” (1) per regalarlo al nuovo presidente degli USA?
Perché è uno dei libri fondamentali per capire l’America Latina e gli stessi USA. “La divisione internazionale del lavoro consiste in che alcuni paesi si specializzano a guadagnare ed altri a perdere. La nostra regione del mondo, che oggi chiamiamo America Latina, fu precoce: si specializzò a perdere dai remoti tempi in cui gli europei del Rinascimento si lanciarono attraverso il mare e le affondarono i denti nella gola”.
Un libro annota la comprensione della nostra America nei due pilastri che articolano il nostro violento inserimento subordinato al mercato capitalista internazionale: il colonialismo e i due più grandi massacri della storia dell’umanità – la strage dei popoli indigeni e la schiavitù. Il capitalismo arrivò in queste terre grondando sangue, dimostrano per che veniva. Non a portare una civilizzazione basata nelle armi ed il crocifisso, ma oppressione, discriminazione, sfruttamento – delle risorse naturali e degli esseri umani.
Il processo di colonizzazione, che ha cambiato forma con il passaggio allo sfruttamento imperiale, è il fondamento, il tema centrale ed il nome del libro: “E’ l’America Latina la regione delle vene aperte. Dalla scoperta fino ai nostri giorni, tutto si è sempre trasferito nel capitale europeo, o più tardi, nordamericano, e come tale si è accumulato e si accumula nei lontani centri di potere. Tutta la terra, i suoi frutti e le sue profondità ricche di minerali, gli uomini e la loro capacità di lavoro e di consumo, le risorse naturali e le risorse umane. Il mondo di produzione e la struttura delle classi di ogni luogo sono state successivamente determinate, dall’esterno, per la loro incorporazione all’ingranaggio universale del capitalismo”.
Le Vene dimostrano indiscutibilmente come “… il sottosviluppo latinoamericano sia una conseguenza dello sviluppo altrui, che noi latinoamericani siamo poveri perché è ricco il suolo che calpestiamo e che i luoghi privilegiati dalla natura sono stati maledetti dalla storia. In questo nostro mondo, mondo di centri potenti e periferie sommesse, non c’è ricchezza che non risulti, almeno, sospetta”.
“Con il passare dei tempi, si perfezionano i metodi d’esportazione delle crisi. Il capitale monopolista raggiunge il suo più alto grado di concentrazione ed il suo dominio internazionale dei mercati, i crediti e gli investimenti rendono possibile il sistematico e crescente trasferimento delle contraddizioni: le periferie pagano il prezzo della prosperità, senza maggiori paure, dei centri”.
“Già si sa chi sono i condannati a pagare le crisi degli assestamenti del sistema. I prezzi della maggioranza dei prodotti che l’America Latina vende, diminuiscono implacabilmente in relazione ai prezzi dei prodotti che compra ai paesi che monopolizzano la tecnologia, il commercio, gli investimenti ed il credito”.
Il presidente degli USA ha detto, con ragione, che la riunione di Trinidad e Tobago avrebbe dimostrato il suo significato per gli affetti concreti che avrebbe avuto. Nessun effetto sarà più importante delle conseguenze che lui – ed anche gli altri governanti latinoamericani – trarranno dalla lettura de “Le vene aperte dell’Amrica Latina”, del nostro miglior scrittore, Eduardo Galeano. Le verità delle sue pagine sono state confermate, trasformando il libro in una proba inconfutabile del carattere sovversivo di chi, durante le dittature militari latinoamericane, venisse scoperto in possesso di una copia.
Ma, per la forza delle sue verità questo libro latinoamericano merita di essere in qualsiasi lista delle letture indispensabili, fatte o da fare. È il meglior regalo che un latinoamericano possa fare al presidente degli USA, a tutti e a qualsiasi nordamericano, a tutti i latinoamericani, per come decifra la nostra storia e la nostra identità, il nostro passato ed il nostro presente.
(1) “Le vene aperte
dell’America Latina”, opera del giornalista, scrittore e storico uruguaiano
Eduardo Galeano.
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