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GIRÓN 50
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L’ostile cospirazione del governo di Washington verso la Rivoluzione Cubana non cominciò nel 1959.
Le ragioni e le radici risalgono al 1805, quando il presidente Thomas Jefferson avvertì il ministro inglese a Washington che "in caso di guerra contro la Spagna, gli Stati Uniti avrebbero occupato Cuba per necessità strategica".
Nel 1823 John Quincy Adams, segretario di Stato del presidente Monroe, scriveva: "È praticamente impossibile resistere alla convinzione che l’annessione di Cuba alla nostra Repubblica federale sarà indispensabile." (1)
E così si disegnò la strategia di aspettare il momento propizio per cogliere la "frutta matura", che fu per il presidente McKinley il 20 maggio del 1902.
Nel dicembre del 1958, la condanna del presidente Eisenhower della lotta guerrigliera era pubblica. Il noto generale non fu estraneo si tentativi del Dipartimento di Stato e della CIA per evitare che Fidel Castro, leader della lotta armata contro la tirannia del generale Fulgencio Batista, completasse la sua vittoriosa campagna ed intraprendesse un programma rivoluzionario dopo aver conquistato il potere politico.
Di fronte all’impetuosa avanzata della guerriglia nelle provincie orientali e centrali, Washington sviluppò il piano di ritirare l’appoggio a Batista, negoziare con un gruppo moderato che neutralizzasse le convinzioni radicali dei rivoluzionari ed instaurasse una giunta civico militare che mantenesse l’ordine stabilito nel 1902 per l’intervento degli Stati Uniti.
Di fronte alla reticenza dell’ambasciatore Earl Smith, che in difesa dei suoi interessi personali si negava di notificare a Batista il "comunicato 292" di Washington, fu incaricato l’impresario William F. Pawley di farlo e di aiutare la CIA ad organizzare un gruppo di riserva per rimpiazzare Batista con elementi moderati dell’opposizione e del governo. Con Pawley lavorarono all’impegno William Wieland, capo del Burò della CIA in Messico e nei Caraibi; Roy Rubotton, segretario di Stato assistente, e James Noel, capo della CIA a L’Avana. I selezionati furono Tony Varona, ex Primo Ministro nel governo di Carlos Prío; Manuel Artime Buesa, ex ufficiale dell’Esercito Ribelle; José Ignacio Rasco, del Movimento democratico-cristiano; Aureliano Sánchez Arango, ex ministro di Prío e Justo Carrillo, del Movimento Montecristi.
Si pretendeva anche d’incorporare altri tipi con cui la CIA già lavorava, come l’ex colonnello Barquín, che era in prigione per aver cospirato contro Batista, ed altri membri del Secondo Fronte dell’Escambray. Quasi tutti parteciparono poi ai piani per l’invasione dalla Baia dei Porci.
Batista non fece caso a Pawley. Ma le manovre dell’ambasciatore degli Stati Uniti per mantenere il potere in Batista mediante un prestanome non prosperarono. Il 17 dicembre, Smith fu obbligato a trasferirsi nella fattoria Kuquine, dove risiedeva Batista, ed ad ammettere che nonostante tutti i suoi sforzi personali per ottenere che fosse sostituto da Andrés Rivero Agüero, candidato che rispondeva al generale, il governo di Washington "temeva che Cuba sarebbe affogata in un bagno di sangue se continuava lui come presidente, ma che se Batista agiva rapidamente, il Dipartimento di Stato credeva che c’erano elementi cubani che avrebbero potuto salvare la deteriorata situazione" (2)
Smith si riferiva al fatto che Washington stava prendendo contatti confidenziali con gli ambasciatori dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), suggerendo che trattassero con i ribelli e facessero pressioni sul lo sconfitto regime, per far sì che il gruppo moderato potesse costituire la progettata giunta di militari e civili. Il decaduto Batista cercò inutilmente d’insister che si poteva fare la giunta, presieduta da Rivero Agüero, perchè era stato "eletto".
Smith gli disse che nel suo ultimo viaggio a Washington, al principio del mese, aveva finito tutte le sue risorse, cercando d’ottenere un appoggio per Rivero. Tutto era stato invano perchè il suo governo era convinto che il generale aveva già perduto il dominio della la situazione e che le guerriglie avanzavano mentre la sua autorità diminuiva.
Di repente, Batista domandò se lo avrebbero lasciato andare negli Stati Uniti, nella sua residenza a Daytona Beach. Smith gli rispose che era meglio se al principio chiedeva asilo in un altro paese come la Spagna. Era liquidato. Il cammino era già pavimentato per la "soluzione nazionale" che sarebbe stata presieduta dal magistrato Manuel Piedra. Ma la determinazione del giovane leader rivoluzionario era ferrea. La giunta preparata per succedere a Batista, denunciata da Radio Rebelde, non ebbe alcuna considerazione : al suo posto, Fidel a Santiago chiamò allo sciopero generale, dopo la su avanzata vittoriosa con Almeida e Raúl dalla Sierra Maestra.
La forza degli invasori ribelli che veniva dalla Sierra, comandata da Che Guevara e Camilo Cienfuegos, come qualal dell’Eroe della Patria Antonio Maceo nel 1895, prendendo Santa Clara precipitò la fuga di Batista e dei suoi più vicini collaboratori, il 31 dicembre. Il Comandante ordinò di andare sino a L’Avana ed occuparla. L’audace passo contò sull’appoggio popolare che significava la paralisi del paese per lo sciopero. La perfetta sincronizzazione impedì al generale Eulogio Cantillo d’impadronirsi del governo mediante un colpo di Stato, appoggiato dall’ambasciata degli Stati Uniti.
Nei primi mesi del 1959 i rivoluzionari vittoriosi cercarono di sviluppare il loro programma senza ostilità verso Washington e senza complicità con il cruento periodo di sette anni di Batista. Ma il colore conservatore del settore guidato dal Presidente Manuel Urrutia e dal Primo Ministro José Miró Cardona nel nuovo governo de L’Avana, stimolato dagli Stati Uniti, tendeva verso l’immobilismo politico, economico e sociale. Nello stesso governo, i rappresentanti del Movimento 26 di Luglio (M-26-7) notificarono a Fidel che con quel gruppo non si poteva avanzare se il leader della Rivoluzione non lo capeggiava.
