|
|
Vedere Cuba come la volle José Martí |
|
01.10.10 - Margarita Barrio www.granma.cu (jr)
|
|
Era il 30 settembre del 1930. Gli studenti avevano pensato di marciare verso la casa di Enrique José Varona per consegnargli il manifesto della gioventù cubana contro la tirannia di Gerardo Machado.
Quando lo seppe, il tiranno ebbe paura e dalla notte precedente si trincerò con tutta la polizia, la guarnizione del Castello della Forza e due squadroni del Terzo Tattico, che occupavano le strade 27, San Lázaro e Neptuno, tutte nei pressi dell’Università.
I leader del Direttivo Studentesco Universitario (DSU), organizzatori della manifestazione, lanciarono quindi una nuova consegna: “Al Parco Alfaro”.
Alcuni dei partecipanti a quei fatti ricordano che ai giovani si erano aggiunte persone del popolo, e l’obiettivo era di arrivare al Palazzo Presidenziale per chiedere le dimissioni del tiranno.
Prima di arrivare in via Infanta, la polizia li attaccò. Un leader della DEU salì su un camion parcheggiato e gridò: “La dignità ci ordina di continuare a marciare”. Da un edificio in costruzione, alcuni giovani lanciavano mattoni ed altri materiali contro i poliziotti.
Chiesero a un veterano mambí, che marciava nella avanguardia con una trombetta sotto il braccio: “Suona qualcosa”…”Cosa suono?” chiese “Suona l’attacco”. Qualcuno allora spiegò una bandiera cubana e la massa continuò ad avanzare in aperta sfida ai corpi di repressione.
Si creò uno scontro corpo a corpo. Lo scrittore Pablo de la Torriente Brau fu circondato da vari soldati e lasciato fuori dal combattimento a bastonate. Il professore Juan Marinello cercò di aiutarlo e lo arrestarono. Nel frattempo, Rafael Trejo si scontrò con un poliziotto, che tirò fuori la pistola e gli sparò. Juan cadde al suolo.
Pablo raccontò l’avvenuto nel Pronto Soccorso: “Dopo le prime cure, cominciai a vomitare sangue. Nel letto affianco Trejo, tranquillo, mi sorrise con affetto per darmi il coraggio di superare quel momento.
“Gli occhi mi si offuscarono, e quando mi ripresi, lo avevano già portato in sala operatoria. Io ascoltai i medici mentre parlavano “Questo può salarsi” segnalando me, ma quando si riferirono a Trejo dissero: “Quest’altro non ce la farà”.
“I calmanti mi fecero dormire profondamente. Al mattino successivo il grande silenzio dell’ospedale mi riportò alla realtà e domandai solamente “A che ora è morto?”
Nel novembre del 1930, nella Rivista Alma Máter Pablo scrisse: “Cade Trejo nelle strade dell’Avana. Cade no. Si rialza più alto che un’immensa statua e dall’altezza del granito, forgiato dal suo valore e dalla codardia dei suoi assassini, lancia un potente grido che sveglia tutte le coscienze addormentate: abbasso la tirannia e l’oppressione!”
L’esempio
Ogni 30 settembre Cuba ricorda Rafael Trejo. In speciale gli studenti universitari rendono omaggio al giovane che cadde combattendo contro la dittatura di Gerardo Machado.
Nacque il 9 settembre del 1910 a San Antonio de los Baños dove sua madre era maestra, e suo padre, lavoratore del tabacco divenuto studente di Diritto, era funzionario municipale.
Nel 1919 si trasferì alla capitale, studiò nel Collegio Belén e nell’Istituto dell’Avana, con grande profitto.
Raúl Roa, il Ministro degli Esteri della dignità, ricordava che il giorno i poveri e i perseguiti. La mia toga sarà sempre al servizio della giustizia. Aspiro anche ad essere utile a Cuba. Sono disposto a sacrificare tutto per vederla come la volle Martí”.
Secondo la nota rivoluzionaria María Luisa Laffita, che lo conobbe in quei giorni, Trejo “aveva i capelli e gli occhi neri, un timbro di voce gradevole, come di baritono. Simpatico, maschile, attraente, si guadagnava facilmente la simpatia, aveva molti amici. Era un grande sportivo, nuotava benissimo e si mise in evidenza come rematore.
Giocava bene a scacchi, avido lettore, Martí e José Ingenieros erano i suoi autori preferiti”.
Rafael Trejo morì all’età di 20 anni. Con la sua morte, il movimento rivoluzionario antimachedista prese una forza incontenibile, che culminò con il rovesciamento di questo regime nel 1933.
|
|