Fidel sta
canalizzando tutte le sue energie verso la strategica “battaglia delle
idee”, condizione necessaria per la costruzione di un'alternativa
post-capitalista e non solo post-neoliberale, come desiderano alcuni
vecchi di iper-sinistra delusi. Nella misura in cui sussista il
capitalismo come modo di produzione, la sua natura di saccheggio,
oppressiva e predatoria si manifesterà in tutte le sue espressioni
storiche, dal “laissez faire” dei principi del secolo XX fino al
neoliberalismo del finale dello stesso secolo, passando per il
keynesianismo ed il liberismo. La preoccupazione del Comandante per
rileggere Gramsci ed i classici della teoria marxista si accompagna ad un
rinnovato interesse nell'opera di Darwin e lo studio dell'impatto della
nanotecnologia sui processi produttivi e, pertanto, sui beni e servizi ai
quali potrebbe accedere la popolazione. Fidel sa che le nuove tecnologie
di comunicazione ed informazione sono un poderoso strumento di dominazione
ideologica ma, dialetticamente, possono essere anche un arma formidabile
per informare la popolazione e facilitare la disseminazione del pensiero
critico, come si fa nei diversi corsi che offriamo nel PLED. Ma la sua
inquietudine non è solo questo: legge anche sul cambiamento climatico, la
crisi economica, i processi politici ed i temi incandescenti della realtà
internazionale. La lista sarebbe interminabile.
Sebbene il
suo recupero fisico ed il moderato aumento di peso abbiano cambiato
qualcosa nella sua figura donchisciottesca del passato, il suo intelletto
ed il suo cuore continuano ad essere fedeli alla nobile tradizione di Don
Chisciotte e la sua passione per emendare i torti è tanto intensa quanto
lo era prima. È proprio questo spirito quello che lo portò ad assaltare il
Moncada e poi, con Raul ed il Che, ad iniziare l'epopea della Sierra
Maestra. Come l'aveva pronosticato nel suo celebre allegato davanti ai
giudici del Moncada, la storia lo ha assolto, e come! Gli ha dato anche
ragione quando nel 1985 dimostrò matematicamente l'impossibilità di pagare
il debito estero, contrariando le opinioni di sedicenti “esperti” che
elaboravano ingegnosi artifici per dimostrare il contrario. Quando
precipitò l'Unione Sovietica e cadde il (falso) socialismo dell'Europa
Orientale sono stati molti quelli che gli hanno consigliato che
riconciliasse Cuba con le nuove realtà della globalizzazione, ammainando
la bandiere suppostamente logore del socialismo. Il guerriero si negò e
contrariando l'opinione ed i pronostici di questi e molti altri, ha
sopportato la tempesta ed ha proclamato ai quattro venti che, benché
l'Unione Sovietica affondasse, il fragile vascello della Cuba
rivoluzionaria avrebbe resistito al temporale e sarebbe arrivata ad un
buon porto. Un'altra volta, la storia gli ha dato ragione.
Gli aveva sorriso anche nel 1992, nel Vertice della Terra,
celebrato a Rio de Janeiro, quando denunciò nei sette minuti esatti che
ogni partecipante aveva assegnato, la catastrofe ambientale e climatica
che si avvicinava. Il suo intervento fu fulminante ed apocalittico e
puramente ideologico per molti di quelli che il pensiero convenzionale
identificava come “realisti” ed “esperti.” Chi si ricorda ora di quei
nani? E che cosa dire lì dei governanti presenti –Menem, Fujimori ed altri
della loro stessa specie–che fecero orecchio da mercante davanti al
discorso di Fidel e che con la loro criminale indifferenza aggravarono il
problema? La storia è tornata ad assolverlo quando, nel 1998, convocò gli
economisti a discutere la crisi in gestazione, in momenti in cui il sapere
ufficiale assicurava che non c'era –e che non ci sarebbe stata–nessuna
crisi bensì, al massimo, una transitoria decelerazione della crescita
economica. Una decade più tardi, i fatti reali dimostravano un'altra volta
che la ragione era dalla parte di Fidel.
Questo fu l'uomo che mi onorò col suo invito a discutere alcuni aspetti
della mia relazione. Gli interessò soprattutto il concetto di “borghesia
imperiale”, concepito per caratterizzare l'intreccio prodotto tra le
classi dominanti delle principali metropoli capitaliste e la forma in cui
unificarono la loro strategia di dominazione globale. I suoi membri si
danno annualmente appuntamento a Davos per coordinare la loro strategia a
scala mondiale, passare in rivista i loro mezzi monetari, armonizzare i
loro discorsi e le loro politiche e potenziare la loro influenza politica
ed ideologica a livello internazionale, e per questo invitano governanti,
“esperti” e comunicatori sociali per trasmettere la buona notizia. Mi
chiese dettagli, esempi, ragioni per le quali utilizzo questo concetto. Si
lamentò della sua mancanza di tempo: non ha potuto ricevere vari
presidenti, ed a quelli che ha ricevuto, non ha potuto dedicare il tempo
che avrebbe desiderato.
