Un brindisi per Cuba

 

Fabrizio Casari direttore del sito www.altrenotizie.org - 1 gennaio 2009

 

 

Cinquant’anni fa, mentre il mondo era intento a celebrare l’arrivo del nuovo anno, a Cuba fu anno nuovo per sempre. Barbudos si chiamavano, terroristi venivano definiti dal regime sanguinario che mordeva il cuore dell’isola; guerriglieri erano, liberatori furono. Quella casa da gioco a cielo aperto, postribolo di mafiosi e vergogna di un popolo, spirava i suoi ultimi respiri mentre il crepitare dei fucili annunciava il nuovo ordine che rimetteva gli uomini al comando delle cose. Il dio denaro soccombeva alla rivolta degli dei, gli esclusi diventavano protagonisti, i fucili si giravano e i sadici fuggivano mentre i giusti prendevano casa. Persino le bandiere ondeggiavano in senso opposto, il vento della dignità spirava dalla Sierra Maestra e soffiava forte verso Miami, restituendo l’immondizia al suo luogo d’origine. I grattacieli delle banche diventavano ospedali, le strade si trasformavano in residenze permanenti del popolo, le fabbriche si tingevano di lavoro degno e le ruote delle auto macinavano futuro. Fidel Castro, con Ernesto "Che” Guevara de la Cerna e Camilo Cienfuegos, guidavano le colonne liberatrici che entravano nella capitale, di colpo divenuta una città cubana.

L’impero del nord, comprensivo con i suoi rifiuti e iracondo con chi li rifiuta, si rese conto subito che gli orologi del suo dominio viravano, dolorosamente ma definitivamente, verso l’ora legale: l’ora appena passata, era passata per sempre. Mafiosi e biscazzieri, puttane e faccendieri, avanzi della Florida e cialtroni di New York, si trovarono come un solo fuggitivo; erano loro i balseros del nuovo anno. Provarono a tornare due anni più tardi, in una spiaggia chiamata Playa Giron: ne presero tante quante non avevano immaginato e, per la seconda volta in due anni, da padroni divennero ostaggi; cacciati senza gentilezza prima, scambiati con medicine poi.

Erano gli avanzi di un regime marcio, che sulla morte di trentamila cubani aveva edificato le sue vergogne. Era il prezzo che un sergentino analfabeta di terza fila, stupido come solo i crudeli sanno essere e servo come solo gli stupidi possono diventarlo, pagava all’impero nella speranza di venir considerato qualcuno d’importante. Ma quell’avvocato di grandi prospettive, guerrigliero per disputare la più grande delle cause, gli aveva fatto intendere sin dal Moncada che il tempo delle sue angherie sarebbe finito presto.

La pulizia delle strade e delle case dell’isola fu rapida, efficiente, discreta. Quasi un gesto di buona educazione, un omaggio dovuto al nuovo anno che apriva la nuova era. Non c’era tempo da perdere: alfabetizzare, curare, riparare, edificare, ordinare, organizzare; alla fine, cambiare. Il razzismo andava spazzato insieme all’apparato repressivo. Gli alberghi e i casinò avevano abbandonato l’inglese e il francese, lo slang era ormai l’habanero. I latifondisti cercavano il mare e i contadini trovavano la terra. L’apartheid moriva sotto i piedi degli afro che entravano ovunque, padroni finalmente di quello che era loro. Il vecchio ordine saltava in aria, quello nuovo piantava i piedi a terra.

In cinquant’anni di vittorie, di cadute e risalite, Cuba non è diventata mai il paradiso sulla terra, spesso l’alibi dei suoi detrattori a tempo pieno che su di lei esercitano l’arma della critica solo come sottofondo alla critica delle armi. Ma Cuba è stata ed è, in barba a quanti si ostinano a non voler alfabetizzarsi, il luogo più egualitario della terra, quello almeno della distanza più ridotta di tutti con ognuno. Una piccola isola che ha saputo resistere per 50 anni a ciò che nessuna potenza avrebbe sopportato per 50 giorni, che si ostina a svicolare dalla sua collocazione geografica e politica proponendosi come protagonista e che, con la testa e il cuore rivolti a sud, presenta numeri migliori del ricco nord.

Per colmo di picardìa, oltre a cambiare se stessa ha cambiato persino Miami, divenuta nel contempo la città più anomala e forse meno ipocrita degli Usa. Ricettacolo degli avanzi di ogni dittatura, le paludi che la circondano sono divenute il luogo più trasparente e con gli animali meno pericolosi. Lì, nella sponda opposta al paese degno, un esercito di rancorosi, fuggitivi dalla decenza, continua a sognare sangue e saccheggi, svegliandosi inevitabilmente, giorno dopo giorno, piatto dopo piatto da lavare, più solo e più frustrato. Nell’inutile speranza di strappare Cuba ai cubani, si prende in faccia ogni giorno l’America degli americani. Solo le nuove generazioni di cubano americani, quelle che sono nate senza l’onta della sconfitta, cambieranno progressivamente la gusanerìa.

Cinquant’anni dopo, Cuba emoziona ancora. Scatena passioni e solleva discussioni, rompe equilibri, mette in mora i “se” e i “ma”, cambia l’ordine logico dell’argomentare. Ha cambiato e fatto crescere diverse leve di uomini giusti, di anime che hanno aperto serragli e divelto cuori. Ha dato un senso alla solidarietà e ha privato di senso l’egoismo. Ha sconvolto l’ordine delle probabilità e umiliato la legge dei grandi numeri, rovesciando logiche e sovvertendo menti. L’essenza di una Rivoluzione.