Fidel ha presentato La controffensiva strategica Un minimo di armi e un massimo di morale |
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13 settembre 2010 - Fidel castro Ruz www.granma.cu
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I germi del suo pensiero sono contenuti nel libro La controffensiva strategica. C’è un filo visibile nella vita di Fidel, dai suoi anni di studente, passando per la Sierra e i primi anni della Rivoluzione sino ad oggi, e sono i suoi principi.
Per questo nessuno si stupisce che abbia scelto l’Aula Magna per la presentazione del suo secondo libro di memorie, che imbastisce lettere e aneddoti della guerriglia contenuti nel nuovo volume e che affronti "l’apparato pubblicitario", che in questi giorni ha tentato di tergiversare le sue risposte all’intervista concessa al giornalista nordamericano Jeffrey Goldberg.
"Dobbiamo quasi rallegrarci della speculazione, perché non possono ignorare le mie risposte", dice brevemente da parte ad un gruppo dei protagonisti abituali della Tavola Rotonda, che hanno assistito alla presentazione del libro.
È semplicemente affascinante la maniera in cui Fidel integra il passato, il presente ed il futuro a forza di principi, che sono quelli che rivelano la coerenza del suo pensiero. A proposito, Katiuska Blanco, l’editrice principale del libro, richiama l’attenzione su una frase che appare nella parte scritta dal Comandante in Capo, il 19 agosto del 1958, letto via Radio Rebelde: "La vittoria nella guerra dipende da un minimo di armi e un massimo di morale".
LA CONTROFFENSIVA STRATEGICA
È Katiuska che menziona per prima queste coincidenze. "Ci emoziona presentare, Comandante, nella storica Aula Magna dell’Università de L’Avana, il libro che conduce passo a passo, nel lungo percorso per montagne e valli, dal Quartiere Generale de La Plata sino alla città di Santiago di Cuba, al trionfo definitivo della Rivoluzione cubana".
Nelle prime file ci sono i Comandanti, i Capitani, le Mariane e i combattenti della Sierra. Con loro nell’Aula Magna, che è solenne da sola per le sue colonne e i suoi dipinti, la sua acustica particolare e il gigantesco arabesco di luci, si respira una sensazione di raccoglimento spirituale, di ambito sacro.
"Questo volume è come una specie di diario", aggiunge Katiuska che è la responsabile di questa edizione e del precedente libro, La vittoria strategica*, presentato nel Palazzo delle Convenzioni lo scorso 2 agosto. Il libro permette di conoscere meglio Fidel come capo esigente che si occupa del massimo e del minimo, "preoccupato , dice Katiuska, più che per la sua sorte personale o per quello che possono pensare di lui, del dovere da compiere perché la Rivoluzione compia il suo destino."
La scrittrice avverte che qui si rivela la visione tattica e strategica del leader della Rivoluzione. Si esprime la condotta incensurabile della guerriglia ribelle verso i prigionieri e le norme etiche che guidavano l’Esercito Ribelle, marcate dal rispetto alla dignità umana. Si percepisce, avanzando dall’agosto del 1958 al 1º gennaio del 1959, la durata del viaggio a cui invita questo libro, l’ossessione di Fidel per risparmiare le risorse della guerra e a non trascurare l’ospedale da campo.
Inoltre ha sottolineato un’altra circostanza eccezionale di La controffensiva strategica. In pochi libri appare così appieno l’umanità di Fidel, e pone l’esempio di quando lui scrive che non può giungere in un luogo perché è malato. Quando dice che ama già la sua macchina fotografica tanto come il suo fucile. O quando scopersero che aveva fatto una breve parentesi per andare a vedere sua mamma. O quando scrive ai genitori dei combattenti morti e onora gli Eroi di Baraguá.
Alberto Alvariño Atiénzar, vicecapo del Dipartimento Ideologico, aggiunge altri dati di questo volume: nel contenuto, disegno, edizione e produzione di arti grafiche, somiglia molto a La vittoria strategica. È anche una meraviglia bibliografica, con i titoli in rilievo nella copertina, fotografie, mappe e lettere inedite, riprodotte in modo che il modo il lettore riesce a provare la sensazione di toccare documenti originali.
Questo volume ha 608 pagine, con 72 di fotografie, il facsimile di 24 documenti storici e 16 mappe rielaborate da cartografi e disegnatori, che permettono di "vedere" il luogo delle truppe e dei combattenti nei combattimenti che si svolsero nella seconda metà dell’ anno 1958. Si stanno stampando 90.000 volumi, dei quali 70.000 saranno destinati alla vendita alla popolazione e al mercato in frontiera.
Alvariño apporta un altro dato addizionale: La vittoria strategica, il volume precedente, è già in processo di stampa di diverse editrici straniere, che lo hanno chiesto, nelle lingue spagnolo, inglese, francese, tedesco, ceco, russo, vietnamita, cinese e arabo.
GUARDANDO DA VICINO
Fidel si accomoda gli occhiali che "non sono molto perfetti, perché non sono bifocali, ma servono per vedere da vicino". E potrebbe essere questa una metafora dell’immersione nella Storia che ha ricostruito minuziosamente dei mesi finali dell’offensiva ribelle, che porto al Trionfo del 1º Gennaio del 1959.
Il Comandante ha guardato da vicino, molto da vicino e spiega come si è svolta la metodologia del lavoro. Ha conversato con i combattenti, ha chiesto loro di cercare fogli, foto, quello che avevano e potesse aiutare nello sforzo del libro. Lamenta di non aver potuto parlare con Calixto García, che era molto malato quando il Comandante lavorava a questa edizione ed è morto recentemente.
Avrebbe voluto parlare con lui perché Calixto partecipò nella Battaglia di Guisa, come rinforzo . In La controffensiva strategica, el Capo della Rivoluzione ricorda la sua partecipazione alla Battaglia di Guisa, dove fu segnalato soprattutto "per la sua morale straordinaria". Nel dicembre del 1958, Calixto fu promosso al grado di Comandante e al trionfo della Rivoluzione era aiutante del Comandante in Capo, con cui entrò a L’Avana l’8 gennaio del 1959.
Più avanti commenterà che quando qualcuno comincia a ricostruire la storia, incluso quella vissuta, è importante discuterla con altri che l’hanno vissuta per essere fedeli. Per questo la persistenza con i documenti, nei dettagli. Poi si vede “che ci sono alcune cose che abbiamo fatto, che se le pensassimo di nuovo non le faremmo in quel modo. Ma quello che è successo ha una ragione d’essere. La cosa non è elogiare quello che è stato fatto, ma studiarlo, e questo è possibile con tutti i documenti storici."
La Battaglia di Guisa gli ricorda i 10 giorni in cui le forze guerrigliere dovettero tornare indietro per prendere questo paese. " Che cosa impedì il nostro proposito di prendere Guisa molto tempo prima? Una piccola forza comandata da un tenente ribelle, abbastanza autosufficiente, era quella che doveva serrare il cammino verso Bayamo, appoggiata da Braulio Curuneaux", il coraggioso capitano ribelle "il miglior ufficiale su cui contavamo", ammette Fidel, che quasi morì alla fine di quella battaglia.
Legge alcune lettere, soprattutto quelle del 16 agosto in cui ne scrisse tre, nelle quali si nota la preoccupazione puntigliosa del leader per la disciplina, la cura delle armi e il risparmio delle munizioni. In una delle note a Camilo, si nota inoltre l’affettuosa relazione tra loro, l’umorismo di Fidel:
16 Agosto del 1958
Camilo: Tu come tutti gli altri hai la tendenza a provocare il maggior (... equivale a caos) possibile e lasciarlo come eredità.
Non ti sei nemmeno preso il fastidio d’inviarmi la lista degli uomini, armi e pallottole che hai. Non so neanche se hai una sola mina.
Immagino che tu abbia incaricato qualcuno dei pezzi di plotone che sono restati lì.
Mi piacerebbe comunque avere qualche notizia di tutto questo.
Lamento di non aver il tempo di comunicarti una serie di piani molto importanti.
Se questo messaggio ti trova tuttavia a Providencia, prendi un cavallo e vieni a la Plata, anche se ritarderai due giorni.
Se sei già partito, continua il viaggio ma non tralasciare di mandarmi le relazione che ti chiedo.
Tieni i piedi per terra e non dimenticare che la fama, la gerarchia e il successo fanno perdere un poco la gente.
Se giungi a Pinar del Río avrai un pelo della gloria di Maceo, ma non dimenticare che per tutto il camino cercheranno di... (farti fallire…)
Fidel
In un’altra carta, il 21 agosto, gli scriveva, sottolineando la frase: "Non dimenticare di mandarmi la lista completa delle armi che hai ". Nel libro appare un foglietto, firmato da Camilo con la stessa data e la pronta risposta: "Fidel, ecco la lista degli uomini, armi e munizioni."
Questa relazione personale, diretta con la truppa e gli ufficiali, ai quali Fidel si dirige con rispetto, ma senza mezze tinte, include anche il riconoscimento a coloro che si facevano notare per la loro condotta. Nell’Ordine Militare con il quale affida al Comandante Camilo Cienfuegos la missione di condurre una colonna ribelle dalla Sierra Maestra sino a Pinar del Rio, Fidel dispone che "per premiare, segnalare e stimolare le azioni di eroismo dei soldati e ufficiali della colonna degli invasori N. 2 Antonio Maceo, se crea la medaglia al valore ‘Osvaldo Herrera’, capitano di questa Colonna, che si tolse la vita nelle prigioni di Bayamo, dopo una gagliarda ed eroica resistenza alle torture degli sbirri della tirannia."
E firma: "Fidel Castro Ruz, Comandante in Capo Sierra Maestra,
18 Agosto
Del ‘58, 9.00 a.m." Con l’ora, dettaglio che continua a registrare 50 anni dopo, nelle sue Riflessioni.
RISPETTO PER LA DIGNITÀ UMANA
In questo libro, come avvertiva prima Katiuska, si può leggere sulla condotta incensurabile della guerriglia ribelle verso i prigionieri e avversari ed un decalogo del rispetto alla dignità umana.