Il 13 febbraio del 1959, Fidel s’incaricò di guidare il Governo, in sostituzione di Miró Cardona, sino ad allora Primo Ministro, che prontamente abbandonò l’incarico d’ambasciatore negli Stati Uniti che gli era stato affidato e passò agli ordini del vicino del Nord, al quale realmente apparteneva.
(1) United States House. Exec. Doc.,32nd Cong., 1st Sess. 1851-52 Doc. núm 21, pp. 6-7. (2) John Dorschner & Roberto Fabricio. The Winds of December. Coward, McCann & Geoghegan, Nueva York, 1980, pp. 190.
(3) Domanda
del popolo cubano
contro il governo degli
Stati Uniti. Editora
Política 2000, pp.6
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Nixon e la baia dei Porci (II) El finado ex presidente de Estados Unidos Richard M. Nixon es uno de los iniciadores de la guerra contra la Revolución cubana |
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Desde abril de 1959, cuando como vicepresidente recibió a Fidel Castro, el apoyo brindado por Nixon al derrocado dictador Fulgencio Batista —a quien visitó en 1955, dos años después del asalto al Cuartel Moncada—, y sus alianzas con intereses oligárquicos, lo llevaron a demandar tan tempranamente la remoción del joven líder guerrillero. Las medidas adoptadas culminaron con la invasión por la bahía de Cochinos el 17 de abril de 1961. Ambos ex presidentes enfocaron el tema de la Revolución cubana como si fuese un problema nacional en las elecciones de 1960.
Nixon en 1955 en La Habana, haciendo un brindis con el tirano Fulgencio Batista por el mantenimiento de las estrechas relaciones entre los Estados Unidos y Cuba, y junto a ellos el embajador Gardner.
Nixon fue uno de los políticos que utilizó el anticomunismo como forma de sobresalir. Nació en Yorba Linda, en 1913 y con una beca en la Universidad Duke de Carolina del Norte, se licenció en Derecho en 1937 e ingresó en la firma Winger & Bewley, hasta llegar a socio. Al estallar la II Guerra Mundial se alistó en la Marina y después se dedicó por entero a la política. Fue elegido a la Cámara de Representantes sobre Jerry Worheer, a quien acusó de ser un instrumento de Moscú. Entre 1948 y 1949, fue figura principal en la Cámara del Comité de Actividades Antiamericanas del senador Joseph McCarthy, donde se distinguió nacionalmente haciendo condenar a Alger Hiss, antiguo oficial del Departamento de Estado. Así se le designó para participar en el Plan Marshall y evitar el avance del socialismo en Europa occidental. En 1950 lo eligieron senador por California, en 1952 vicepresidente de Eisenhower y presidente de 1968 a 1974, cuando fue obligado a renunciar. Fidel Castro recuerda su histórico encuentro con Nixon: "En fecha tan temprana como el mes de abril de 1959 (el día 19) visité Estados Unidos invitado por el Club de Prensa de Washington. Nixon se dignó recibirme en su oficina particular... No era un militante clandestino del Partido Comunista, como Nixon con su mirada pícara y escudriñadora llegó a pensar. Si algo puedo asegurar, y lo descubrí en la Universidad, es que fui primero comunista utópico y después un socialista radical, en virtud de mis propios análisis y estudios, y dispuesto a luchar con estrategia y táctica adecuadas. "Mi único reparo al hablar con Nixon era la repugnancia a explicar con franqueza mi pensamiento a un vicepresidente y probable futuro Presidente de Estados Unidos, experto en concepciones económicas y métodos imperiales de gobierno en los que hacía rato yo no creía."(1) Años más tarde Granma publicó, en un artículo de Luis Báez, otros pormenores de la reunión con Nixon que Fidel relató en entrevista con periodistas norteamericanos. "Fue una entrevista muy franca por mi parte, porque le expliqué cómo veíamos la situación cubana y las medidas que teníamos intención adoptar. En general, él no discutió, sino que se mostró amistoso y escuchó todo lo que tenía que decirle. Nuestra conversación se limitó a aquello. Tengo entendido que él sacó sus propias conclusiones de aquellas conversaciones. Creo que fue después de aquello cuando comenzaron los planes para la invasión." La reunión con Nixon duró poco más de dos horas y media y el criterio del vicepresidente de Estados Unidos fue desclasificado años después: "en lo concerniente a su visita a Estados Unidos, su interés fundamental no era lograr un cambio en la cuota azucarera ni obtener un préstamo del gobierno, sino ganar el apoyo de la opinión pública estadounidense para su política... Debo reconocer que en esencia apenas encontré en sus argumentos motivos para discrepar. "Con mucho tacto traté de insinuarle a Castro que Muñoz Marín había hecho un magnífico trabajo en Puerto Rico en lo que respecta a atraer capital privado y en general a elevar el nivel de vida de su pueblo, y que Castro muy bien podría enviar a Puerto Rico a uno de sus principales asesores económicos para que conversara con Muñoz Marín. Esta sugerencia no lo entusiasmó mucho y señaló que el pueblo cubano era ‘muy nacionalista’ y sospecharía de cualquier programa iniciado en un país considerado como una ‘colonia’ de los Estados Unidos... Cabe destacar que no hizo ninguna pregunta sobre la cuota azucarera y ni siquiera mencionó específicamente la ayuda económica." "Mi valoración de él como hombre es de cierta forma ambivalente. De lo que sí podemos estar seguros es que posee esas cualidades indefinibles que lo hacen ser líder de los hombres. No debemos considerarlo, ilusoriamente, como un rebelde furibundo al estilo de Bolívar, por lo cual hay que obrar en consecuencia. "Independientemente de lo que pensemos sobre él, será un gran factor en el desarrollo de Cuba y muy posiblemente en los asuntos de América Latina en general. Parece ser sincero, pero o bien es increíblemente ingenuo acerca del comunismo o está bajo la tutela comunista". "Pero como tiene el poder de liderazgo al que me he referido, lo único que pudiéramos hacer es al menos tratar de orientarlo hacia el rumbo correcto."(2) Richard Nixon fue después conocido como Dirty Dick (el tramposo Dick), por la ausencia de escrúpulos de los que hizo gala para conseguir sus objetivos con sucios métodos, como los falsos plomeros que envió para espiar a los candidatos del partido demócrata en el edificio Watergate, encabezados por el oficial de la CIA Howard Hunt, uno de los jefes de la invasión a Cuba en 1961. Ese episodio resultó ser la chispa que incendió su presidencia hasta hacerlo renunciar cuando cumplía su segundo mandato. El Watergate fue un merecido resbalón en la carrera de Nixon. Dirty Dick había ganado la presidencia de Estados Unidos en 1968, en gran parte a consecuencia del asesinato de Robert Kennedy, quien investigaba el magnicidio cometido contra su hermano John en Texas en 1963. Sin embargo, no se ha relacionado ese crimen con Nixon, a pesar de que había sido reportado como presente en Dallas el día del magnicidio del mayor de los Kennedy. Pero sí se le reconoce su responsabilidad por las masacres en Chile, ya que desde la elección de Salvador Allende como presidente, en septiembre de 1970, organizó el complot de la CIA que, aliada al sanguinario general Augusto Pinochet, derrocó al gobierno de la Unidad Popular elegido en las urnas y preparó el camino para extender el terror en toda la América del Sur. Las recomendaciones de Nixon llevaron a que Eisenhower decidiese derrocar a Fidel y que, a solo siete meses de la entrevista en Estados Unidos, en un famoso memorando fechado el 11 de diciembre de 1959, el jefe de lo que poco después se tituló División del Hemisferio Occidental de la CIA, J. C. King, exhortase a: "Analizar minuciosamente la posibilidad de eliminar a Fidel Castro: [... ] Muchas personas bien informadas consideran que la desaparición de Fidel aceleraría grandemente la caída del gobierno... " La bahía de Cochinos fue uno de los resultados.
