Fidel ed il verdetto

 

della storia

 

 9 maggio 2009 - A.Boron www.prensa-latina.cu

 

 

Fidel sta canalizzando tutte le sue energie verso la strategica “battaglia delle idee”, condizione necessaria per la costruzione di un'alternativa post-capitalista e non solo post-neoliberale, come desiderano alcuni vecchi di iper-sinistra delusi. Nella misura in cui sussista il capitalismo come modo di produzione, la sua natura di saccheggio, oppressiva e predatoria si manifesterà in tutte le sue espressioni storiche, dal “laissez faire” dei principi del secolo XX fino al neoliberalismo del finale dello stesso secolo, passando per il keynesianismo ed il liberismo. La preoccupazione del Comandante per rileggere Gramsci ed i classici della teoria marxista si accompagna ad un rinnovato interesse nell'opera di Darwin e lo studio dell'impatto della nanotecnologia sui processi produttivi e, pertanto, sui beni e servizi ai quali potrebbe accedere la popolazione. Fidel sa che le nuove tecnologie di comunicazione ed informazione sono un poderoso strumento di dominazione ideologica ma, dialetticamente, possono essere anche un arma formidabile per informare la popolazione e facilitare la disseminazione del pensiero critico, come si fa nei diversi corsi che offriamo nel PLED. Ma la sua inquietudine non è solo questo: legge anche sul cambiamento climatico, la crisi economica, i processi politici ed i temi incandescenti della realtà internazionale. La lista sarebbe interminabile.

Sebbene il suo recupero fisico ed il moderato aumento di peso abbiano cambiato qualcosa nella sua figura donchisciottesca del passato, il suo intelletto ed il suo cuore continuano ad essere fedeli alla nobile tradizione di Don Chisciotte e la sua passione per emendare i torti è tanto intensa quanto lo era prima. È proprio questo spirito quello che lo portò ad assaltare il Moncada e poi, con Raul ed il Che, ad iniziare l'epopea della Sierra Maestra. Come l'aveva pronosticato nel suo celebre allegato davanti ai giudici del Moncada, la storia lo ha assolto, e come! Gli ha dato anche ragione quando nel 1985 dimostrò matematicamente l'impossibilità di pagare il debito estero, contrariando le opinioni di sedicenti “esperti” che elaboravano ingegnosi artifici per dimostrare il contrario. Quando precipitò l'Unione Sovietica e cadde il (falso) socialismo dell'Europa Orientale sono stati molti quelli che gli hanno consigliato che riconciliasse Cuba con le nuove realtà della globalizzazione, ammainando la bandiere suppostamente logore del socialismo. Il guerriero si negò e contrariando l'opinione ed i pronostici di questi e molti altri, ha sopportato la tempesta ed ha proclamato ai quattro venti che, benché l'Unione Sovietica affondasse, il fragile vascello della Cuba rivoluzionaria avrebbe resistito al temporale e sarebbe arrivata ad un buon porto. Un'altra volta, la storia gli ha dato ragione.  

Gli aveva sorriso anche nel 1992, nel Vertice della Terra, celebrato a Rio de Janeiro, quando denunciò nei sette minuti esatti che ogni partecipante aveva assegnato, la catastrofe ambientale e climatica che si avvicinava. Il suo intervento fu fulminante ed apocalittico e puramente ideologico per molti di quelli che il pensiero convenzionale identificava come “realisti” ed “esperti.” Chi si ricorda ora di quei nani? E che cosa dire lì dei governanti presenti –Menem, Fujimori ed altri della loro stessa specie–che fecero orecchio da mercante davanti al discorso di Fidel e che con la loro criminale indifferenza aggravarono il problema? La storia è tornata ad assolverlo quando, nel 1998, convocò gli economisti a discutere la crisi in gestazione, in momenti in cui il sapere ufficiale assicurava che non c'era –e che non ci sarebbe stata–nessuna crisi bensì, al massimo, una transitoria decelerazione della crescita economica. Una decade più tardi, i fatti reali dimostravano un'altra volta che la ragione era dalla parte di Fidel.  

Questo fu l'uomo che mi onorò col suo invito a discutere alcuni aspetti della mia relazione. Gli interessò soprattutto il concetto di “borghesia imperiale”, concepito per caratterizzare l'intreccio prodotto tra le classi dominanti delle principali metropoli capitaliste e la forma in cui unificarono la loro strategia di dominazione globale. I suoi membri si danno annualmente appuntamento a Davos per coordinare la loro strategia a scala mondiale, passare in rivista i loro mezzi monetari, armonizzare i loro discorsi e le loro politiche e potenziare la loro influenza politica ed ideologica a livello internazionale, e per questo invitano governanti, “esperti” e comunicatori sociali per trasmettere la buona notizia. Mi chiese dettagli, esempi, ragioni per le quali utilizzo questo concetto. Si lamentò della sua mancanza di tempo: non ha potuto ricevere vari presidenti, ed a quelli che ha ricevuto, non ha potuto dedicare il tempo che avrebbe desiderato.  

