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Il messaggio
che ancora
non arriva
Specialisti, comunicatori e giornalisti di Cuba ed
altri paesi hanno creato un dibattito sulle buone intenzioni, ma anche sul
Tallone di Achille dei messaggi pubblici sull’HIV |
4 dicembre '09 - www.granma.cu (PL) |
Un’inattesa conversazione tra un uomo ed il suo organo riproduttore, la sopravvivenza di un pesce grazie al comfort di un preservativo, o il risveglio di due coppie omosessuali una mattina qualunque, sono alcune delle situazioni che, dall’immaginazione, possono portare alla mente un pittoresco, ma riflessivo messaggio di prevenzione all’HIV.
Questo miscuglio di identità culturali, quotidianità e soprattutto senso umano possono raggiungere il pubblico più eterogeneo, con un pensiero capace di far riflettere tutti sul tema della Sindrome da Immunodeficienza Umana.
Tuttavia, nell’era più informatizzata, la realtà si scontra con un passaggio di disinformazione, discriminazione sociale e violenza intorno alla pandemia del XX Secolo.
Oltre alle responsabilità personali, le politiche di stato, o la volontà individuale, sta nelle mani dei mass media arrivare, attraverso la cultura, alla percezione del rischio grazie all’educazione preventiva.
Da quando, nel 1985, a Cuba si diagnosticò il primo caso di HIV/AIDS, nel paese sono state infettate più di 11.600 persone. Da lì in poi si è cominciato a pensare sempre di più agli spot, ai poster, alle immagini, e messaggi attraverso storie di vita nella quale il pubblico, con la sua diversità ed identità sessuale, si possa identificare.
A partire da questi interrogativi si è dibattuto nel Laboratorio Latino Americano e Caraibico SIDACULT, che si è riunito la settimana passata nella capitale, dove specialisti e comunicatori hanno scambiato esperienze circa la miglior maniera di dialogare sull’AIDS e creare campagne più effettive.
Il cambio arriva dalla cultura
“Rispetto all’AIDS è necessario un cambio culturale, che si ottiene con un processo che coinvolga tutti e nel quale ci identifichiamo con quello che trasmettiamo sapendo di chi stiamo parlando”, è la riflessione proposta da Horacio Knaeber, giornalista uruguayano.
Il collega ha spiegato che la cosa più importante nei messaggi è che l’informazione si capisca, portare il linguaggio dal tecnico al colloquiale, e rispettar l’impiego di dati e cifre.
I realizzatori hanno segnalato che a volte le campagne non includono elementi caratteristici di ogni regione, come il machismo, la doppia morale di fronte all’omofobia, o l’aumento di pratiche omosessuali negli uomini che non si riconoscono tali e per questo si perde il pubblico.
Tale esempio viene esemplificato da una produzione della Televisione Serrana, con la quale si è mostrato come le campagne nazionali a volte siano molto generalizzate e rappresentino solo la vita urbana, mentre la popolazione rurale crede di essere immune.
Generalmente ci si appella maggiormente alla televisione per l’emissione di messaggi e cartelli, e si sottovaluta l’importanza della prevenzione a partire dall’educazione popolare, direttamente tra le comunità, o si satura il mezzo o il suo pubblico.
Dalla Francia, il comunicatore Antonio Ugido ha segnalato che la prevenzione deve aiutare le persone ad assumere decisioni, essere moltiplicatori nella società, deve portare il messaggio di salute attraverso tutti i metodi partecipativi, come il teatro interattivo, o i concorsi.
“Bisogna appellarsi ai sentimenti, continuare a parlare di amore, dell’innamoramento, della vita affettiva della coppia, perché essa continua…l’HIV non è la fine”.
Raúl Fuillerat, psicologo e direttore di un programma comunitario nell’emittente Habana Radio, nell’Habana Vieja, dove condivide riflessioni ed esperienze con i suoi spettatori, ha spiegato che per portare i messaggi di prevenzione e salute, è necessario partire dalla cultura della gente e non dai suoi pregiudizi, “come una porta per parlare con la comunità e dei suoi problemi”.
Isabel Moya, Direttrice della Casa Editrice la Donna, ha riferito che il giornalismo deve quindi essere lo spazio nel quale la società si ponga problemi, “l’informazione non cambia da sola”.