1 Fidel Castro Ruz:
Reflexiones,Granma, 8 de
julio del 2007 |
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GIRÓN 50 Béisbol y Guerra Fría (IV) |
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18.11.10 - G.Molina www.granma.cubaweb.cu
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Ni siquiera el béisbol escapó a la implacable guerra iniciada por Estados Unidos contra Cuba, desde hace medio siglo.
El equipo cubano ganó el campeonato de la liga Internacional y después se coronó también en la Pequeña Serie Mundial, al vencer al Minneapolis Millers, campeón de la otra liga Triple A, la American Association. Gene Mauch, manager de los Millers, quien aparece entre Fidel y Guerra Matos, desmintió versiones de que jugaron intimidados.
El 26 de julio de 1959, a seis meses del triunfo de las armas, el 6to. aniversario del Asalto al Cuartel Moncada coincidió con un juego de la Liga Internacional, categoría Triple A, entre los Cuban Sugar Kings y Alas Rojas de Rochester. Oleadas de campesinos fueron invitados a la capital para conmemorarlo y Fidel llamó a asistir al de la víspera. El Ejército Rebelde compró 10 000 entradas para los campesinos y soldados. Pero en la euforia de la conmemoración, a las 12 de la noche, algunos dispararon tiros al aire y una bala al descender —se dijo—, rozó a Frank Verdi, del Rochester, coach en tercera base y otra a Leo Cárdenas, torpedero local. Los jueces suspendieron el encuentro. Muchos en Cuba pensaron que la suspensión fue parte de la conjura, pues el gobierno de Eisenhower ya había comenzado a tomar medidas hostiles. Los revolucionarios triunfantes en enero de 1959 habían tratado de llevar a cabo su programa sin hostilidad hacia Washington. Pero el tinte conservador del gobierno presidido por el juez Urrutia tendía a impedir medidas radicales, y en febrero 13 de 1959 Fidel Castro asumió el cargo de Primer Ministro, en sustitución de José Miró Cardona, quien poco después sería designado como uno de los líderes de la oposición que organizaba Washington. La radical Ley de Reforma Agraria que el nuevo gobierno promulgó a los tres meses, en mayo 17, atrajo enseguida una serie de represalias de Washington, ya que lesionó sobre todo intereses de la United Fruit. Desde abril de 1959 ya el vicepresidente Nixon había convencido al Presidente de que Fidel era "peligroso" para los intereses de Estados Unidos. En julio, ante la actitud de Urrutia, Fidel renunció. El 23 un paro general del país obliga en pocas horas a la renuncia del presidente, quien es sustituido por Osvaldo Dorticós y Fidel se reintegra al premierato. Días antes, el 20 de julio, un diario de Rochester ya se unía a las campañas con un editorial titulado "El desmoronamiento de Castro", donde se afirmaba que los turistas y empresarios se estaban alejando de este país. Que los Sugars perdían dinero y que Maduro planeaba venderlo. Fidel reiteró su promesa de sufragar las deudas para mantenerlo en la Liga, pues era importante para el deporte y la recreación de Cuba. Entretanto, Washington ya había concebido un plan subversivo y la CIA pasó a reclutar agentes masivamente en Cuba y por doquier, para sabotear la Revolución. Una semana antes del juego, el 21 de julio, George Beahon, que cubría al equipo para el diario Rochester Democrat and Chronicle, pretendía adivinar: "el domingo 26 de julio, fecha de aniversario de la revolución, promete ser excitante si no azaroso. El jefe Castro ha llamado a 50 000 ciudadanos a invadir La Habana desde las provincias y viajar con sus machetes. El sentimiento general de los cubanos es que los americanos son hipercríticos del gobierno revolucionario en una medida tal que un poco de ron y afilados machetes empuñados, pueden crear un serio incidente internacional".(1) Era el aspecto propagandístico del plan. Al ocurrir el incidente en la madrugada del 26 de julio, George Sisler, director general del equipo hizo un precipitado llamado al presidente del club, Frank Horton, quien les ordenó regresar. El escritor Howard Senzel, testimonia que la prensa de Estados Unidos, lejos de reconocer esta actitud, hacía creer que se trataba de cambiar al fútbol las preferencias del pueblo cubano. Investigó el incidente y llegó a sospechar que fue preparado y se exageró su importancia, a pesar de que nadie fue herido seriamente y de las disculpas enviadas por Felipe Guerra Matos, director de Deportes. El cinco de septiembre del mismo 1959, Horton anunciaba que no volvería a Cuba y otros seis clubes dijeron lo mismo. Sin embargo, el campeonato continuó hasta el final a despecho de la campaña. El aliento brindado por la Revolución al béisbol fue mucho. Los Cubans terminaron en primer lugar en la Internacional y después, en octubre, se coronaron campeones en la Pequeña Serie Mundial. No se podía admitir tal éxito. La Guerra llegó al béisbol: el 8 de julio de 1960, el nuevo Secretario de Estado, Christian Herter hizo presión y tras una reunión en Washington con Ford Frick, comisionado de las Grandes Ligas, se decidió transferir la franquicia de La Habana a Jersey City, pues "el clima en Cuba ya no es saludable para nuestro pasatiempo nacional". (2) Al dar a conocer la noticia, Horton se justificó con la necesidad de proteger a los peloteros por la situación allí. Cuando un periodista le preguntó a cuál situación en Cuba se refería respondió: Bueno, lo que dicen que pasa en Cuba. Senzel considera ingenuo pensar que los servicios secretos norteamericanos no estaban mezclados en el plan del béisbol, ya que este resultó el último juego de un equipo de Estados Unidos en Cuba. El despojo de la franquicia pretendía condicionar la opinión pública. El Gobierno cubano, los medios, las instituciones y el dueño del club, protestaron y alegaron que la presencia de Cuba brindaba la verdadera característica internacional de la Liga. Pero todo fue inútil. Ya estaban en marcha los planes para invadir a Cuba y se preparaba justificarla con una declaración en agosto de 1960 de la Octava Conferencia de Cancilleres, en Costa Rica, so pretexto de una alegada injerencia de la URSS, que se materializaría con la invasión por Playa Girón en abril de 1961. En el deporte se completó la agresión con la medida de que no podría jugar ningún cubano en el "béisbol organizado" sin romper con su gobierno, pues las leyes del bloqueo impiden que sean remunerados. Medio siglo después aún existen esas sanciones.