"Se c’è giustizia nella Repubblica, domani non ci sarà vendetta", scrive Fidel nel Comunicato del 19 agosto del 1958 che fu letto via Radio Rebelde, dove allertava inoltre sulla possibilità di un colpo militare di fronte all’avanzata dell’Esercito Ribelle. Vaticinava "una pace lunga e sincera per Cuba", a partire dall’aver osservato "la qualità umana di molti soldati, e a forza di sincerità avrebbe desiderato che invece di avversari fossero compagni di lottacha. Mi sono chiesto tante volte quanti uomini coraggiosi erano morti ingannati, credendo di difendere qualcosa per cui valeva la pena combattere".
Sicuramente, la dittatura mancava di qualsiasi scrupolo. Fidel riporta l’incidente con la Croce Rossa.
Il 15 (dicembre del 1958) alle 3 di notte, senza precedente avviso e senza sollecitare autorizzazioni dal comando ribelle, una jeep della Croce Rossa si mise in marcia lungo la deviazione costruita dal nemico vicino al fiume Cautillo.
Aveva percorso solo duecento metri quando, passando su una mina, provocò la sua esplosione che provocò la distruzione del veicolo e la morte dei passeggeri. La colpa di quell’incidente l’avevano prima di tutto i capi della Croce Rossa che, senza comunicare con il comando ribelle e senza avvisare, mandarono una macchina in ore notturne su un sentiero dove si stava aspettando un attacco nemico.
In secondo luogo era colpevole anche il comando della dittatura, che utilizzò una macchina della Croce Rossa come cavia, autorizzandola a passare per una strada minata senza avvertire del pericolo.
Il risultato fu la morte di 5 umili membri della Croce Rossa Cubana. All’alba i carri armati non avanzarono: avevano usato la Croce Rossa per esplorare il cammino e invece dei soldati morirono pacifici cittadini che prestavano i loro servizi nell’umanitaria istituzione.
Fidel ripassa molti fatti curiosi del libro, che confermano lo stesso: la guerra dell’Esercito Ribelle ha dietro a sè un lavoro di cesello, nel quale non si tralascia alcun dettaglio. Il Comandante, per esempio, aveva scritto personalmente lettere come questa :
Sierra Maestra 21 Nov. 1958
A qualsiasi membro del Movimento 26 di Luglio o dell’Esercito Ribelle:
Il portatore, che è un lattaio, ha il permesso di trasportare latte al popolo, facendosi passare per persona che non obbedisce alle nostre disposizioni, con l’obiettivo di poter realizzare missioni molto importanti. Fidel Castro Ruz [firma]
P S. Ho il massimo interesse che non sarà ostacolato in nessuna forma.
"È che ci sono cose molto interessanti, realmente”, commenta il leader della Rivoluzione e guarda l’orologio. Ci sono molte storie per il cammino, ci sono molte informazioni nel libro che giunge giusto all’intenso 1º gennaio del ‘59 a Santiago di Cuba, con il discorso che pronunciò nel parco Céspedes di questa città, con il richiamo allo sciopero generale, i comunicati, i bollettini speciali di Radio Rebelde. Nessuno sfugge a questo documentato viaggio di cinque intensi mesi.
"Sono molte battaglie, ma non tante come quelle che si stanno sferrando, nelle quali si utilizzano tutte le armi: la menzogna, la calunnia. Per questo, oltre al libro, vorrei condividere con voi la situazione internazionale, i rischi della guerra e delle campagne che ci stanno facendo", dice tranquillamente.
Guarda il pubblico, si riaccomoda gli occhiali “per vedere da vicino", anche se lo sguardo ovviamente è già sulla linea dell’orizzonte: "Siamo in un momento eccezionale della storia umana... ". |
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Introduzione a La controffensiva strategica |
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11 settembre 2010 - Fidel castro Ruz www.granma.cu
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Questo libro narra la forma in cui il nemico fu totalmente sconfitto dall’Esercito Ribelle, dopo gli ultimi combattimenti sferrati nella Battaglia Las Mercedes, che si concluse il 6 agosto del 1958.
Tra quella data e il 1º gennaio del 1959 trascorsero quattro mesi e 25 giorni.
Le Forze Armate di Cuba erano molto poderose. Sembravano istituzioni impossibili da affrontare nel terreno militare da parte di civili disarmati, senza conoscenze o addestramento in quel terreno. Furono create ed equipaggiate dagli Stati Uniti, dall’occupazione della nostra Patria nel 1898, con il pretesto che la Spagna aveva fatto saltare la corazzata Maine nel porto de L’Avana il 15 febbraio del 1898.
Dal 6 agosto del 1958, quando terminò quella battaglia al 1º gennaio del 1959, quando entrammo in Santiago di Cuba, nella Provincia di Oriente terminarono i combattimenti.
Il giorno 3 di quell’anno le 100000 armi e tutti i mezzi terrestri, aerei e navali su cui contava quella spuria forza restarono sotto il controllo totale dell’ Esercito Ribelle.
L’enorme differenza tra le due parti contendenti creò la necessità di muoversi e combattere senza tregua o riposo per quei 147 giorni.
Non tenterò di raccontare ogni fatto, giorno per giorno, perché non terminerei neanche dopo molti mesi. Parlerò unicamente di quelli a cui ho partecipato, anche se solo quelli sufficienti per spiegare il contenuto di questo libro La controffensiva strategica.
Di nuovo si ripeteva la stessa storia. Restai senza capi, tutti marciarono con le vecchie le nuove colonne al loro comando, rinforzate con più di 500 armi catturate, includendo una mitragliatrice 50, dal coraggioso capitano Braulio Curuneaux e dalla sua squadra, che scrissero tante pagine brillanti nelle battaglie del Primo Fronte della Sierra Maestra.
Partii l’11 novembre del 1958 (la mappa a p. 548) con 30 uomini al comando del tenente Orlando Rodríguez Puertas, seguito da circa 1000 reclute disarmate della scuola di Minas de Frío nella mia retroguardia, che in 41 giorni, togliendo alcune decine di feriti e morti in combattimenti, furono armate.
Non avevo Stato Maggiore, nè contavo su capi per le nuove colonne e non disponevo di nessuno per prepararli. Io stesso dovevo fare quel ruolo, dal dettare istruzioni pertinenti a numerose colonne, all’assegnare le armi e le risorse materiali necessarie destinate alle truppe ed anche a determinate persone per motivi giustificati.
I giorni restanti del mese d’agosto e tutto settembre li dedicai quasi completamente a quei compiti. Mi occupavo anche della direzione del Movimento 26 di Luglio.
Nella prima quindicina di ottobre dedicai parte del tempo ai temi civili, includendo l’Amministrazione Civile del Territorio Libero, (ACTL), con temi come le tasse sul riso e sul bestiame.
Inoltre dedicai ore scrivere messaggi ai comandanti Delio Gómez Ochoa, Eddy Suñol, Juan Almeida, per l’ordine in cui furono spediti; al dottor Luis Buch, che risiedeva a Caracas e svolgeva una missione importante. Alcune di quelle comunicazioni erano scritte in una chiave che nemmeno io oggi riesco a decifrare.
Mi occupavo delle promozioni e dell’assegnazione dei territori, in accordo con le situazioni che cambiavano nella guerra.
La farsa elettorale del 3 novembre di quell’anno occupò in forma particolare la mia attenzione, perché si trattava di una grande battaglia politica nella quale si misuravano le nostre forze con la tirannia, Ricordavo bene le ultime elezioni che si erano svolte nel 1954, quando eravamo in prigione, che costituirono un’altra volta un severo ed umiliante colpo al popolo da parte della dittatura, in complicità con la vecchia politicheria, rappresentata in quella occasione dal Partito Rivoluzionario Cubano (Autentico) del dottor Ramón Grau San Martín. Poco tempo dopo la sconfitta batistiana, nel dicembre de l1958, nessuno più si ricordava di loro e le nuove generazioni non hanno mai sentito nemmeno i loro nomi.
In quelle attività trascorsero i mesi tra la fine dell’offensiva dell’estate e la vittoria del 1º gennaio del 1959.
In quello che ho riferito sulla sfera militare, con il piccolo gruppo che restò al mio lato come routine realizzavamo e provocavamo alcuni attacchi contro un battaglione nemico trincerato dentro le mura di un’alta costruzione di terra eretta attorno a quella forza, con un nido di mitragliatrici installate nella parte alta, che colpivano i dintorni dell’alutra nelle prossimità della Centrale Estrada Palma. Conservavamo ancora la 50 di Curuneaux e la sua dotazione. Alcuni scontri furono forti e l’aereo ci assediò anche all’alba e a volte con la luna luminosa. Usavamo anche un mortaio 81, con pochi proiettili, senza impulsori addizionali e poca mira.
Solo un episodio di grande trascendenza avvenne in ottobre, prima che io partissi dal Quartiere Generale di La Plata: il grave errore del capo della Colonna 11 di Camagüey, che costò severe e dolorose vittime.
Considero sufficienti queste linee per iniziare immediatamente la narrazione.
Anche se i mezzi di stampa e alcuni libri hanno scritto Coroneaux, il cognome che consta nella sua firma e nell’atto di nascita è Curuneaux (n. del e.).
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Autobiografia di Fidel Che inizia il libro La vittoria strategica del Comandante in Capo, Fidel Castro |
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24 settembre 2010 - www.granma.cu
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Avevo dubbi sul nome da dare a questa narrazione, non sapevo se chiamarla “L’ultima offensiva di Batista” o “Come 300 sconfissero i 10000?”, che sembra un racconto da Mille e una notte. Mi sento obbligato per questo ad includere una piccola autobiografia della prima tappa della mia vita senza la quale non si comprenderebbe il senso.
Non desideravo aspettarmi un giorno le innumerevoli domande che mi avrebbero fatto sulla mia infanzia, l’adolescenza e la gioventù, tappe che mi trasformarono in un rivoluzionario e combattente armato.
Sono nato il 13 agosto del 1926. L’assalto alla caserma Moncada di Santiago di Cuba, il 26 luglio del 1953, avvenne tre anni dopo la mia laurea nell’Università de L’Avana. Fu il nostro primo scontro militare contro l’esercito di Cuba al servizio della tirannia del generale Fulgencio Batista.
L’istituzione armata in Cuba, creata dagli Stati Uniti dopo il loro intervento nell’Isola durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, iniziata da José Martí nel 1895, era uno strumento delle imprese nordamericane, e dell’alta borghesia cubana.
