Non siamo degli obnubilati fanatici. Non è che Fidel Castro abbia
(avuto) sempre ragione. In certi casi, pochi o molti sarà la storia a
dirlo, non l'aveva. Ma in (molti) altri sì. E la sua analisi sull'annuncio
dato lunedì a Washington della revoca di alcune delle più odiose e stupide
misure anti-cubane decise da Bush, è uno di questi. In quelle parole,
uscite sul Granma di ieri e riprodotte oggi dal manifesto, c'è tutto il
giudizio dell'ex-lider maximo su Obama e le sue «aperture» su Cuba.
Positivo, ammirato anche, ma senza chiudere gli occhi, senza regalare
niente, senza chiedere scusa, da pari a pari.
Ecco quello che manca dall'annuncio di lunedì. E' qualcosa che viene
sempre dall'alto, dai buoni contro i cattivi. Sempre con l'obiettivo: di
«portare la libertà» nell'isola discola e ribelle. Lo stesso dell'embargo
imposto 47 anni fa ma, visto il suo clamoroso fallimento, da raggiungere
con altri mezzi.
L'annuncio delle misure su cui Obama ha posto la firma, dopo il sofferto
sì del Congresso di un mese fa, non va sottovalutato. Non sono più i tempi
di Bush e Obama, come concludeva Fidel Castro in una delle prolifiche
«riflessioni» dal suo buen retiro, «di certo non assomiglia per nulla al
suo predecessore». Obama ha capito benissimo che su Cuba la posizione
degli Stati oltre che grottesca è insostenibile.
L'embargo gli scoppia in casa, negli stati del midwest produttori di
alimenti da esportare (anche) a Cuba, nelle compagnie petrolifere USA
tagliate fuori dalla ricerca del (certissimo) petrolio cubano, nella
comunità del business e della cultura. Nonostante i Bush e la comunità
anticastrista della Florida e del New Jersey, nonostante le leggi dei vari
Torricelli e Helms-Burton, gli USA sono già diventati il quinto partner
commerciale di Cuba. E gli USA, alla vigilia del vertice delle Americhe di
questo fine settimana a Trinidad, sono ormai l'unico paese del continente
americano a non riconoscere Cuba.
Oltre che ridicolo (e criminale) il blocco è anche controproducente per
gli esportatori di democrazia. Passati (forse) i tempi della democrazia
esportata con i carri armati, Obama ora potrebbe puntare a esportarla con
i «valori americani». Quale «arma di distruzione di massa» meglio del
dollaro, della coca cola, del libero turismo a stelle e strisce per
disintegrare il sistema socialista che da decenni si dà per morto o
moribondo a Cuba?
Una sfida pericolosa per Cuba, un'arma potenzialmente letale nella mani di
Obama. Fidel e Raul quella sfida sembrano averla raccolta e si dicono
pronti a discutere con l'ossessionato nemico. Ma per farlo non bastano
misure come quelle annunciate lunedì. Non basta «l'elemosina».