(1) Howard Senzel. Baseball y la Guerra Fría Harcourt Brace Jovanovich, USA, 1977. Pág. 76
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GIRÓN 50 La guerra contra cuba atormentó a Hemingway (V) |
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Hasta el llamado Dios de Bronce de la literatura norteamericana, el insigne escritor Ernest Hemingway, fue afectado y atormentado a causa de los planes de su gobierno contra Cuba.
Las informaciones difundidas cuando Hemingway entregó a Fidel el trofeo que ganó en el torneo de la pesca de agujas, eran justamente lo que Bonsal dijo que su gobierno estaba decidido a impedir, para no afectar la imagen que en Washington se quería dar sobre el líder cubano.
La periodista y escritora irlandesa Valerie Danby-Smith, secretaria particular de Hemingway en los últimos años de vida del laureado premio Nóbel de 1954, fue testigo excepcional de las presiones del gobierno del general Eisenhower para obligarlo a salir de Cuba. Su presencia estorbaba a la justificación de la operación bélica que ya se había decidido para ahogar a la Revolución. Ernest había vuelto en marzo de 1959 a la Isla que abandonó en 1957, tras un registro practicado por la policía de Batista en su acogedora finca la Vigía, de 61 000 m2 en San Francisco de Paula, a 24 km de La Habana. Al New York Times manifestó su simpatía por el proceso guerrillero. Ya en La Habana, el argentino Rodolfo Walsh, escritor y uno de los fundadores de Prensa Latina relata que lo interceptó en el aeropuerto de La Habana e hizo el reportaje más corto de su vida. Hemingway decía: "Vamos a ganar. Nosotros los cubanos vamos a ganar —y agregaba—. I’m not a yankee, you know". (1) Valerie, quien años después adoptaría el apellido Hemingway al casarse con Greg —uno de los hijos del autor de El viejo y el mar—, llegó al aeropuerto de Rancho Boyeros de La Habana el 27 de enero de 1960. Su impresión fue muy agradable. Anotó que era imposible pasase inadvertido, la gente se apiñaba a su alrededor. Su cuerpo robusto, con unos pantalones cortos de color caqui y una camisa a cuadros de manga corta, los mocasines marrones y la cara redonda y enmarcada por la barba. La joven irlandesa fue acomodada en el espacioso alojamiento contiguo a la residencia en sí, que había servido a huéspedes tan ilustres como Gary Cooper, Luis Miguel Dominguín, Ava Gardner, Antonio y Carmen Ordóñez, Jean Paul Sartre, Errol Flynn, Spencer Tracy y muchos otros. Algunos visitantes se sentaban ciertos días a la semana en la bien servida mesa de Ernest y Mary. Entre ellos cenaba los jueves Philip W. Bonsal, embajador de Estados Unidos, con quien Hemingway hablaba ampliamente de su país, que representaba "una conexión directa con su tierra natal. Ernest seguía con avidez todo lo que sucediera en su país natal". (2) Pero desde meses antes, diciembre de 1959, ya el presidente Eisenhower había aprobado el documento de la CIA redactado por J.C. King, oficial encargado de la América Latina en la División del Hemisferio occidental, que recomendaba derrocar a Fidel Castro. El 18 de enero de 1960, once días antes de que llegase Valerie a Cuba, en Washington era designado J. D. Esterline como jefe de un grupo interno creado por Allen Dulles para dirigir el llamado Proyecto cubano, que no dejaba ningún eslabón suelto. Consecuente con el Proyecto de la CIA, en esa primavera, es decir, entre marzo y mayo, "apareció un jueves Bonsal con el semblante muy serio. Le trajo a Ernest un mensaje importante, aunque informal, de Washington D.C. El gobierno estadounidense empezaba a plantearse muy seriamente la ruptura de relaciones diplomáticas con Cuba. Hemingway era ciudadano norteamericano, pero también era residente en Cuba, y seguía siendo el expatriado más conspicuo y relevante de la isla a todos los efectos. Lo que Washington deseaba de él era no solo que pusiera punto final a su residencia en Cuba, sino también que diera abierta manifestación de su desagrado con el gobierno de Castro y el régimen cubano. "Ernest protestó, aquella era su casa, era un escritor, no veía que hubiera motivo para cambiar su forma de vida, su vida misma, su manera de ganársela", (3) testimonia Valerie Danby. Ella recuerda como su jefe y amigo manifestó a Bonsal una lealtad incondicional a Estados Unidos. El embajador estuvo de acuerdo con todo, pero agregó que en Washington veían las cosas de modo distinto y podría verse obligado a afrontar represalias. Se exponía a ser catalogado de traidor. Único testigo del diálogo —con excepción de Mary, la esposa de Hemingway—, Danby anota que este hizo como si no se lo hubiese tomado en serio, pero a medida que pasaban los días, se dio cuenta de que la amenaza de perder su casa y todo lo que representaba, empezó a tener un gran peso en su ánimo. Al comenzar el nuevo año el embajador los visitó y les comunicó con tristeza que había sido convocado a Washington, pues el gobierno de Eisenhower había roto las relaciones entre ambos países, el 3 de enero de 1961, 17 días antes de dar posesión a Kennedy, quien confesó no había sido consultado. Bonsal dijo tener la sensación de que Hemingway tendría que elegir entre su país y su tierra de adopción, con claridad y de forma notoria. La tristeza asomó a los ojos de Ernest según Valerie. Poco después Hemingway recibió la visita del conocido periodista Herbert Matthews, quien le contó que "el New York Times retocaba sus reportajes para que Castro saliera menos favorecido; en algunos casos llegaba a recortar sus artículos o a no publicarlos". (4 ) Valerie notó un creciente desánimo en Hemingway. Lo atribuyó a "la inquietante certeza de que la situación política de Cuba y sus consecuencias traerían consigo un futuro plagado de incertidumbre" (5) o a los problemas de visión que comenzaron en España y empeoraban su salud. Todo se complicó más después de su primer encuentro personal con Fidel Castro en ocasión del Torneo de Pesca de la aguja, que ganó el propio Fidel y las fotos de Ernest entregándole el trofeo fueron profusamente publicadas en todas partes. Las relaciones entre los dos países continuaron empeorando. Hemingway tuvo que revisar sus cada vez más reducidas opciones, la soga se estaba tensando. El resto fue tarea de los servicios secretos de Estados Unidos, el 25 de julio de 1960 los Hemingway dejaron vacía la finca La Vigía.