La grande crisi economica che si verificò negli Stati Uniti, durante i primi anni del decennio del 1930, implicò alti livelli di sacrificio per il nostro paese, che per via degli accordi commerciali imposti da quella potenza, era totalmente dipendente dai prodotti della sua industria e della sua agricoltura sviluppata. La capacità d’acquisto dello zucchero si era ridotta quasi a zero. Non eravamo indipendenti e non avevamo diritto allo sviluppo. Difficilmente si potevano avere peggiori condizioni in un paese dell’ America Latina.
Mentre il potere dell’impero cresceva sino a farlo divenire la più poderosa potenza mondiale, fare un rivoluzione in Cuba diveniva un compito ben difficile.
Alcuni, pochi uomini fummo capaci di sognarla, ma nessuno si potrebbe attribuire meriti individuali di una prodezza che fu una miscela di idee, fatti, sacrifici di molte persone in un periodo di molti anni, ed in molti luoghi del mondo.
Con questi ingredienti riuscimmo a conquistare l’indipendenza piena di Cuba ed una rivoluzione sociale che ha resistito con onore per più di 50 anni d’aggressioni ed al blocco degli Stati Uniti.
Nel mio caso concreto, senza dubbio per pura sorte, a questa altezza della vita posso offrire la mia testimonianza di fatti che, se hanno alcun valore per le nuove generazioni, è grazie allo sforzo degli investigatori rigorosi e seri il cui lavoro, per decine di anni, ha riunito dati che mi hanno aiutato a ricostruire gran parte del contenuto di questo libro, al quale ho deciso di porre il titolo “La Vittoria Strategica”.
Le circostanze che mi portarono a quelle azioni di guerra le conservo, impossibili da cancellare, nella mia mente. Non smette d’essere una soddisfazione per me ricordarle, perché d’altra forma non mi spiegherei perche giunsi a convinzioni che in ogni modo determinarono il corso della mia esistenza.
Non sono nato un politico, anche se sin da piccolo osservavo fatti che, registrati nella mia mente, mi aiutarono a comprendere le realtà del mondo.
Nella mia Birán natale, c’erano solo due installazioni che non appartenevano alla mia famiglia: il telegrafo e la piccola scuola pubblica. Lì mi facevano sedere in terza fila, perché non c’era, e non ci poteva essere, qualcosa di simile ad un asilo d’infanzia.
Obbligato, appresi a leggere e a scrivere. Nell’anno 1933, quando non avevo ancora compiuto sette anni, la maestra, che non riceveva nemmeno il salario che le doveva il governo, con il pretesto dell’intelligenza del bambino, mi portò a Santiago di Cuba, dove risiedeva la sua famiglia, in una casa povera e quasi senza mobili, con infiltrazioni dappertutto quando pioveva. In quella città non mi mandarono nemmeno in una scuola pubblica come quella di Birán.
Dopo molti mesi senza lezioni ne fare altro che non fosse ascoltare con un vecchio pianoforte la pratica di solfeggio della sorella della maestra professoressa di musica senza lavoro appresi a sommare moltiplicare dividere e sottrarre grazi alle tavole stampate nella fodera rossa della copertina di un quaderno che mi avevano consegnato per praticare la calligrafia, che nessuno mi dettò e mi corresse mai.
Nella vecchia casa dove inizialmente mi ospitarono, con quello che c’era in un contenitore che portavano una volta al giorno, ci alimentavamo in sette persone, tra le quali la sorella e il padre della maestra. Conobbi la fame crescendo, che era l’appetito, con la punta di uno dei denti di una piccola forchetta pescavo l’ultimo granello di riso e con filo da cucito riparavo le mie scarpe.
Di fronte a quella modesta casa di legno dove vivevamo, un Istituto Liceale era occupato dall’Esercito; vidi i soldati colpire con la culatta dei propri fucili altre persone. Potrei scrivere un libro con quei ricordi. Fu l’istituzione infantile dove mi condusse quell’ umile maestra, in una società nella quale il denaro regnava in forma assoluta.
La mia famiglia era stata ingannata ed io non potevo nemmeno rendermi conto di quella situazione; l’inganno mi fece perdere tempo, ma m’insegnò molto sui fattori che lo determinarono. Dopo vari episodi, compiuti gli otto anni, fui iscritto nel gennaio del 1935 nella scuola elementare dei Fratelli La Salle, molto vicina alla prima cattedrale che i conquistatori spagnoli avevano costruito in Cuba. Un altro e ricco apprendimento cominciava.
Entrai in quella scuola come alunno esterno, e risiedevo in una nuova casa, molto vicina alla precedente e dove si trasferì la professoressa di musica, sorella della maestra di Birán.
Giungemmo ad essere tre i fratelli che vivevamo con quella famiglia: Angelita, Ramón ed io, per ognuno dei quali si pagava una pensione. Il padre delle insegnanti era morto l’anno prima.
Già non esisteva più la fame fisica, anche se per un certo tempo fui obbligato a ripassare sino alla stanchezza le conosciute regole aritmetiche. Anche così, io ero stanco di quella casa e mi ribellai in maniera cosciente per la prima volta in vita mia; mi rifiutai di mangiare alcuni vegetali senza sapore che a volte m’imponevano e ruppi tutte le norme d’ educazione formale, sacra in quella casa di famiglia d’una squisita cultura francese, acquisita nella stessa Santiago di Cuba. Nella famiglia si era inserito il console di Haiti, per la via del matrimonio. Ma divenne così insopportabile la mia ribellione ch emi spedirono subito come interno nella scuola. Mi avevano minacciato di farlo più di una volta per impormi disciplina; non sapevano che era precisamente quello che io volevo.
Quello che per altri bambini era duro, per me significava la libertà. Se non mi portarono mai nemmeno ad un cinema! Avrei goduto delle delizie di un alunno interno! Fu il primo premio che ricevetti in vita mia. Ero felice!
I miei problemi da allora furono altri. Ero giunto a Santiago con due anni d’anticipo ed entrai nella scuola dei Fratelli La Salle con alcuni di ritardo. Frequentai con facilità i due primi anni di elementari. Quel centro era una meraviglia! Come norma andavamo a Birán tre volte l’anno: a Natale, per la Settimana Santa e nelle vacanze estive, ed io e Ramón eravamo totalmente liberi.
Dal terzo anno passai al quinto come premio per miei voti e recuperai il tempo perduto. Durante il primo trimestre tutto andava bene: buone note ed eccellenti relazioni con i nuovi compagni di classe. Ricevevo il bollettino bianco che distribuivano ogni settimana agli alunni per la condotta corretta, con i problemi normali di qualsiasi discepolo. Successe allora un problema con uno dei membri della congregazione, ispettore degli alunni interni.
La scuola disponeva di un vasto terreno all’altro lato della baia d Santiago, chiamato Renté. Era un luogo di ritiro e riposo della congregazione. Lì portavano gli alunni interni il giovedì e la domenica, giorni in cui non c’erano attività scolastiche.
C’era un buon campo sportivo ed inoltre praticavo sport: nuotavo, pescavo, esploravo. Non lontano dall’entrata della baia si osservavano i segni della battaglia navale di Santiago sottoforma di grandi proiettili che ornavano l’entrata degli edifici. Una domenica durante il ritorno litigai con un altro alunno interno, mentre viaggiavamo sull’imbarcazione El Cateto, da Renté al molo di Santiago. Appena giungemmo alla scuola terminammo la zuffa e per quello, quell’ autoritario fratello dell’ordine religioso mi colpì sul viso a mani aperte e con tutta la forza delle sue braccia. Era una persona giovane e forte. Restai stordito, con i colpi che mi risuonavano nelle orecchie. Prima mi aveva chiamato a parte, già quasi di notte. Non mi lasciò nemmeno spiegare.
Nel lungo corridoio dove mi portò nessuno ci vedeva.
Due o tre settimane dopo tentò di nuovo di umiliarmi con un piccolo colpo con le nocche delle dita sulla testa, perché parlavo in fila. In quella seconda occasione io ero tra i primi ad uscire dalla colazione, perché noi discepoli cercavamo sempre di occupare i posti nelle prime file per giocare con le palline di gomma prima delle lezioni.
Un pane e burro portato nella mano era un’altra consuetudine degli alunni uscendo dalla sala da pranzo, dopo aver inghiottito precipitosamente i primi alimenti del giorno, ed io lo lanciai sul viso dell’ispettore e quindi lo assalii con le mani e con i piedi, in forma tale, davanti a tutti gli alunni esterni ed interni, che la sua autorità ed i suoi metodi abusivi furono molto disprezzati. Fu un fatto che si ricordò per lungo tempo nella scuola.
Io allora avevo 11 anni e mi ricordo bene del suo nome. Non desidero, senza dubbio, ripeterlo. Di lui non ho saputo nulla da almeno 70 anni.
Non gli porto rancore. L’alunno che motivò l’incidente, l’ho saputo molti anni dopo il trionfo della Rivoluzione, mantenne sempre una condotta trasparente e seria.
Senza dubbio il fatto ebbe delle conseguenze per me. L’incidente era avvenuto alcune settimane prima di Natale, quando avevamo due settimane e mezzo di vacanze.
Lui era sempre un ispettore ed io un alunno; tutti e due c’ignoravamo totalmente.
Per elementare dignità la mia condotta fu incensurabile. Quando vennero i nostri genitori a prenderci, evidentemente citati da loro, nascosero la verità ed accusarono i miei due fratelli e me di comportamento pessimo. "I suoi tre figli sono tre banditi, i peggiori mai passati per questa scuola”, dissero a mio padre. Lo seppi per quello che raccontò, intristito ad altri agricoltori amici che lo visitavano alla fine dell’anno. Raúl aveva appena sei anni, Ramón si è sempre caratterizzato per la sua bontà, ed io, non sono un bandito.
Mi costò fatica farmi inviare di nuovo a Santiago a studiare; Ramón e Raúl, che non avevano avuto nulla a che vedere con il problema, trascorsero il resto di quel corso a Birán. Mi iscrissero nel gennaio del 1938 come alunno esterno nel Collegio Dolores, diretto dall’ Ordine dei Gesuiti, molto più esigenti e rigorosi in materia di studi, ma di classe molto più alta e ricca del loro rivale dei Fratelli La Salle.
In quell’occasione mi toccò vivere nella casa di un commerciante spagnolo amico di mio padre; l’i indubbiamente non soffersi nessuna penuria material, ma in quella casa, dove vissi sino alla fine delle elementari, ero un estraneo.