Parliamo un po' dell'Argentina e mi disse che l'aveva sorpreso
positivamente la forza e la convinzione che dimostrò la presidentessa
Cristina Fernandez e la sua voglia di lottare, ma era preoccupato per le
sequele del conflitto che l'anno scorso affrontò il Governo coi settori
dell’agricoltura. Esaminando il panorama socio-politico latinoamericano
espresse la sua preoccupazione perché il pendolo ideologico che si era
mosso bene verso la sinistra –anche se con differente ampiezza secondo i
paesi nell'ultima decade–potesse fermare la sua marcia o, peggio, iniziare
una reversione minacciando la stabilità o la continuità dei governi
progressisti della regione. Sa che l'imperialismo sta in agguato per
“correggere la rotta” del suo patio posteriore. Lo conosce al dettaglio e
può dire, come Martí che “io conosco le viscere e la mia fionda è quella
di David”. Con quella fionda ha tenuto sotto controllo il Golia americano
per 50 anni e finì per isolarlo: nel’’ottobre del 2008 dei 192 paesi
membri delle Nazioni Unite 185 votarono a beneficio di una risoluzione che
esigeva mettere fine al bloqueo contro Cuba. Solo due hanno accompagnato
l'impero: Israele, la megabase militare statunitense in Mezzo Oriente, e
Palau, un'isoletta persa nel Pacifico popolata per 21.000 persone ed
utilizzata come campo di prove dei missili dell'armata nordamericana.
Altri due, le isole Marshall (63.000 abitanti) e Micronesia (107.000)
hanno considerato troppo grande tale ignominia e si sono astenuti. Ma
questo messaggio della comunità universale non importa alla Casa Bianca ed
i suoi mandanti: il complesso militare-industriale. Questi vogliono
approfittare della crisi per ritornare a “dirigere” la regione e stroncare
la primavera di sinistra. La successione del governo dell'Accordo in Cile
sembra inesorabilmente destinata a reinstallare un personaggio della
destra nella Moneta, bene sia il filo-governativo Eduardo Frei o
l'oppositore Sebastian Piñera. E le previsioni non sono molto più
incoraggianti per Argentina, Brasile ed Uruguay. La crisi economica
potrebbe essere lo spunto per quella ricomposizione conservatrice e questa
minaccia non può essere presa alla leggera. Se questo si produce,
l'isolamento del Venezuela, Bolivia e l'Ecuador potrebbe aggravarsi,
mettendo attualmente in rischio la viabilità politica ed economica dei
progetti trasformatori in corso con negative conseguenze per Cuba. Mi fece
anche sapere della sua inquietudine per la persecuzione a cui è sottomesso
il governo di Fernando Lugo in Paraguay, e la necessità che Argentina e
Brasile adottino una posizione solidale e generosa in relazione con le due
grandi dighe di sbarramento di Yacyretá ed Itaipú, la cui proprietà è
condivisa col Paraguay.
Era trascorsa un'ora e quaranta minuti di conversazione ed era tempo di
mettere fine a questo dialogo. Gli domandai se non fosse possibile che
qualcuno ci facesse una foto perché altrimenti non sarebbero stati pochi
quelli che mi avrebbero considerato un impostore. Fidel ha accettato di
buon grado alla mia domanda lamentandosi scherzosamente che tutti gli
dicono la stessa cosa e l'obbligano a farsi fotografare. Allora si girò
verso uno dei suoi collaboratori e disse: “Allora, portino uno specchio”.
E dopo che glielo danno, si guarda e dice: “Humm, mi vedo bene!”, ed è
certo. Stimolato dal suo buon umore approfitto per congratularmi per la
sua salute e dirgli che lo vedo molto bene, con un aspetto tanto buono
come quello che aveva Ingrid Betancourt quando si è prodotta la sua
misteriosa liberazione da parte dell’esercito colombiano. Una rombante
risata ha concluso la battuta. Ci prepariamo per la foto e lì, trasportato
dal clima rilassato, osai dirgli che col logo di Adidas dell'uniforme
degli atleti cubani i suoi detrattori lo avrebbero criticato ora per fare
pubblicità ad una multinazionale. Nuova risata e, rapido come un fulmine,
e col suo dito indice ripetutamente affondato nel mio petto mi ha detto,
masticando ogni sillaba, “il fatto è che sono una vittima della tua
borghesia imperiale”. Nuove sghignazzate, foto, ed un forte abbraccio di
addio che permette di comprovare il buon tono muscolare del suo fisico e,
con sollievo, che avremo ancora il Comandante in capo per molto tempo.
* l’autore
è un intellettuale, politologo e professore universitario argentino