(1) Rodolfo Walsh. www..elortiga.org. Los que luchan y los que lloran. Prólogo (2 ) Valerie Hemingway. Correr con los toros. Santillana Ediciones Generales. 2005. Madrid, pp 131 (3) Ibid. pp 132 (4) Ibid. pp 144 (5) Ibid. pp 155
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GIRÓN 50 El secuestro de Masetti (VI)
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El gobierno de Perú había solicitado en los primeros meses de 1960 efectuar una Reunión de Consulta de la Organización de Estados Americanos (OEA), sobre "las tensiones en El Caribe" que preocupaban a Estados Unidos. Así, bajo presiones de Washington, la OEA aprobó el pedido y convocó a las Sexta y Séptima Conferencias de Cancilleres de América, para agosto de ese año.
Masetti entre dos destacados dirigentes políticos: el doctor Carlos Rafael Rodríguez y el periodista Raúl Valdés Vivó.
La agencia de noticias Prensa Latina que había sido inaugurada el año anterior, en junio de 1959, consideró importantes ambas reuniones, por lo que Jorge Ricardo Masetti, su director, decidió encabezar un equipo de cinco periodistas para darles cobertura informativa en San José, Costa Rica. Nadie hubiera podido imaginar que allí iba a ser secuestrado el destacado periodista argentino, quien se distinguió con sus reportajes sobre Fidel Castro y Che Guevara en la Sierra Maestra, para la Radio El Mundo de su país y volvió a La Habana en enero de 1959 para fundar esta agencia latinoamericana de información. El primer intento diplomático formal contra Cuba había tenido lugar a partir del 12 de agosto de 1959, durante la Quinta Conferencia de Cancilleres en Lima. Los hechos cotidianos ya alarmaban a los dirigentes cubanos. Washington se mostraba hostil y negaba cualquier facilidad a un gobierno que no se le sometía. Pretendía aislar a Cuba y preparaba condiciones, enmascaradas en acuerdos continentales, que justificasen eventualmente una resolución condenatoria y una intervención colectiva. Había suficientes motivos para sospechar que esa Conferencia pretendía acusar a Cuba por las llamadas "tensiones". Desde el 26 de marzo de 1959, a solo tres meses del triunfo revolucionario, se conoció un importante indicio. "Fue descubierto por las autoridades policiales un plan de atentado contra el Comandante Fidel Castro, dirigido por Rolando Masferrer y Ernesto de la Fe" (1). Masferrer fue jefe del grupo paramilitar "Los tigres", que asesinaba revolucionarios durante la guerra cubana de liberación; Ernesto de la Fe era uno de los voceros de la dictadura de Batista. El plan fue generado entre el dictador dominicano general Rafael L. Trujillo y el general Fulgencio Batista en Santo Domingo, donde se había refugiado en primera instancia el fugitivo ex dictador, y había recibido el visto bueno de la CIA: "Todo marcha de acuerdo a lo planificado. Si tenemos suerte, en unos días habremos acabado con Castro", (2) informó el coronel J.C. King a Richard Bissell, subdirector de la agencia. La delegación cubana presentó en un momento culminante de la reunión en Perú, pruebas de una frustrada invasión organizada también por el dictador dominicano Leonidas Trujillo que terminó con la captura de los participantes, quienes llegaron en un avión C-47 a Trinidad, pues se les había hecho creer que la ciudad estaba tomada por fuerzas afines a ellos. Los principales dirigentes enviados directamente por Trujillo, Luis Pozo, hijo del ex alcalde de La Habana, y Roberto Martín Pérez, uno de los criminales de guerra escapados el 31 de diciembre de 1958, fueron recibidos y apresados en esa ciudad al centro de la isla, para su gran sorpresa, por el propio Fidel Castro. Las pruebas del complot fueron llevadas al Canciller Roa personalmente por Raúl Castro, ministro de las Fuerzas Armadas Revolucionarias, en un vuelo especial desde La Habana a Santiago de Chile, para ser presentadas en la Conferencia de Cancilleres, de modo que Cuba lejos de ser acusada por esas tensiones, podía acusar a sus enemigos de provocarlas. Y demostrar sus alegatos. El domingo 14 de agosto, ya en vísperas del inicio de las sesiones de la Sexta Conferencia de Cancilleres en San José, los periodistas cubanos se percataron, de pronto, que los demás colegas habían abandonado la sala de prensa. Era alrededor de las once de la noche y, algo extrañados, decidieron concluir y salir. Recuerdo cómo en el umbral del local de la prensa ubicada en el propio Teatro Nacional —sede de las dos Conferencias de Cancilleres—, un pequeño sujeto tropezó intencionalmente con Masetti y acto seguido trató de agredirlo: gritaba que este se le había encimado. En un santiamén entró un grupo de miembros armados de la guardia nacional, enfundados en sus uniformes color beige y forcejearon con los cubanos. Sin escuchar a quienes trataban de explicar lo sucedido, introdujeron al director de Prensa Latina en un jeep, al tiempo que rechazaban al resto del grupo que trataba de abordarlo también. Algunos logramos penetrar en el vehículo, pero nos sacaron a la fuerza. Solo interesaba Masetti, quien protestaba por la detención. Aún no repuestos