All’inizio dell’estate, Angelita, mia sorella maggiore, venne anche lei in quella casa per prepararsi per il ginnasio Per darle lezioni si assunse una professoressa negra, che si guidava con un enorme libro in cui c’era il contenuto delle materie da impartire per l’esame d’ingresso. Io assistevo alle sue lezioni. Era la miglior professoressa e forse, una delle migliori persone che ho conosciuto in vita mia.
Le venne l’idea che anch’io studiassi il materiale per l’iscrizione ed il primo anno di ginnasio, per esaminarmi appena avessi avuto l’età pertinente per questa scuola, un anno dopo. Risvegliò in me un enorme interesse per lo studio. Fu la sola ragione per cui sopportai la casa del commerciante spagnolo in quel periodo di vacanza dopo la fine delle elementari, come esterno a Dolores.
Mi ammalai alla fine di quell’estate e fui ricoverato circa tre mesi nell’Ospedale della Colonia Spagnola di Santiago di Cuba. Non ci furono vacanze estive quell’anno. In quell’ ospedale mutualistico, per due pesos al mese, equivalenti a due dollari, una persona aveva diritto al servizio medico. Assai pochi potevano coprire quella spesa. Mi avevano operato di appendicite e dieci giorni dopo la ferita esterna s’infettò. Si dovettero dimenticare i piani di studio concepiti dalla professoressa. Alla fine di quello stesso anno, il 1938, noi tre fratelli ci riunimmo nuovamente come alunni interni nel Collegio Dolores.
In quinta, con varie settimane di lezioni perdute, dovetti sforzarmi per mettermi alla pari Una nuova tappa iniziava. Approfondivo le mie conoscenze in Geografia, Astronomia, Aritmetica, Storia, Grammatica e Inglese.
Ebbi l’idea di scrivere una lettera al presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, che con la sua sedia a rotelle, il suo tono di voce e il su viso amabile suscitava le mie simpatie. Dopo una grande attesa una mattina le autorità nella scuola annunciarono il grande avvenimento: "Fidel si scriveva con il presidente degli Stati Uniti".
Roosevelt aveva risposto alla mia lettera. Questo credevamo. Quella che giunse fu realmente una comunicazione dell’ambasciata, che informava che avevano ricevuto la lettera e ringraziavano. Che grande uomo, già avevamo un amico: il presidente degli Stati Uniti! Nonostante tutto quello che appresi dopo e forse per quello, penso che Franklin Delano Roosevelt, che lottò contro l’avversità personale e adottò una posizione corretta di fronte al fascismo, non era capace di ordinare l’assassinio di un avversario, e per quel che si conosce di lui , è molto probabile che non avrebbe lanciato le bombe atomiche contro due città indifese del Giappone nè scatenato la Guerra Fredda, due fatto assolutamente inutili e brutali.
In quel collegio dell’alta borghesia, nella provincia maggiore e più orientale di Cuba, cèrano più rigore accademico e disciplina che nel La Salle. Erano gesuiti, quasi tutti d’origine spagnola, consacrati sacerdoti in una tappa avanzata della loro formazione, nella quale dovevano esercitare come membri dell’Ordine in alcuni compiti o responsabilità. Il prefetto della scuola era Padre García, un uomo retto, ma amabile e accessibile, che si relazionava con gli alunni.
Le mie vacanze, dal primo anno delle elementari, all’ultimo del liceo, le trascorsi sempre a Birán, zona di vali colline e alture sino a circa 100 metri, boschi naturali, pinete, torrenti e pozze d’acqua; lì conobbi da vicino la natura, e fui libero dei controlli che m’imponevano nelle scuole e nelle case delle famiglie dove alloggiavo in Santiago, o nella mia di Birán; anche se sempre difeso da mia madre e con la tollerante tutela di mio padre, da quando ero alunno della scuola media e per quello godevo di crescente prestigio nella famiglia.
Però questo non è il posto per parlare del tema, solo il minimo indispensabile per comprendere quello di cui parlo in questo libro.
Dal Collegio Dolores, io stesso presi la decisione di trasferirmi al Collegio Belén, nella capitale di Cuba. Lì , al contrario di quello che avvenne nel Collegio La Salle di Santiago di Cuba, il responsabile più diretto degli alunni interni - più di 100 - Padre Llorente, non era una persona autoritaria, e lontano dall’essere un nemico, divenne un amico. Spagnolo di nascita, come quasi tutti i gesuiti di quel collegio, si trovava nella tappa precedente all'investitura come sacerdote. Un suo fratello maggiore, esercitava il sacerdozio tra gli eschimesi, in Alasca, e con il titolo “Nel paese degli eterni ghiacci”, scriveva narrazioni sulla vita, i costumi e le attività di quel popolo indoamericano, in una natura vergine, che riempivano di stupore noi alunni.
Llorente era stato nella sanità durante la Guerra Civile Spagnola; lui raccontava la drammatica storia dei prigionieri fucilati ala fine di quella guerra. Il suo compito, assieme ad altri che svolgevano la stessa funzione, era certificare che erano morti prima della sepoltura. Padre Llorente non parlava di politica, nè ricordo d’averlo mai sentito opinare sul tema. Era un gesuita orgoglioso del suo ordine religioso. Stimolava le attività che ponevano a prova lo spirito di sacrificio ed il carattere dei suoi alunni. Insieme pianificammo un caccia al coccodrillo nella Ciénaga de Zapata, dove ce n’erano migliaia; nel 1945, durante le sue ultime vacanze estive, organizzammo un piano per scalare il Turquino. La goletta che doveva portarci via mare, da Santiago di Cuba a Ocujal, non riuscì a mettersi in moto in tutta la notte e non c’era altro cammino. Dovemmo sospendere il piano. Ricordo che avevo un fucile da caccia automatico calibro 12 che avevo preso a casa mia. Come mi avrebbe aiutato più tardi quell’escursione, quando diventai un combattente guerrigliero, il cui territorio principale radicava precisamente in quella zona!
Quando terminai il liceo classico, in Lettere, a 18 anni ero uno sportivo, esploratore, scalatore di montagna, abbastanza buon conoscitore delle armi di cui avevo appreso l’uso con quelle di mio padre e buon studente delle materia che impartivano nel collegio dove studiavo.
Mi nominarono il miglior atleta della scuola l’anno in cui mi diplomai e capo degli esploratori con il più alto grad che assegnavano lì. Mia madre si sentì compiaciuta con gli applausi di i presenti in quella notte dei diplomi. Per la prima volta nella sua vita si era confezionato un abito di gala per andare ad una cerimonia. Lei fu una delle persone che più mi aiutò nel proposito di studiare.
Nell’annuario della scuola, corrispondente al corso in cui mi diplomai, appare una foto mia con le seguenti parole:
• Fidel Castro (1942-1945). Si è distinto in tutte le materie relazionate con le lettere. Eccellente e rispettoso della congregazione, fu un vero atleta, che difese sempre con valore e orgoglio la bandiera del collegio.
Ha saputo conquistarsi l’ammirazione e l’affetto di tutti. Frequenterà la facoltà di Diritto e non dubitiamo che riempirà con pagine brillanti il libro della sua vita. Fidel ha legname e non mancherà l’artista.
In realtà, devo dire che io ero migliore in Matematica che in Grammatica.
L’incontravo più logica, più esatta. Ho studiato Diritto perche discutevo molto, e tutti affermavano che sarei diventato un avvocato. Non ho avuto orientamenti sulle vocazioni.
Il fatto reale è che le scuole dell’elite lanciavano per strada ondate di diplomati liceali che mancavano delle conoscenze politiche elementari. Su un tema fondamentale come la storia dell’umanità, ci narravano in primo luogo le risapute guerre della nostra specie, dall’epoca dei persiani alla Seconda Guerra Mondiale, storie affascinavano bambini e ragazzini, i maschi.
L’affare della produzione e della vendita dei giocattoli di guerra oggi è tanto grande quasi come il commercio delle armi. Del sistema sociale che conduce a tali pazzie e alle stesse guerre non ci insegnarono nemmeno una parola.
Ci illustravano sulla storia della Grecia e di Roma, ma civiltà tanto antiche come quelle dell’India e la Cina, appena si menzionavano, per raccontarci appena le avventure di guerra di Alessandro Magno ed i viaggi di Marco Polo. Senza questi due paesi, oggi è impossibile scrivere la storia. Non ci potevamo nemmeno sognare che ci parlassero allora delle civiltà maya e aimara-quechua, del colonialismo e dell’imperialismo.
Quando mi diplomai alla fine del liceo in Lettere, non esisteva che un’università, quella de L’Avana, e lì andavamo a finire tutti gli studenti con la nostra mancanza di conoscenze politiche. Salvo poche eccezioni, quasi tutti gli alunni provenivamo da famiglie della piccola borghesia che affannosamente desideravano un destino migliore per i loro figli. Pochi appartenevano alla classe alta e quasi nessuno ai settori poveri della società.
Molti ragazzi delle famiglie ricche frequentavano gli studi superiori negli Stati Uniti, se non lo facevano già dal liceo. Non si trattava di colpevolezze individuali: era un’eredità di classe. L’incorporazione di una grande maggioranza di studenti universitari alla Rivoluzione in Cuba è una prova del valore dell’educazione e della coscienza dell’essere umano.
Chissà, forse alcune cose qui riferite aiutano a comprendere quello che è avvenuto dopo.
Non ho frequentato l’università dai primi giorni, perché condannavo l’umiliante pratica con i novellini, che consisteva nel rapare a zero le matricole. Chiesi che mi tagliassero i capelli ben corti per identificarmi come un alunno nuovo.
Dopo aver risolto il complesso problema dell’alloggio, andai allo stadio universitario, per cercare d’incorporarmi agli sport. Si giocavano pallacanestro e baseballe, c’erano campo e pista, tutto quello che mi piaceva. Mi costò lavoro liberarmi dall’impegno con il manager della pallacanestro di Belén. Tempo prima avevo accordato di continuare come suo discepolo in quello sport, ma lui era allenatore di un club aristocratico. Gli spiegai che non potevo essere uno studente dell’università e giocare in un’altra squadra contro questa. Non capì e ruppi con lui. Cominciai ad allenarmi nella squadra universitaria di pallacanestro. La scuola reclamò che io giocassi a baseball per la mia facoltà, e dissi di sì.
I leader della facoltà di Diritto chiesero di candidarmi a delegato per una materia e non feci obiezioni.