Parliamo un po' dell'Argentina e mi disse che l'aveva sorpreso positivamente la forza e la convinzione che dimostrò la presidentessa Cristina Fernandez e la sua voglia di lottare, ma era preoccupato per le sequele del conflitto che l'anno scorso affrontò il Governo coi settori dell’agricoltura. Esaminando il panorama socio-politico latinoamericano espresse la sua preoccupazione perché il pendolo ideologico che si era mosso bene verso la sinistra –anche se con differente ampiezza secondo i paesi nell'ultima decade–potesse fermare la sua marcia o, peggio, iniziare una reversione minacciando la stabilità o la continuità dei governi progressisti della regione. Sa che l'imperialismo sta in agguato per “correggere la rotta” del suo patio posteriore. Lo conosce al dettaglio e può dire, come Martí che “io conosco le viscere e la mia fionda è quella di David”. Con quella fionda ha tenuto sotto controllo il Golia americano per 50 anni e finì per isolarlo: nel’’ottobre del 2008 dei 192 paesi membri delle Nazioni Unite 185 votarono a beneficio di una risoluzione che esigeva mettere fine al bloqueo contro Cuba. Solo due hanno accompagnato l'impero: Israele, la megabase militare statunitense in Mezzo Oriente, e Palau, un'isoletta persa nel Pacifico popolata per 21.000 persone ed utilizzata come campo di prove dei missili dell'armata nordamericana. Altri due, le isole Marshall (63.000 abitanti) e Micronesia (107.000) hanno considerato troppo grande tale ignominia e si sono astenuti. Ma questo messaggio della comunità universale non importa alla Casa Bianca ed i suoi mandanti: il complesso militare-industriale. Questi vogliono approfittare della crisi per ritornare a “dirigere” la regione e stroncare la primavera di sinistra. La successione del governo dell'Accordo in Cile sembra inesorabilmente destinata a reinstallare un personaggio della destra nella Moneta, bene sia il filo-governativo Eduardo Frei o l'oppositore Sebastian Piñera. E le previsioni non sono molto più incoraggianti per Argentina, Brasile ed Uruguay. La crisi economica potrebbe essere lo spunto per quella ricomposizione conservatrice e questa minaccia non può essere presa alla leggera. Se questo si produce, l'isolamento del Venezuela, Bolivia e l'Ecuador potrebbe aggravarsi, mettendo attualmente in rischio la viabilità politica ed economica dei progetti trasformatori in corso con negative conseguenze per Cuba. Mi fece anche sapere della sua inquietudine per la persecuzione a cui è sottomesso il governo di Fernando Lugo in Paraguay, e la necessità che Argentina e Brasile adottino una posizione solidale e generosa in relazione con le due grandi dighe di sbarramento di Yacyretá ed Itaipú, la cui proprietà è condivisa col Paraguay.  

Era trascorsa un'ora e quaranta minuti di conversazione ed era tempo di mettere fine a questo dialogo. Gli domandai se non fosse possibile che qualcuno ci facesse una foto perché altrimenti non sarebbero stati pochi quelli che mi avrebbero considerato un impostore. Fidel ha accettato di buon grado alla mia domanda lamentandosi scherzosamente che tutti gli dicono la stessa cosa e l'obbligano a farsi fotografare. Allora si girò verso uno dei suoi collaboratori e disse: “Allora, portino uno specchio”. E dopo che glielo danno, si guarda e dice: “Humm, mi vedo bene!”, ed è certo. Stimolato dal suo buon umore approfitto per congratularmi per la sua salute e dirgli che lo vedo molto bene, con un aspetto tanto buono come quello che aveva Ingrid Betancourt quando si è prodotta la sua misteriosa liberazione da parte dell’esercito colombiano. Una rombante risata ha concluso la battuta. Ci prepariamo per la foto e lì, trasportato dal clima rilassato, osai dirgli che col logo di Adidas dell'uniforme degli atleti cubani i suoi detrattori lo avrebbero criticato ora per fare pubblicità ad una multinazionale. Nuova risata e, rapido come un fulmine, e col suo dito indice ripetutamente affondato nel mio petto mi ha detto, masticando ogni sillaba, “il fatto è che sono una vittima della tua borghesia imperiale”. Nuove sghignazzate, foto, ed un forte abbraccio di addio che permette di comprovare il buon tono muscolare del suo fisico e, con sollievo, che avremo ancora il Comandante in capo per molto tempo.

 

 

* l’autore è un intellettuale, politologo e professore universitario argentino