del asombro, los cubanos nos dirigimos de inmediato al auto que utilizábamos e indicamos al chofer, un tico de confianza, que partiese raudo al lugar donde internaban a los perseguidos políticos. Las experiencias adquiridas en la lucha contra la tiranía de Fulgencio Batista desde la Universidad de La Habana, hacían comprender rápidamente que se trataba de una operación política punitiva, y que debía hacerse todo lo posible para tratar de frustrarla, pues se podía temer por la vida de Masetti. Francisco V. Portela, corresponsal de PL en Nueva York, corrió a pasar aviso al canciller Raúl Roa. También debía redactar una información en que se denunciara el secuestro. Los tres restantes, Roberto Agudo, Ricardo Sáenz y Gabriel Molina, miembros de la Redacción Internacional de PL, abordamos el auto. La policía política se hallaba enclavada en una especie de castillo y allí entramos. Sáenz permaneció apostado en la puerta, por si se nos retenía más de media hora. Agudo y yo fuimos recibidos por un achaparrado teniente, quien tras escucharnos y poner cara de sueco, trató ridículamente de impresionarnos golpeando la pared con un vergajo, mientras negaba que allí se encontrara Masetti. Lo dejamos con la palabra en la boca. Al llegar a la puerta, airados, dimos cuenta a Sáenz de la infructuosa gestión y lo invitamos a irnos. Mas este nos sorprendió con el notición de que vio entrar a Masetti conducido por los guardias. La rápida actuación nos había hecho llegar minutos antes de que arribaran aquellos guardias devenidos delincuentes. Llamamos a Roa y ante el escándalo armado por el embajador cubano Juan José Fuxá en el Departamento de Seguridad, no les quedó más remedio a los secuestradores que soltar a Masetti, tres horas después del rapto, pasadas las dos de la mañana. Allí el Director de PL vio al pequeño asaltante revisando los papeles del portafolio que le habían quitado. Relató que fue encerrado en una celda pequeña, aislada y oscura y se puso a cantar el himno nacional de Cuba para que otros presos supiesen que había allí un cubano. Lo primero que hizo al ser liberado esa madrugada, fue llamar a La Habana para confirmar que estaba bien. Le habían devuelto sus papeles, pero notó la falta de algunos. Buscaban supuestas evidencias subversivas que no hallaron. Al día siguiente comenzó la Conferencia. El pequeño agresor de la sala de prensa, siempre vestido de civil, con todo desparpajo se sentó cerca de los periodistas cubanos. Sin dar muestras de haberlo reconocido, dos de nosotros llegamos hasta él y le hicimos moverse para ocupar un estrecho espacio a su lado. No reaccionó y poco después desapareció para siempre. Masetti subrayó después que esa fugaz presencia era un virtual reconocimiento a la intencionalidad de la agresión. La delegación oficial cubana protestó airadamente y exigió garantías para la vida de Masetti. Ya para entonces se sabía que al aprobar la CIA los planes de atentados, se emplearía cualquier medio para debilitar a Cuba o provocar reacciones que justificasen una agresión directa. Y no se sabía algo peor aun. Mientras esto ocurría: "en agosto de 1960 la CIA dio pasos para enrolar miembros del bajo mundo criminal en contacto con el sindicato del juego para que ayudasen a asesinar a Castro ". (3) Otra prueba de lo peligroso de la situación se produciría al día siguiente en San José, en la persona de Raúl Roa.
(1) Fabián Escalante. Acción Ejecutiva. Objetivo Fidel Castro. Ocean Press. Melbourne. pp 32 (2) Ibid. pp 31 (3) Church Committee Report. Alleged Assassinations Plots Involving Foreign Leaders. B-Cuba. pp 74 y 75.
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La Conferencia de Cancilleres (VII) |
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10.12.10 - G.Molina www.granma.cu
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La
VI Conferencia de
Cancilleres de la OEA se
inició el 15 de agosto de
1960 dentro de un ambiente
más tenso aún, que cuando
fue convocada por Perú, a
instancias de Estados Unidos
y Venezuela. De ese modo se
complacía a Washington y a
Rómulo Betancourt,
presidente de Venezuela,
inquieto por el dictador
Trujillo que en esos días
había organizado un Plan
para asesinarlo.
A renglón
seguido vendría la VII
Conferencia que era de
interés en realidad solo
para Estados Unidos, para
santificar sus campañas
contra la Revolución cubana.
Ese objetivo era denunciado
en Costa Rica por
organizaciones como la
Confederación de
Trabajadores y los Comités
de Solidaridad.
El apoyo
popular se manifestaba en
acciones como la vibrante
bienvenida, casi subrepticia,
brindada por cientos de
costarricenses en el
Aeropuerto de Los Cocos a la
delegación. Ese gesto llenó
de emoción al canciller Raúl
Roa y a su esposa Ada Kourí,
pues habían recorrido más de
20 kilómetros a pie, en una
manifestación desde San
José, ya que la tarde
anterior se decidió por el
gobierno impedir el uso de
diez ómnibus que habían
preparado los trabajadores
para el recibimiento.
Tuvieron que esconder las
banderas cubanas para poder
llevar algunas, pues muchas
les fueron requisadas.