Ero obbligato a realizzare molte cose in un giorno. Vivevo in un quartiere distante, dove Lidia, la sorella maggiore da parte di mio padre, sempre attenta e affettuosa con noi, aveva deciso di vivere, trasferendosi da Santiago di Cuba a L’Avana quando iniziai i miei studi superiori.
Un giorno scopersi che non mi restava tempo neanche per respirare.
Sacrificai gli sport e decisi di realizzare il compito che mi chiedevano i leader della scuola. Lottai duramente per ottenere la rappresentazione come delegato, per la classe di Antropologia, che richiedeva uno speciale sforzo. Il compito che mi aspettava mi poneva di fronte ad un ex quadro, per cui l’incarico nella direzione della scuola significava una professione politica.
Così cominciò la mia attività in questa sfera.
Non avevo immaginato sino a che punto la “politicheria, la simulazione e le Menzogne prevalevano nel nostro paese. Ma non lo seppi dal primo giorno. Quando si realizzarono le elezioni ottenni più d cinque voti per ognuno dell’avversario, e contribuii così alla vittoria dei candidati della nostra tendenza in altre materie. Fu in questa forma che, in pochi mesi, per il numero dei voti ottenuti, divenni il rappresentante degli studenti del primo corso, in una delle facoltà più frequentate dell’Università de L’Avana. Questo mi diede una certa importanza, ma era troppo presto. Non avevo nemmeno un’idea degli interessi che si muovevano attorno a quella Università.
Mentre familiarizzavo con lei, conoscevo anche la sua ricca storia. Era stata una delle prime fondate nell’epoca delle colonie. Le illustri personalità della cultura e della scienza erano ricordate con figure di bronzo e di marmo alle quali si rendeva omaggio, o battezzando con i loro nomi piazze, edifici ed istituzioni universitarie.
Sentivo una speciale ammirazione per gli otto studenti di Medicina, fucilati il 27 novembre del 1871 dai volontari spagnoli, che li avevano accusati d’aver profanato la tomba di un giornalista reazionario che serviva il regime coloniale, un fatto che, come si poi si provò, non era nemmeno accaduto Vicino alla mia facoltà, un piccolo parco chiamato Lidice - un paese della Cecoslovacchia dove i nazisti avevano perpetrato un orribile massacro-aggiungeva elementi d’internazionalismo.
I nomi di Martí, Maceo, Céspedes, Agramonte e di altri, apparivano da tutte le parti e suscitavano l’ ammirazione e l’ interesse di molti tra noi, senza importanza per la sua origine sociale. Non era l’atmosfera che si respirava nella scuola privata d’elite dove avevo frequentato il liceo, i cui professori provenivano e si educavano in Spagna, dove si concepì una parte importante della nostra cultura, ma anche la schiavitù e il colonialismo.
In quella tappa, dopo le elezioni del 1944, il paese era presieduto da un professore di Fisiologia, che usci dall’università negli anni ‘30, quando in mezzo alla grande crisi economica mondiale, fu abbattuta la tirannia di Machado, e si creò, per pochi mesi, un governo provvisorio rivoluzionario. In quel processo, nella cornice di un’indipendenza limitata dall’Emendamento Platt, gli studenti, con la combattiva classe operaia cubana ed il popolo in generale, disimpegnarono un ruolo fondamentale. Il professore di Fisiologia, Ramón Grau San Martín, fu designato presidente del governo nel 1933. Un giovane rivoluzionario antimperialista, Antonio Guiteras, rappresentante di altre forze popolari, designato ministro di Governo, fu la figura più notevole di quei mesi, per le misure coraggiose e antimperialiste che adottò.
Fulgencio Batista, proveniente dal settore militare rivoluzionario dei sergenti e soldati professionisti, divenne capo dell’Esercito, captato più tardi dai settori reazionari e dalla stessa ambasciata degli Stati Uniti, fece cadere quel governo radicale che durò appena 100 giorni.
Nella caduta d Gerardo Machado era stata decisiva la classe operaia. Lo sciopero generale rivoluzionario, organizzato fondamentalmente dal piccolo partito dei comunisti, con la direzione brillante e vibrante del poeta rivoluzionario Rubén Martínez Villena, iniziò la battaglia per la caduta della tirannia di Machado. Conviene ricordarlo perché l’ idea di uno sciopero generale rivoluzionario fu associata alla nostra successiva lotta, dall’attacco alla caserma Moncada.
Fu l’arma fondamentale utilizzata dopo l’offensiva finale di successo dell’Esercito Ribelle, che lo condusse alla vittoria totale del popolo del 1º gennaio del 1959.
Negli anni ’40 era emerso con forza l’anticomunismo, con la semina dei riflessi ed il controllo delle menti, attraverso i media per la comunicazione di massa. Erano state create le basi per il dominio militare e politico del mondo. Restava assai poco nella nostra casa di alti studi dello spirito rivoluzionario degli anni ‘30.
Il partito creato dal professore, che lo portò alla presidenza in virtù di passate glorie, prese il nome che Martí aveva utilizzato per organizzare l’ultima Guerra d’Indipendenza: Partito Rivoluzionario Cubano, al quale aggiunsero il qualificativo di "Autentico".
Quando gli scandali cominciarono scoppiare da tutte le parti, un senatore prestigioso di questo stesso partito, Eduardo Chibás, fu alla testa della denuncia al governo. Era di culla ricca, ma decisamente onorato, fatto non abituale nei partiti tradizionali di Cuba. Disponeva di mezz’ora, ogni domenica, alle 20.00, nell’emittente radiofonica più ascoltata in tutta la nazione. Fu il primo caso nella nostra patria della promozione non comune che poteva significare questo mezzo di divulgazione di massa. Si conosceva il suo nome i ogni angolo del paese. Non esisteva ancora in Cuba la televisione. In quel modo, nonostante l’analfabetismo regnante, sorse un movimento politico potenzialmente di massa tra i lavoratori della città e della campagna, i professionisti e la piccola borghesia.
Tra gli operai industriali più avanzati e gli intellettuali più progressisti, le idee marxiste si aprivano il passo con facilità.
Rubén Martínez Villena morì giovane, vittima della tubercolosi, poco tempo dopo della sua più gloriosa opera, la caduta della tirannia machadista.
Restarono le su poesie, che continuiamo a ricordare e a ripetere. Ma i pregiudizi anticomunisti, emanati sempre dai settori privilegiati e dominanti della società cubana, continuarono a moltiplicarsi, dai giorni brillanti in cui Julio Antonio Mella creò la FEU (Federazione Studentesca Universitaria), e con Baliño, compagno di José Martí nella sua lotta per l’indipendenza, fondò il primo Partito Comunista di Cuba.
Il governo corrotto di Grau San Martín era caotico, irresponsabile, cinico. Gli interessava controllare l’università e gli scarsi istituti pubblici dove si frequentava il liceo. Il suo strumento fondamentale non era la repressione, ma la corruzione. L’università dipendeva dai fondi dello Stato.
Un soggetto senza scrupoli fu nominato ministro d’Educazione.
Molti milioni di dollari furono malversati. Niente di simile ad programma d’alfabetizzazione venne realizzato.
La riforma agraria ed altre misure promulgate dalla Costituzione del 1940 passarono al dimenticatoio. Batista se n’era andato dal paese pieno di soldi per risiedere in Florida. Lasciò in Cuba le Forze Armate piene di promozioni e privilegi, ed un numero non disprezzabile di seguaci direttamente beneficiati con incarichi elettorali nel Congresso, nei municipi, e con impieghi nell’apparato burocratico di istituzioni sociali e imprese private.
Peggio di tutto fu la zavorra pseudorivoluzionaria che giunse al potere in Cuba con Grau San Martín. Er gente che in una forma o in un’altra era stata antimachadista e antibatistiana. Si consideravano quindi rivoluzionari. Al peggior gruppo di costoro affidarono incarichi importanti nella polizia repressiva, come il Burò d’Investigazioni, la Segreta, la Motorizzata ed altri corpi di questa istituzione. Si mantennero i tribunali d’ urgenza, con la facoltà d’arrestare un cittadino senza diritto alcuno alla libertà provvisoria. Insomma, tutto l’apparato repressivo di Batista rimase inalterato.
Con distinti nomi sorsero varie organizzazioni formate da persone che avevano avuto relazioni con Guiteras ed altri prestigiosi leader della lotta contro Machado e Batista.
Nelle fila di quella pseudorivoluzione c’erano persone serie e coraggiose, considerate in sè come rivoluzionarie, un’idea ed un titolo che sempre, in Cuba attrassero i giovani.
Gli organi della stampa assegnavano loro con tutto il rigore questo qualificativo, quando in realtà quella che era trascorsa era una drammatica tappa della rivoluzione frustrata. Non c’era un programma sociale serio, e tanto meno un obiettivo che portassero all’ indipendenza del paese. Il solo programma veramente rivoluzionario e antimperialista era quello del partito fondato da Mella e Baliño, e poi guidato da Rubén Martínez Villena. Quel giovane e coraggioso leader, pieno di passione, proclamò in un poema: "Ci vorrebbe una bomba per ammazzare i birboni, per terminare l’opera delle rivoluzioni ". Ma il Partito Comunista di Cuba era isolato.
Tra le molte migliaia di studenti dell’università che conobbi, il numero degli antimperialisti coscienti e comunisti militanti non superava i 50 o 60, del totale degli iscritti, che erano circa 12000. Io stesso, un entusiasta delle proteste contro quel governo, mi sentivo spinto da altri valori che compresi più avanti e che erano ancora distanti dalla coscienza rivoluzionaria che acquisii dopo.
Erano migliaia gli studenti che condannavano la corruzione regnante, gli abusi di potere ed i mali della società. Pochi appartenevano all’alta borghesia. Tutte le volte che si presentò la necessità di uscire per le strade, non ebbero timore a farlo.
La nostra università aveva relazioni con gli esiliati dominicani in lotta contro Trujillo, con i quali se solidarizzava pienamente. Anche i portoricani che domandavano l’ indipendenza, guidati da Pedro Albizu Campos, contavano sul nostro appoggio. Erano elementi di una coscienza internazionalista presente tra i nostri giovani, e mi riguardavano da vicino perché mi avevano assegnato la presidenza del Comitato Pro Democrazia Dominicana e del Comitato Pro Indipendenza di Puerto Rico.
