Cinquant’anni fa,
mentre il mondo era intento a celebrare l’arrivo del nuovo anno, a Cuba fu anno
nuovo per sempre. Barbudos si chiamavano, terroristi venivano definiti dal
regime sanguinario che mordeva il cuore dell’isola; guerriglieri erano,
liberatori furono. Quella casa da gioco a cielo aperto, postribolo di mafiosi e
vergogna di un popolo, spirava i suoi ultimi respiri mentre il crepitare dei
fucili annunciava il nuovo ordine che rimetteva gli uomini al comando delle
cose. Il dio denaro soccombeva alla rivolta degli dei, gli esclusi diventavano
protagonisti, i fucili si giravano e i sadici fuggivano mentre i giusti
prendevano casa. Persino le bandiere ondeggiavano in senso opposto, il vento
della dignità spirava dalla Sierra Maestra e soffiava forte verso Miami,
restituendo l’immondizia al suo luogo d’origine. I grattacieli delle banche
diventavano ospedali, le strade si trasformavano in residenze permanenti del
popolo, le fabbriche si tingevano di lavoro degno e le ruote delle auto
macinavano futuro. Fidel Castro, con Ernesto "Che” Guevara de la Cerna e Camilo
Cienfuegos, guidavano le colonne liberatrici che entravano nella capitale, di
colpo divenuta una città cubana.
L’impero del nord, comprensivo con i suoi rifiuti e iracondo con chi li rifiuta,
si rese conto subito che gli orologi del suo dominio viravano, dolorosamente ma
definitivamente, verso l’ora legale: l’ora appena passata, era passata per
sempre. Mafiosi e biscazzieri, puttane e faccendieri, avanzi della Florida e
cialtroni di New York, si trovarono come un solo fuggitivo; erano loro i
balseros del nuovo anno. Provarono a tornare due anni più tardi, in una spiaggia
chiamata Playa Giron: ne presero tante quante non avevano immaginato e, per la
seconda volta in due anni, da padroni divennero ostaggi; cacciati senza
gentilezza prima, scambiati con medicine poi.
Erano gli avanzi di un regime marcio, che sulla morte di trentamila cubani aveva
edificato le sue vergogne. Era il prezzo che un sergentino analfabeta di terza
fila, stupido come solo i crudeli sanno essere e servo come solo gli stupidi
possono diventarlo, pagava all’impero nella speranza di venir considerato
qualcuno d’importante. Ma quell’avvocato di grandi prospettive, guerrigliero per
disputare la più grande delle cause, gli aveva fatto intendere sin dal Moncada
che il tempo delle sue angherie sarebbe finito presto.
La pulizia delle strade e delle case dell’isola fu rapida, efficiente, discreta.
Quasi un gesto di buona educazione, un omaggio dovuto al nuovo anno che apriva
la nuova era. Non c’era tempo da perdere: alfabetizzare, curare, riparare,
edificare, ordinare, organizzare; alla fine, cambiare. Il razzismo andava
spazzato insieme all’apparato repressivo. Gli alberghi e i casinò avevano
abbandonato l’inglese e il francese, lo slang era ormai l’habanero. I
latifondisti cercavano il mare e i contadini trovavano la terra. L’apartheid
moriva sotto i piedi degli afro che entravano ovunque, padroni finalmente di
quello che era loro. Il vecchio ordine saltava in aria, quello nuovo piantava i
piedi a terra.
In cinquant’anni di vittorie, di cadute e risalite, Cuba non è diventata mai il
paradiso sulla terra, spesso l’alibi dei suoi detrattori a tempo pieno che su di
lei esercitano l’arma della critica solo come sottofondo alla critica delle
armi. Ma Cuba è stata ed è, in barba a quanti si ostinano a non voler
alfabetizzarsi, il luogo più egualitario della terra, quello almeno della
distanza più ridotta di tutti con ognuno. Una piccola isola che ha saputo
resistere per 50 anni a ciò che nessuna potenza avrebbe sopportato per 50
giorni, che si ostina a svicolare dalla sua collocazione geografica e politica
proponendosi come protagonista e che, con la testa e il cuore rivolti a sud,
presenta numeri migliori del ricco nord.
Per colmo di picardìa, oltre a cambiare se stessa ha cambiato persino Miami,
divenuta nel contempo la città più anomala e forse meno ipocrita degli Usa.
Ricettacolo degli avanzi di ogni dittatura, le paludi che la circondano sono
divenute il luogo più trasparente e con gli animali meno pericolosi. Lì, nella
sponda opposta al paese degno, un esercito di rancorosi, fuggitivi dalla
decenza, continua a sognare sangue e saccheggi, svegliandosi inevitabilmente,
giorno dopo giorno, piatto dopo piatto da lavare, più solo e più frustrato.
Nell’inutile speranza di strappare Cuba ai cubani, si prende in faccia ogni
giorno l’America degli americani. Solo le nuove generazioni di cubano americani,
quelle che sono nate senza l’onta della sconfitta, cambieranno progressivamente
la gusanerìa.
Cinquant’anni dopo, Cuba emoziona ancora. Scatena passioni e solleva
discussioni, rompe equilibri, mette in mora i “se” e i “ma”, cambia l’ordine
logico dell’argomentare. Ha cambiato e fatto crescere diverse leve di uomini
giusti, di anime che hanno aperto serragli e divelto cuori. Ha dato un senso
alla solidarietà e ha privato di senso l’egoismo. Ha sconvolto l’ordine delle
probabilità e umiliato la legge dei grandi numeri, rovesciando logiche e
sovvertendo menti. L’essenza di una Rivoluzione.
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