La noche
anterior se había efectuado
el dramático secuestro de
Masetti, pero las
provocaciones no habían
terminado: la Esso se había
negado a repostarle el
carburante al avión de la
Aeropostal de Cuba fletado
por Masetti y a la aeronave
de Cubana que condujo a San
José a la delegación
encabezada por Roa. Luis
Martínez, interventor de
Cubana de Aviación, declaró
que el gerente de la Esso en
San José, Leonel Iglesias,
había tratado de
justificarlo todo con decir
que no tenía gasolina y
después que "pidió
instrucciones a Miami con
resultado negativo". (1)
Sin embargo,
ante las protestas oficiales
del embajador Fuxá y la
advertencia de que podrían
ser causales de que Cuba se
retirase de la Conferencia,
el gobierno tico decidió
obligar a las empresas de
Estados Unidos a cumplir con
su deber. El aparato de
Cubana que trajo a Roa y a
la delegación no pudo
regresar a La Habana hasta
el día siguiente.
La negativa
actitud de la Esso estaba
relacionada con el hecho de
que varias semanas antes, el
2 de julio, el Instituto
Cubano del Petróleo había
intervenido las refinerías
norteamericanas, no solo la
Esso, sino también la Texaco
y después la anglo-holandesa
Shell, por haber rehusado
procesar el petróleo
adquirido por el Estado
cubano en la Unión
Soviética, todo lo cual
amenazaba con paralizar el
país. Al día siguiente el
Congreso de Estados Unidos
autorizó al Ejecutivo a
rebajar la cuota azucarera
de la Isla. Cinco días
después, el 6 de julio, el
Departamento de Agricultura
se apresuró a poner en
práctica la medida, al
prohibir que se embarcase un
cargamento de azúcar de 700
000 toneladas, parte de la
cuota azucarera cubana, la
mayor fuente de ingresos del
país.
Un mes
después, el 6 de agosto,
durante la clausura del
Primer Congreso de
Juventudes Latinoamericanas,
Fidel anunció la
nacionalización no solo de
la Esso, sino también de la
Texaco que se había sumado
al boicot energético para
paralizar el país. Con rara
franqueza, el presidente del
consorcio propiedad de la
familia Rockefeller, Mr.
Rathsbone, declaraba en
Copenhague "nosotros
pensamos que cambiaría de
opinión en cuanto le fuera
cortado el abastecimiento de
petróleo...dijimos clara y
abiertamente a las compañías
de navegación dedicadas al
transporte de petróleo que
no veríamos con placer que
pusieran sus barcos a
disposición del Gobierno
cubano. En ese momento ya
estábamos en guerra con
Fidel Castro... en
definitiva nos ha ganado la
batalla".(2) También se
expropiaban varias empresas
norteamericanas, como la
Compañía Cubana de
Electricidad, propiedad de
la Electric Bond and Share;
la Compañía Cubana de
Teléfonos, de la Bell, y 36
centrales azucareros en su
mayor parte de la Atlántica
del Golfo y la United Fruit
Co. Un valor total de 800
millones de dólares de esa
época.
Solo algunas
horas después de la llegada
de la delegación cubana a
San José, el canciller Roa
se dirigía, acompañado por
algunos miembros de su
comitiva, a participar en un
acto popular de adhesión a
Cuba, autorizado por el
Subsecretario de Gobernación,
Eladio Chinchilla, en la
cuadra en que se enclavaba
la embajada de la Isla. Allí
cantaría el popular artista
puertorriqueño Daniel
Santos*. Acompañaban a Roa,
entre otros, José A.
Portuondo, Carlos Lechuga,
Manolo Pérez, Eduardo
Delgado, Rogelio Montenegro
y Ramón Vázquez. Habían
salido en dos taxis desde el
hotel Costa Rica, donde se
alojaban las delegaciones
participantes, pues el auto
que correspondía a Cuba
había sido enviado al
aeropuerto, al recibimiento
del Canciller Herter. Caso
insólito, se había invitado
a las delegaciones a
recibirlo en la terminal
aérea de Los Cocos.(De
Herter, Roa dirá a su
regreso a La Habana: "Es un
chicharrón sin pellejo de
idea").
Cuando los
taxis llegaron a la
bocacalle más próxima, se
percataron de que el acceso
estaba vedado por hileras de
miembros de la Guardia
Nacional con armas largas,
pues se había revocado la
autorización y se había
prohibido publicar el
manifiesto de los
organizadores, en el que
denunciaban la maniobra
contra Cuba que —como ya era
del dominio público—,
constituía el objetivo de la
VII Conferencia de
Cancilleres. Era todo un
plan. Trujillo en la Sexta y
después Cuba en la Séptima.
Roa fue
interceptado y, al
identificarse, un oficial
dijo que consultaría el caso
con sus superiores. Como la
consulta se demoraba, de
repente el ex decano de la
Facultad de Ciencias
Sociales de la Universidad
de La Habana exclamó: "Yo
soy el Canciller de Cuba y
paso de todas maneras". (3)
A continuación avanzó sobre
el cordón de uniformados y
comenzó a abrirse paso a la
fuerza, seguido por sus
acompañantes.
La dramática
escena subió de tono cuando
los guardias palanquearon
sus armas y bastones para
agredir a Roa. Dispuestos a
impedirlo, escoltas del
ministro, como Juan Otero y
Segundo Pérez, llevaron las
manos a sus armas. Uno de
ellos, Ramón Vázquez, atinó
a levantar en vilo al
delgado Roa para detener su
avance y retirarlo,
protegido con su propio
cuerpo. De inmediato se
alivió la tensión al
aparecer el coronel Arias y
pedirle excusas al canciller
cubano mientras le
franqueaba el paso.
Ante las
protestas del embajador
cubano, Juan José Fuxá, la
Cancillería de Costa Rica
actuó y los incidentes se
redujeron de número y de
tono.
Pero como
colofón, el cantante boricua
Daniel Santos, conocido en
Cuba como el Inquieto
Anacobero, no solo no pudo
actuar en defensa de la Isla,
según se había anunciado,
sino que fue expulsado del
país. La embajada cubana le
ofreció hospitalidad y al
día siguiente partió hacia
la Habana. Se ahorró el
disgusto de presenciar la
compra de algunas
conciencias.
*Daniel
Santos era un artista muy
apreciado en Cuba,
catalogado como una
interesante mezcla de
tarambana y patriota. Su
manera cotidiana de
manifestarse, la confesaba
en uno de los números
musicales que lo colocaban
entre la élite de favoritos
en la Isla: Vive como yo
vivo, si quieres ser bohemio.(bis)
De barra en barra, de trago
en trago. Vive como yo vivo,
para gozaaar, Laaaa Habana...