Una tappa dei miei studi universitari mi aiutò a comprendere quello che vissi lì. Quando iniziai il secondo anno della facoltà, nel 1946, conoscevo molto di più della nostra università e del nostro paese. Nessuno mi dovette invitare a partecipare alle elezioni della facoltà di Diritto. Io stesso persuasi uno studente attivo e intelligente, Baudilio Castellanos, che iniziava i suoi studi, perché si presentasse per la stessa elezione come avevo fatto io l’anno prima. Lo conoscevo bene perché eravamo della stessa zona orientale; lui aveva frequentato il liceo in una scuola diretta da religiosi protestanti. Suo padre era farmacista nel Piccolo paese della centrale (fabbrica di zucchero) Marcané, di proprietà di una multinazionale nordamericana, a quattro chilometri da casa mia, a Birán.
Selezionammo tra gli studenti del primo corso i più attivi ed entusiasti per integrare la candidatura. Contava con l’appoggio totale del secondo corso, dove gli avversari non riuscirono nemmeno a riunire gli alunni sufficienti per formare una candidatura contro di me. Applicammo la stessa linea dell’anno precedente e nelle elezioni la nostra tendenza ottenne una schiacciante vittoria. Contavamo già cu un’ampia maggioranza tra gli studenti della facoltà di Diritto, e fu possibile decidere chi sarebbe stato il presidente degli studenti della facoltà, una delle più numerose dell’Università de L’Avana. Quelli del quinto e ultimo anno non erano molti, quelli del quarto corrispondevano all’anno in cui il liceo era passato da quattro a cinque anni ed erano pochi davvero quelli che si erano iscritti in quel corso. Non avevamo la maggioranza dei delegati, ma avevamo l’ immensa maggioranza degli studenti.
I quel periodo entrammo in contatto con il Partito Ortodosso ed anche con i militanti della Gioventù Comunista, come Raúl Valdés Vivó, Alfredo Guevara ed altri. Conobbi Flavio Bravo, una persona intelligente e capace, che dirigeva la Gioventù Comunista di Cuba.
Riuscì a lasciare le cose com’erano e ad aspettare un altro anno. Alla fine le mie relazioni con i delegati dei corsi superiori non erano cattive, e loro erano politicamente neutri.
Però furono forti in me lo spirito di competizione e forse l’autosufficienza con la vanità che accompagnavano molti giovani, anche nella nostra epoca.
Questo non significava che io avrei avuto una nuova opportunità per aspettare un terzo corso normale. Gli impegni presi mi condussero per altri cammini. Ma prima devo segnalare che corsi i maggiori pericoli di perdere la vita con appena 20 anni e senza benefici per la causa veramente nobile che scopersi dopo.
Di fatto , le nostre attività e le nostre forze richiamarono prematuramente l’attenzione dei padroni dell’unica università del paese. Il nostro alto centro di studi aveva acquisito una speciale importanza per le sue radici storiche e il suo ruolo dentro la repubblica diminuita, nata dall’imposizione del Emendamento Platt alla nazione cubana, quando si liberò dalla Spagna. Si stava decidendo la nuova presidenza della Federazione degli Studenti Universitari, dato che il presidente era passato ad occupare un alto incarico nel governo di Grau.
Dato il mio carattere ribelle, affrontai il poderoso gruppo che controllava l’università. Così passarono i giorni, in realtà settimane, senza altra compagnia che la solidarietà dei miei compagni del primo e secondo corso della facoltà di Diritto. Ci furono occasioni in cui uscii dall’università scortati da gruppi di studenti che si stringevano attorno a me. Ma io, nonostante tutto quello, andavo a lezione tutti i giorni ed anche alle attività, sino a che un giorno dichiararono che non mi era più permesso entrare.
Ho raccontato alcune volte che il giorno dopo, una domenica, andai in spiaggia con la mia ragazza e, sdraiato a pancia in giù, piansi perché ero deciso a sfidare quella proibizione e comprendevo che cosa significava.
Sapevo che il nemico era arrivato al limite della sua tolleranza.
Nella mia mente donchisciottesca non entrava altra alternativa che sfidare la minaccia.
Potevo ottenere un’arma, e l’avrei portata con me.
Un amico militante del Partito Ortodosso, che convoy perché gli piacevano gli sport e visitava con frequenza l’università, mi raccontò le esperienze degli scontri con le dittature di Machado e Batista, e conversava molto con me; conosceva le nostre lotte ed aveva tutte le notizie sulla situazione creata e sulla mia decisione, per cui mosse cielo e terra per evitare il peggio.
Dopo tutto questo avvennero gli innumerevoli fatti che ho narrato in distinte opportunità e non desidero aggiungere a quello che espongo qui già abbastanza esteso ma sento la necessità di esprimere che da allora fui deciso a tutto e impugnai un’arma. Le esperienze della mia vita universitaria mi servirono nella lunga e difficile lotta che avrei intrapreso dopo come martiano e rivoluzionario cubano.Il mio pensiero maturò in modo accelerato appena tre anni dopo la mia laurea assaltavo con i miei compagni la seconda piazza militare del paese. Fu il reinizio dell'insurrezione armata del popolo di cuba per la piena indipendenza e per la repubblica di giustizia sognata dal nostro Eroe Nazionale José Martí.
Dopo il trionfo del 1º gennaio, noti e instancabili storiografi, capeggiati da Pedro Álvarez Tabío, e grazie all’iniziativa di Celia Sánchez, che fu presente e realizzò importanti missioni nella difesa di quel baluardo rivoluzionario, percorsero ogni angolo della Sierra Maestra dove si svilupparono i fatti, e raccolsero le informazioni fresche dalle persone in ogni casa ed ogni luogo dove eravamo stati, archiviando dati senza i quali nessuno, e ovviamente nemmeno io, potrebbe responsabilizzarsi con tutti i dettagli che danno totale autenticità a quello che qui espongo.
D’altra parte solo qualcuno che fu conduttore e capo di quelle forze di combattenti inesperti potrebbe responsabilizzarsi con una storia rigorosa dei fatti di 74 giorni di combattimento, nei quali disperatamente i rivoluzionari riuscimmo a disgregare i piani delle Forze Armate d’allora, addestrate ed equipaggiate dagli Stati Uniti, e trasformammo l’impossibile in possibile. Non esiste altra forma d’onorare quei caduti in quelle gesta.
Di una guerra così non esistevano precedenti nella nostra Patria.
Le lotte gloriose per l’indipendenza si erano concluse mezzo secolo prima; le armi, le comunicazioni erano tutte molto differenti nella nostra epoca; non esistevano i carri cingolati, gli aerei, le bombe da 500 chili di TNT. Fu necessario cominciare da zero.
Disponevo già da quando mi laureai di un concetto marxista-leninista della nostra società e di una convinzione profonda della giustizia.
Dell’eccellente prosa dello storiografo Álvarez Tabío ho raccolto il meglio ed ho eliminato quel che non era necessario. Il cartografo Otto Hernández Garcini, esperti militari e disegnatori hanno elaborato le mappe che questo libro contiene, dove quei piani si riferivano per l’analisi del tema dei professionisti delle armi. Mancherebbe ancora la spiegazione di come dopo l’ultima offensiva nemica che spezzò la spina dorsale della tirannia, come disse il Che, dalla Sierra Maestra portammo al piano le nostre concezioni di lotta ed in soli cinque mesi sconfiggemmo la forza totale di 100000 uomini armati, che difendevano il regime, e c’impadronimmo di tutte le armi.
Questo libro, La Vittoria Strategica, è il preambolo di quest’altro, ancora non scritto, sulla rapida e forte controffensiva ribelle che ci portò alle porte di Santiago di Cuba e al trionfo definitivo.
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La situazione generale del paese e della lotta rivoluzionaria nel maggio del 1958 |
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Fidel Castro www.granma.cu
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Capitolo
1º -
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La grande offensiva nemica contro il Primo Fronte dell’Esercito Ribelle sulla Sierra Maestra fu lo sforzo organizzato più ambizioso e meglio preparato delle Forze Armate del regime di Fulgencio Batista per sconfiggere l’Esercito Ribelle.
Si svolse quando era già trascorso un anno e mezzo di guerra rivoluzionaria nelle montagne della Sierra Maestra. Sarebbe conveniente iniziare questo relazione con un rapido esame della situazione generale del paese nel maggio del 1958, per comprendere meglio il contesto in cui si sviluppò la grande operazione che l’Esercito della tirannia considerava definitiva e finale.
Fidel e il Che sulla Sierra Maestra.
Al di fuori dell’ambito specifico della Sierra Maestra, nel primo anno di guerra si era prodotto nel paese un marcato incremento del clima d’insurrezione.
Durante i primi mesi del 1957, mentre si consolidava la nostra guerriglia sulle montagna, avvenne un dinamico processo di riorganizzazione dell’apparato clandestino del Movimento 26 di luglio nelle città e di rafforzamento della sua azione, grazie allo stimolo dell’attività di Frank País, che era, a Santiago di Cuba, il responsabile nazionale
dell’azione del Movimento in quel periodo e, di fatto, come suo dirigente clandestino dopo gli arresti di Faustino Pérez e Armando Hart, in marzo e aprile, rispettivamente.
In quel lavoro di Frank furono notevoli i suoi risultati nel riorientamento dei gruppi d’azione del Movimento, nell’organizzazione della lotta nel settore operaio e nella strutturazione della resistenza civica. Una delle priorità dell’attività di Frank durante le ultime settimane della sua vita fu l’impulso dato alla sezione operaia del Movimento, che, nel nostro concetto rivoluzionario, quando avvenne l’attacco alla Moncada, doveva essere la stoccata finale contro la tirannia, dopo il sollevamento e la distribuzione di armi nella città di Santiago di Cuba. La guerra nelle montagne era l’alternativa se il richiamo allo sciopero non avesse avuto successo.
Uno dei colpi maggiori per il Movimento e per la lotta rivoluzionaria in Cuba avvenne nel primo anno di guerra, il 30 luglio del 1957, quando Frank País fu catturato a Santiago e assassinato nella strada. La morte di Frank provocò una reazione popolare spontanea di tale importanza che la città restò virtualmente paralizzata per vari giorni. Il funerale del giovane combattente si trasformò nella manifestazione di ribellione più grande della storia santiaghera sino a quel momento, ed in un’espressione eloquente della condanna generale contro il regime e del sentimento di ribellione della popolazione di Santiago. Quello che avvenne in quel giorno dimostrò che quella città di grande tradizione patriottica si sarebbe sollevata se il 26 di luglio del 1953 avessimo occupato la caserma Moncada.