È d’accordo anche Magda Resik, Direttrice dell’emittente Habana Radio, nel sottolineare che a Cuba il giornalista non rimane nella “Torre di Marfil”, ma si vincola al suo pubblico.
Un’esperienza interessante è risultata essere la campagna universitaria sulla differenza sessuale, sviluppata dal CENESEX, che ha preso come punto di partenza le espressioni con le quali la gioventù fa conoscere sé e la propria identità, dall’immagine, la musica, l’estetica e l’espressione verbale.
La comunicazione implica un impegno
Nel mondo si stima che attualmente circa il 50% del contagio si produca per relazioni eterosessuali, cosa che indica che a tale gruppo le campagne o i messaggi non arrivano totalmente, o che le grandi strategie comunicative non li stanno priorizzando.
Roberto Gálvez, rappresentante residente aggiunto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo ha riferito la necessità di sistematicizzare le lezioni apprese con un approccio socio-culturale, non dalla scienza o dall’epidemologia, ma dalla cultura e dalla realtà dei malati.
Manuel Hernández, specialista del Centro Nazionale di Prevenzione dell’ITS/HIV/AIDS, ha spiegato che è esistito uno slittamento storico dall’inizio delle campagne, nelle quali si è transitato dal fatto alla condotta, dalla scienza all’approccio socio-culturale.
Con relazione alla campagna, Mariela Castro, Direttrice del CENESEX, ha segnalato che si produce una maggiore enfasi nelle campagne per il Giorno Internazionale contro l’Omofobia, e la lotta contro l’HIV/AIDS, come parte di una strategia nazionale educativa, che dura tutto l’anno per promuovere il rispetto al libero orientamento sessuale e all’identità di genere.
Ha spiegato che a Cuba si è lavorato sulla sessualità a partire dalla cultura, perché lo scopo è stato di cambiare la percezione e la conoscenza della sessualità attraverso l’educazione. Per questo si realizzano attività educative, “però la campagna ci permette di visualizzare nei media l’educazione sessuale, e così si aiuta la popolazione cubana a riflettere su alcune realtà”.
“È necessario evitare la rottura tra un processo educativo, che parte da ricerche avallate scientificamente, e le decisioni che si assumono a livello macro-sociale”.
Rispetto ad una popolazione sempre più conoscitrice dell’educazione sessuale, con identità sessuali e culturali diverse, bisogna ripensare le strategie di comunicazione per adeguarle al pubblico, ed essere parte delle sue vicende, dal rispetto e soprattutto, dall’amore.
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Prevenire l’HIV a partire
dalla cultura
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25 novembre '09 - Yudy Castro Morales www.granma.cu
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La cultura come strumento essenziale nella risposta della società all’HIV/AIDS è stato tema al centro di uno scambio di esperienze durante il Laboratorio Latino Americano e Caraibico SIDACULT, con la partecipazione di ricercatori, comunicatori, agenti comunitari e membri di organismi internazionali.
Herman Van Hooff, rappresentante dell’UNESCO a Cuba, ha riconosciuto il lavoro realizzato sull’Isola come egregio esempio nel trattamento e nel sostegno alle persone sieropositive e alla vigilanza epidemica, così come alle ricerche che si sviluppano nell’ambito della diagnosi e dell’assistenza medica della malattia.
Van Hooff, che è anche Direttore dell’Ufficio Regionale di Cultura per l’America Latina e i Caraibi dell’UNESCO, intervenendo all’evento iniziato mercoledì, ha elogiato i programmi di prevenzione sviluppati nel nostro paese come un modello per la regione, e valorizzato le eccellenti relazioni che l’organismo vanta con le istituzioni cubane, improntate alla prevenzione della malattia nella società.
Durante le sessioni inaugurali la dottoressa Mariela Castro, Direttrice del CENESEX, in una Lectio Magistralis ha esposto le sfide e i risultati sperimentati nel campo dell’educazione sessuale a Cuba fin dal trionfo della Rivoluzione, tra i quali ha distaccato il rispetto dei diritti sessuali e della salute, così come un’educazione priva di elementi discriminatori o sessisti, che permettono una sessualità piena e sana.
Infine, in tono con la celebrazione, il 25 novembre, della Giornata Internazionale dell’Eliminazione della Violenza Contro la Donna, ricercatori e promotori della salute hanno intercambiato criteri relazionati alla discriminazione sofferta da transessuali e omosessuali nella famiglia, così come quella sofferta dalle donne che vivono con l’HIV.
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