Aprendo il quotidiano “El País” di Madrid di stamane, giornale dal
quale spesso i nostri giornali ricalcano l’informazione latinoamericana, si
trova un lungo e soddisfatto articolo. Il Parlamento europeo, come fosse un
tribunale, avrebbe condannato il Venezuela con parole senza precedenti.
Virgolettando si informa che ha espresso la sua “enorme preoccupazione per il
deterioramento della qualità della democrazia in Venezuela” oramai “in grave
rischio di collasso” per la “concentrazione di potere e l’autoritarismo
crescente del presidente Hugo Chávez”. Inoltre il parlamento europeo -cosa a ben
pensarci inaudita- solidarizza con i capi dell’opposizione che soffrono
persecuzioni politiche e prosegue ricopiando e approvando gran parte della
risoluzione del Parlamento Europeo. Cosa c’è che non va in questa risoluzione?
Cosa nasconde la multinazionale Prisa che edita il quotidiano spagnolo?
Quello che “El País” nasconde, non si trova neanche a cercarlo con la lente
d’ingrandimento, e rappresenta un chiarissimo caso di disinformazione, è che la
risoluzione si è approvata in un’aula deserta con appena 27 parlamentari su 785,
il 3% del totale. Non solo, “El País” tergiversa sul fatto che tutti i 27
votanti appartengono a gruppi di destra e di estrema destra e che il 97% dei
parlamentari europei (758 contro 27) di destra, centro e di sinistra hanno
semplicemente snobbato una risoluzione che in un documento si definisce dal
contenuto che mostra “un chiaro accanimento” antivenezuelano e “un linguaggio
artatamente distruttivo”. Insomma spazzatura ma che al gruppo Prisa, da anni
impegnato in America latina come punta di lancia delle multinazionali iberiche,
fa gioco.
Ovvero la notizia è semmai che il 97% dei parlamentari europei rifiuta di
condannare il Venezuela. È inoltre peculiare il fatto che “El País”, quotidiano
che appoggia in Spagna il PSOE (Partito Socialista al governo) si spelli le mani
per una risoluzione che nessun parlamentare del PSE (Partito Socialista Europeo)
ha avuto il cuore di votare perché impresentabile.
Il caso che ha originato la risoluzione votata dai neofascisti e affini europei
piaciuta tanto a “El País” è però molto importante. È quello di Manuel Rosales,
candidato presidenziale nel 2006 contro Hugo Chávez ed ex-sindaco di Maracaibo e
governatore dello Stato di Zulia che, accusato di corruzione e arricchimento
illecito, si è proclamato perseguitato politico e ha chiesto e ottenuto asilo in
Perù dove governa Alán García, amico intimo dell’ex presidente venezuelano
Carlos Andrés Pérez (e di Bettino Craxi) a sua volta destituito per corruzione
nei primi anni ‘90. Chi scrive ha brevemente conosciuto Manuel Rosales e ne ha
scritto come l’espressione di una maturazione dell’opposizione che per la prima
volta si apponeva a Chávez in maniera non golpista.
Tuttavia gli innumerevoli casi di malversazione di fondi pubblici e di
corruzione che hanno coinvolto in questi anni Rosales non possono essere
rubricati come persecuzione politica. Quello che né i parlamentari di destra e
ultradestra a Bruxelles né “El País” dice è che è la stessa INTERPOL a
classificare come pienamente giustificata la richiesta di estradizione per
Rosales perché non vi si desume “alcun pericolo di persecuzione politica,
razziale, religiosa o militare”. È il presidente peruviano, per suoi fini, ad
aver concesso l’asilo senza che alcuna persecuzione fosse in atto e sottraendo
un inquisito alla giustizia venezuelana. Questa ha tutto il diritto di inquisire
Rosales, che dovrebbe dimostrare come ha fatto ad arricchirsi smisuratamente in
meno di dieci anni da pubblico amministratore.
La verità è un’altra ed è un punto debole senza via di uscita per il governo di
Hugo Chávez. Se la magistratura si occupa di corruzione finisce inevitabilmente
per occuparsi degli enormi arricchimenti illeciti degli ultimi cinquant’anni che
spesso corrispondono a personaggi attivi nell’opposizione e incorre nell’accusa
di voler perseguire oppositori politici. Se non lo fa però, e negli ultimi dieci
anni lo ha fatto troppo poco, il bubbone della corruzione endemica non verrà mai
inciso. Ma non aspettatevi che questo ve lo spieghi “El País”.