Un altro fatto che commosse l’opinione pubblica nazionale e scosse fortemente il regime tirannico fu il sollevamento del 5 settembre del 1957 della dotazione navale di Cienfuegos, con la direzione del nostro Movimento. I ribelli riuscirono a dominare la Base Navale di Cayo Loco e, con la partecipazione delle milizie del Movimento 26 di Luglio e di numerosi cittadini disposti a lottare con le armi distribuite al popolo, cominciarono a combattere in distinti punti della città. Durante tutta quella giornata e per gran parte della notte, si lottò per le strade di Cienfuegos, sino a che, vinti gli ultimi fuochi di resistenza popolare grazie ai poderosi rinforzi inviati da Santa Clara, Matanzas, Camagüey e L’Avana, la città si svegliò il giorno 6 di nuovo nelle mani del nemico.
Alla metà di luglio del 1957, dopo il sanguinoso Combattimento di Uvero, dove ci impossessammo di un gran numero di armi, decidemmo di creare la Colonna 4, comandata da Ernesto Guevara. Il Che si era distinto in quella dura battaglia. Era il capitano medico dei partecipanti alla spedizione. Con una piccola scorta curò ed prestò assistenza ai nostri feriti. Fu il primo ufficiale nominato Comandante.
Il fallimento del primo tentativo di offensiva generale contro l’incipiente Esercito Ribelle creò uno stato di frustrazione nei comandi militari della tirannia, e la conseguenza immediata fu la recrudescenza della più spietata repressione contro la popolazione contadina della Sierra Maestra.
Nel febbraio del 1958, l’Esercito Ribelle era nelle condizioni di passare ad una tappa superiore di sviluppo ed anche ad un nuovo periodo nella guerra, considerando l’esperienza e le conoscenze acquisite.
Nei primi giorni di marzo del 1958 partirono da La Mesa, nella Sierra Maestra, due nuove colonne ribelli designate con i numeri 6 e 3, comandate da due nuovi comandanti, Raúl Castro Ruz e Juan Almeida Bosque, tutti e due combattenti della Moncada e membri della spedizione del Granma, recentemente promossi. Uno aveva la missione di creare il Secondo Fronte Orientale Frank País, e l’altro, il Terzo Fronte Mario Muñoz Monroy, nelle prossimità di Santiago di Cuba. Insieme contavano su circa 100 combattenti della Colunna 1, buoni plotoni e squadre, e buone armi. L’Esercito Ribelle cresceva in uomini, esperienza e qualità.
Come l’Araba Fenice era resuscitato dalle sue ceneri.
Durante i mesi di febbraio e marzo del 1958, mi trovai nella necessità di dedicare attenzione ad un flusso crescente di giornalisti, cubani e stranieri, giunti sulla Sierra. La nostra lotta sulle montagne in Oriente era già motivo d’interesse nel mondo. Tra i visitatori ricevuti, l’ argentino Jorge Ricardo Masetti, poi autore di un bel libro sulla nostra lotta; l’ecuadoriano Ricardo Bastidas, assassinato dai corpi di repressione della tirannia batistiana; il messicano Manuel Camín e l’uruguaiano Carlos María Gutiérrez, che pubblicarono buoni reportage nella stampa dei loro paesi; lo spagnolo Enrique Meneses, autore di alcune delle fotografie emblematiche della lotta nella Sierra; i nordamericani Homer Bigart, Ray Brennan e altri.
Nella stessa epoca trascorse varie settimane tra i nostri combattenti il giornalista e cameraman Eduardo Hernández, molto conosciuto in Cuba per il suo soprannome di Guayo, che fu il primo cubano che filmò scene della nostra lotta.
Durante i mesi iniziali del 1958, mentre si consolidava la lotta guerrigliera ed avveniva un cambio qualitativo della guerra, si manteneva in ascesa il clima insurrezionale nel resto del paese. Il decisivo stimolo apportato dalle sostenute vittorie dei ribelli, il progressivo rafforzamento dei meccanismi organizzativi e funzionali dell’apparato clandestino del Movimento 26 di Luglio, la partecipazione alla lotta contro la tirannia di settori sempre più ampli della popolazione in tutto il paese e la scalata della brutalità repressiva del regime, contribuivano a creare condizioni molto propizie per lo sviluppo dello scontro popolare in tutte le sue modalità.
Questa auge della lotta popolare creò, nella direzione del Movimento nel piano, l’apprezzamento che le condizioni erano favorevoli nel paese per scatenare uno sciopero generale rivoluzionario, che era stato sempre, come ho spiegato, l’obiettivo strategico finale per ottenere la caduta della tirannia. Nel dicembre del 1958, con 3000 combattenti vittoriosi e il richiamo allo sciopero generale rivoluzionario, frustrammo tutte le manovre controrivoluzionarie, e controllammo le 100000 arme in potere delle forze armate al servizio del regime nelle 72 ore.
Non è mia intenzione in queste pagine fare in un esame dettagliato del processo che condusse allo sciopero del 9 aprile del 1958, delle discussioni sostenute nel seno della direzione nazionale del Movimento, includendo la riunione di El Naranjo, nella Sierra Maestra, nei primi giorni di marzo del 1958, nè delle cause che motivarono il fallimento del tentativo di sciopero, nonostante le azioni eroiche avvenute in quei giorni in molte località del paese. Quello che m’interessa segnalare qui sono due questioni.
Primo, il fallimento dello sciopero generale del 9 aprile costituì un duro colpo per il Movimento clandestino nel piano, che durante le settimane successive si vide obbligato a riorganizzare le sue forze. Dalla Sierra Maestra io spiegai, attraverso Radio Rebelde, le lezioni del fallimento e proclamai il mio ottimismo sulle prospettive della lotta contro la tirannia: "Si è persa una battaglia, ma non abbiamo perso la guerra".
Devo segnalare che dentro il Movimento 26 di Luglio, la sua direzione nella clandestinità, non aveva mai considerato lo sviluppo di una forza militare capace di sconfiggere le Forze Armate di Cuba. Era naturale, in quella tappa, che non pochi dei nostri quadri non vedessero nel piccolo esercito una forza capace di vincere l’Esercito di Batista. Lo credevano capace di generare un movimento rivoluzionario nel seno dell’esercito professionista che, unito al 26 di Luglio e sotto la sua direzione, avrebbe fatto cadere Batista e aprendo le porte ad una rivoluzione. Noi lottavamo per creare le condizioni per una vera rivoluzione, con la partecipazione, inoltre, dei militari onesti disposti ad incorporarvisi. In qualsiasi circostanza eravamo partitari di creare una forte avanguardia armata.
Sul Granma non avevamo nemmeno il 5% delle armi automatiche che consideravamo necessarie per una lotta vincente, ricorrevamo per quello ai fucili di precisione e ad altre armi acquisibili per sconfiggere le forze degli istituti militari al servizio di Batista. Comunque fosse, fummo obbligati a partire da zero, dopo l’attacco a sorpresa del nemico ad Alegría de Pío. Il nostro progetto aveva ricevuto di nuovo un duro colpo. Non potevamo esigere dagli altri che credessero in una nostra vittoria militare, prima dovevamo dimostrarla. Oggi non h oil minimo Gubbio che senza la vittoria dell’Esercito Ribelle, la Rivoluzione non avrebbe potuto sostenersi.
L’esperienza del frustrato tentativo di sciopero portò come risultato la revisione a fondo dei concetti organizzativi e di lotta nel seno del Movimento 26 di Luglio, che furono plasmati in un insieme di decisioni politiche e organizzative prese nella riunione della Direzione nazionale del Movimento, effettuata il 5 maggio del 1958 a Mompié, nel cuore del territorio del Primo Fronte sulla Sierra Maestra. Quelle decisioni contribuirono ad una crescita dell’azione insurrezionale ad un piano superiore, includendo, la conquista definitiva dell’unità tra le diverse forze rivoluzionarie.
Secondo, il fallimento dello sciopero d’aprile stimolò la tirannia ad accelerare i piani della grande offensiva che stava preparando contro l’Esercito Ribelle, ed in particolare contro il territorio del Primo Fronte, dopo la sconfitta della campagna d’inverno. Ci sono prove che i comandi militari della tirannia considerarono propizio il momento pera lanciare la loro grande offensiva, partendo dalla presunta demoralizzazione che, loro consideravano si era diffusa tra di noi dopo il rovescio del 9 aprile.
Questa era la situazione sulla Sierra Maestra e nel paese, nel maggio del 1958, quando si scatenò la grande offensiva che il nemico considerava come la battaglia definitiva che avrebbe liquidato una volta per tutte la minaccia ribelle.
Sfortunatamente, esistono pochissimi documenti sui piani delle operazioni dell’Esercito batistiano per distruggere il piccolo Esercito Ribelle, quando questi cominciò a dare nuovamente segnali di vita, dopo una seconda liquidazione, quella volta nelle zone alte di Espinosa, quando un piccolo gruppo di 24 uomini fu sul punto d’essere totalmente liquidato con tutti i suoi futuri comandanti: Raúl, capo del Secondo Fronte Orientale; il Che, capo del fronte a est del Turquino e della Colonna degli Invasori Ciro Redondo; Camilo Cienfuegos, capo dell’avanguardia della nostra colonna; Efigenio Ameijeiras, della retroguardia della stessa che, diretti da me, con il resto dei membri della spedizione del Granma, assestammo i primi colpi al nemico, provocando numerosi morti e feriti tra i paracadutisti di Mosquera e tra le truppe di Casillas, senza perdere un solo uomo. Con me, nelle alture di Espinosa, il nemico fu al punto d’eliminarci tutti per il tradimento di Eutimio Guerra.
Lo sviluppo della grande offensiva nemica dell’estate del 1958 contro il Primo Fronte della Sierra Maestra ed il suo contrasto da parte dell’Esercito Ribelle, che offriamo in questo volume, non s’intenderebbe pienamente senza un’informazione previa, anche se breve, delle fondamenta della pianificazione di questa offensiva, realizzata dai comandi militari della tirannia.
Il 27 febbraio del 1958, il tenente colonnello Carlos San Martín, capo della Sezione delle Operazioni dello Stato Maggiore dell’Esercito, presentò ai suoi superiori un memorandum classificato come "Molto Segreto" ed intitolato "Piano F-F (Fase Finale o Fine di Fidel)". Questo documento era relazionato con il piano delle operazioni per la grande offensiva nemica dell’estate del 1958, con il "Visto Buono" del direttore delle Operazioni, maggiore generale Martín Díaz Tamayo, e del capo dello Stato Maggiore dell’Esercito, tenente generale Pedro A. Rodríguez Ávila.
Dopo i combattimenti di Mar Verde, del 29 novembre, dove morì Ciro Redondo, e nelle alture di Conrado, l’8 dicembre, sostenuto dalla colonna del Che contro le forze dell’allora comandante Ángel Sánchez Mosquera, e l’occupazione della base permanente della Colonna 4, agli ordini del Che a El Hombrito, la penetrazione nel territorio ribelle per il fronte orientale perse l’impulso. Sánchez Mosquera fu obbligato a realizzare una ritirata attraverso le falde del Turquino, verso Ocujal. Nel fronte occidentale della Sierra, una compagnia nemica guidata dal comandante Merob Sosa, un altro spietato assassino, cadde in un’imboscata e fu disarticolata nelle vicinanze di Mota, il 20 novembre, da un plotone della Colonna 1, diretto da Ciro Frías. Altre truppe fresche, agli ordini del comandante Antonio Suárez Fowler, furono sconfitte a Gabiro in quella stessa giornata da altri plotoni comandati da Efigenio Ameijeiras, Juan Soto, che morì in questo combattimento, ed altri capitani ribelli della Colonna 1. Le forze della nostra colonna in quei giorni non superavano i 140 uomini con armi da guerra.
Nell’Uvero
I cinque battaglioni di fanteria e varie compagnie indipendenti si scontrarono contro una resistenza molto più organizzata e solida di quella che il nemico si aspettava, alla fine del 1957. Nel giugno di quell’anno, Frank País aveva inviato un contingente di giovani combattenti del Movimento 26 di Luglio, agli ordini di Jorge Sotús, per rafforzare il piccolo gruppo di 30 uomini sopravvissuto e colpito dalle truppe batistiane
che, al comando dei paracadutisti e di Casillas, ci perseguitavano con accanimento. Allora combattevamo con le armi raccolte dal futuro comandante Guillermo García, il primo contadino sommato ai sopravvissuti della spedizione del Granma, dopo l’attacco a sorpresa di Alegría de Pío che praticamente aveva liquidato, in brevissimo tempo, la nostra forza, quella che ci era costata in organizzazione, addestramento e armi per più di due anni.
Dopo l’attacco frustrato al Palazzo Presidenziale del Directorio Revolucionario, e dopo la morte del suo capo, José Antonio Echeverría, le armi usate in quella azione furono inviate a Santiago di Cuba da Manuel Piñeiro. Frank ne usò una parte per amare la Colonna 1, e con quelle si sostenne il sanguinoso Combattimento di Uvero.
Schizzo dell’Assalto alla Caserma dell’Uvero, il 28 maggio del 1957.
I primi mesi del 1958 costituirono il periodo d’estensione e approfondimento della lotta guerrigliera nelle pianure del Cauto, con l’arrivo in questa zona di una piccola colonna comandata del capitano Camilo Cienfuegos, appena promosso comandante. Fu quando preparammo e lanciammo il secondo attacco all’ accampamento nemico a Pino del Agua, la prima azione di grande importanza comeoperazione del nostro Esercito Ribelle; inoltre in quel periodo creammo le Colonne 6 e 3, guidate dai comandanti Raúl Castro Ruz e Juan Almeida, rispettivamente, participanti all’attacco alla caserma Moncada del 26 di luglio del 1953 a Santiago di Cuba, ed estendemmo la guerra a est della Sierra Maestra e tra le montagne a nordest dell’antica provincia orientale.
Il 21 marzo del 1958 si svolse una conferenza dello Stato Maggiore per discutere i piani futuri delle operazioni. La riunione durò quattro ore, con la partecipazione di tutti i capoccia militari del regime, tra i quali il generale Francisco Tabernilla Dolz, capo di Stato Maggiore Congiunto; del tenente generale Pedro A. Rodríguez Ávila, capo dello Stato Maggiore dell’Esercito; del maggiore generale Eulogio Cantillo Porras, capo in quel momento della Divisione di Fanteria, che, era già stato deciso, sarebbe stato il capo della zona di operazioni in vista della prossima offensiva, ed il colonnello Manuel Ugalde Carrillo, capo sino a quel momento della zona d’operazioni.
Il colonnello Ugalde Carrillo propose di creare nuovi battaglioni di combattimento contro la guerriglia, integrati ognuno da due compagnie di fucilieri, rafforzati con armi pesanti. Ognuno di questi battaglioni doveva contare su un totale di 186 uomini e su due mortai da 60 millimetri; due bazooka da 4,2 pollici; due mitragliatrici calibro 30; 12 fucili automatici; 48 carabine e 114 fucili, che avrebbero assicurato un considerevole potere di fuoco. La nuova offensiva poteva cominciare immediatamente dopo il termine del raccolto delle canne da zucchero e l’esecuzione del precedente piano di ostilità contro le nostre forze.
La proposta del capo della zona di operazioni fu respinta. Lo Stato Maggiore dell’Esercito elaborò un piano nel quale era prevista anche la creazione di nove battaglioni, ma, in questo caso, integrati da tre compagnie ognuno, e con una composizione differente. Quindici delle 27 compagnie richieste sarebbero state uguali a quelle già esistenti nella zona delle operazioni, la cui integrità si sarebbe mantenuta. Le altre 12 sarebbero state compagnie di fucilieri di 85 uomini ognuna, composte da reclute.
In principio, i battaglioni ai quali assegnare le missioni più importanti sarebbero state costituite da una delle compagnie rafforzate della Divisione di Fanteria e due delle nuove compagnie di fucilieri, per un totale approssimato di 360 uomini per battaglione, cioè, il doppio delle proposte di Ugalde Carrillo. La consistenza di questa cifra sicuramente era più tranquillizzante per gli strateghi dello Stato Maggiore. D’altra parte, dotando una delle compagnie con armi pesanti, si credeva d’aver trovato una soluzione che, anche se sacrificava la mobilità, garantiva un colpo più solido.
In definitiva, quello schema d’organizzazione fu realizzato in linee generali. La sola cosa che variò fu la quantità totale degli uomini. La cifra considerata necessaria per l’offensiva crebbe tra i mesi di febbraio e maggio, in una vera spirale, in quanto al volume.
Quelli che frequentavano scuole avrebbero terminato la loro preparazione a scalare tra la metà di marzo e quella di giugno. Non si poteva contare con il personale necessario per l’ offensiva, al meno sino alla seconda quindicina d’aprile.
A quelle circostanze si unì un "regalo" della direzione nazionale del Movimento 26 de Luglio: il fallimento dello sciopero rivoluzionario, che costò molte vite di combattenti eroici. La tirannia considerò giunto il momento psicologico opportuno per dare la botta finale nelle montagne dell’Oriente. Partivano dalla supposizione che, con il fallimento delle azioni relazionate allo sciopero, si sarebbe creato un ambiente di sconfitta e demoralizzazione tra le fila dei ribelli. Non conoscevano la tempra del nostro piccolo esercito nè l’abito di rinascere dalla sua cenere.
Nel più recente piano tuttavia si manteneva la formula d’organizzare e addestrare le nuove unità fuori dalla zona delle operazioni e trasferirle là all’ultimo momento per utilizzare al massimo il presunto fattore sorpresa.
Ma ai primi giorni di marzo, il comando della zona d’ operazioni considerava insufficiente la sua stessa domanda di nove battaglioni da combattimento per l’offensiva. La cifra richiesta era stata elevata a 13, senza contare un altro battaglione di fanteria della marina richiesta alla Marina di Guerra, e le forze degli squadroni della Guardia Rurale, tra le altre anche presenti nella zona delle operazioni.
Il capo dello Stato Maggiore si riferì alla Colonna 6, comandata da Raúl, che già in quella data aveva stabilito il Secondo Fronte, affermando che costituiva "una minaccia grave per la retroguardia".
Il 25 di quel mese di marzo del 1958? si ordinò l’arruolamento di altri 4000 cittadini come soldati della Riserva Militare, che dovevano completare le cifre ed essere disponibili per qualsiasi eventualità.
L’alto comando prese la decisione d’incorporare alle sue forze della zona d’operazioni, prevedendo la progettata offensiva, nuovi contingenti provenienti da distinti comandi militari, la cui partecipazione non era stata prevista in un inizio. Così entrarono a formar parte della pianificazione cinque nuove compagnie della Divisione di Fanteria, una del Reggimento d’Artiglieria, due del Corpo dei Genieri, due della Forza Aerea dell’ Esercito, una della Scuola dei Cadetti e nove dei differenti reggimenti della Guardia Rurale, per un totale di 20 unità. Nelle settimane successive si sarebbero aggregate compagnie, sino a raggiungere il gran totale di 55 unità che avrebbero partecipato nella zona delle operazioni per tutto lo sviluppo dell’offensiva. La maggior parte di queste nuove compagnie erano formate, indistintamente, da soldati di relativa anzianità e da reclute, in proporzione variabile secondo il caso.
Il 25 maggio, primo giorno dell’offensiva, il nemico contava già con non meno di 7000 uomini disponibili per l’esecuzione diretta del piano di operazioni, e giunse a mobilitare, in totale, circa 10000 uomini.
Per combattere il torrente di soldati che ci veniva contro, il Primo Fronte della Sierra Maestra era riuscito a riunire per la data circa 220 uomini con armi da guerra, includendo il personale della colonna del Che, organizzato in plotoni e squadre, molte tra queste con capi nuovi, senza grande esperienza, ma con un’eccellente disposizione ed un gran rispetto. Altre piccole unità della Colonna 3 del comandante Juan Almeida, comandate da Guillermo García, si stavano già incorporando alla difesa, e circa 40 uomini dell’intrepida truppa di Camilo, i primi combattenti del piano, marciavano verso la Sierra Maestra.
Insieme saremmo stati circa 300. Questo libro contiene la narrazione sintetica ed assolutamente fedele di quello che avvenne.
- Capitolo 2º -
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