No era ficción. Así mismo
vivía. Sin embargo,
equilibraba su personalidad
con un acendrado
nacionalismo. Otro éxito
musical era el titulado
Borinquen, que expresaba:
Pena que haya tantos que no
quieran que tenga mi bandera,
y desplegarla al sol. Que
tenga uno que ser americano,
en vez de ser boricua, de
sangre y corazón...
(1) Diario Revolución, 16 de agosto 1960, p. 2
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La diplomacia en la Bahía de Cochinos (VIII) |
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24.12.10 - G.Molina www.granma.cu
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La Séptima
Conferencia de Cancilleres
en San José, Costa Rica, se
efectuaba, según despacho de
Prensa Latina, "bajo la
vigilancia de 1 350 marines
que permanecerían en aguas
del Caribe mientras se
desarrollase el cónclave,
para realizar ejercicios
cuando terminase". (1)
Pocos días
antes, la Sexta Conferencia
había terminado con el
acuerdo de la ruptura de
relaciones diplomáticas con
el régimen trujillista y la
interrupción parcial de las
relaciones económicas y
comerciales. Venezuela y
México se apresuraron a
romperlas; Cuba ya las tenía
rotas desde 1959 y Estados
Unidos adujo, por su parte,
que estaba estudiando la
ruptura.
El Canciller
estadounidense Christhian
Herter centró su estrategia
durante la Séptima en las
llamadas intervenciones
extracontinentales, por la
advertencia del Primer
Ministro de la Unión
Soviética, quien ante las
amenazas de agresión a Cuba
dijo estar dispuesto a
defender a la Isla
proporcionando armas ligeras,
pesadas y tanques, junto a
la oferta de comprarle todo
el azúcar que Eisenhower
dejaba de comprar al
recortar la cuota, días
antes, en setecientas mil
toneladas. Nikita Jruschov
dijo, en un sentido figurado,
que si fuese necesario los
artilleros soviéticos pueden
respaldar al pueblo cubano
con fuego de cohetes, si las
fuerzas agresivas del
Pentágono se atreven a
lanzar una intervención en
Cuba. Recordó al Pentágono
no olvidar que, como lo han
demostrado las pruebas
recientes, la URSS tiene
cohetes que pueden aterrizar
exactamente en un blanco
cuadrado, fijado de antemano,
a trece mil kilómetros de
distancia.
Los
periodistas nos acercamos al
Canciller peruano, Raúl
Porras Barrenechea, cuyo
gobierno se había aprestado
para convocar la Conferencia,
a pesar de la desconfianza
que despertaba en Cuba el
controvertido tema. El
profesor causó sorpresa al
declarar: "No se puede
intervenir en Cuba; no hay
un solo canciller que opine
de otro modo". (2) Agregó
que el gobierno de Cuba
tiene todo el respaldo de su
pueblo y por tanto los demás
pueblos de América tienen
que respetar sus decisiones.
Un
nicaragüense somocista se
acercó al reconocer a Porras
y le interrumpió para
pedirle su opinión sobre lo
que se dice por ahí de que
hay comunismo en Cuba. "No
se puede juzgar si lo hay
por lo que digan los
corresponsales, respondió
Porras. Ellos expresan sus
puntos de vista personales.
De todos modos, si Cuba
quiere implantar el
comunismo dentro de sus
fronteras, es muy dueña de
hacerlo. Lo que no puede
hacer es llevar el comunismo
a la América. Ya eso sería
injerencia. Yo nunca he oído
decir eso. No sé de dónde
usted lo ha sacado", (3),
agregó el Canciller peruano
con firmeza, cuando el nica
le manifestó que Cuba estaba
interviniendo en Nicaragua.
Ahí mismo lo conminamos a no
seguir interrumpiendo.
En el curso
de la reunión se manifestó
el rechazo a las amenazas de
intervención, desde las
posiciones de un grupo de
ministros de los más
importantes países,
encabezados por el
venezolano Ignacio Luis
Arcaya, miembro del partido
Unión Republicana
Democrática (URD), que
compartía el gobierno de
Venezuela con el de Acción
Democrática, del presidente
Rómulo Betancourt. Durante
la reunión se conoció la
aprobación, por el Senado de
Estados Unidos, de una
enmienda a la Ley de Ayuda
Exterior, mediante la cual
todo país que prestase ayuda
a Cuba o le venda armas,
sería privado de la ayuda
norteamericana" (4). Los
medios cubanos interpretaron
el hecho como una amenaza a
la Conferencia, con el
objetivo a mediano plazo de
debilitar a Cuba militar y
políticamente.
El canciller
cubano, Raúl Roa, leyó en su
turno el 26 de agosto un
enjundioso y firme discurso
que impresionó a todos los
presentes. En una segunda
intervención, y en respuesta
a las palabras de Herter,
Roa improvisó otra alocución,
de parecido talante, que se
caracterizó por las frases
"Y esto no lo dijo Nikita
Jruschov, lo dijo José Martí"¼
"Y esto no lo digo yo, lo
dijo Abraham Lincoln", y así
sucesivamente. Entretanto la
delegación norteamericana
cabildeaba en reuniones
secretas. Llegado un momento
de inmovilismo, se comisionó
a un grupo de once delegados
para redactar una especie de
solución de compromiso. El
Secretario de Estado
norteamericano logró una
declaración por estrecha
mayoría de un voto. El texto
aludía elípticamente a las
palabras del Primer Ministro
soviético, Nikita Jruschov,
donde declaraba a su país
dispuesto a defender a Cuba
en un sentido figurado con
sus cohetes, y calificaba
indirectamente de
intervención
extracontinental a esta
posición soviética. La
resolución fue arrancada por
Herter a los países
asistentes, al costo de
ochocientos millones de
dólares en promesas y quedó
aprobada de ese modo en la
sesión plenaria. Roa anunció
el desacuerdo cubano y se
retiró pronunciando aquella
celebre frase: "Y con Cuba
se van los pueblos de
América". Desde entonces se
le conoció como el Canciller
de la Dignidad.
Arcaya y
Porras Barrenechea votaron
en contra de la declaración,
desafiando las instrucciones
de sus respectivos gobiernos.
El primero renunció y con
ello creó una crisis en el
gobierno venezolano, pues su
partido lo apoyó y dieron
fin a la coalición,
secundados por algunos
miembros del partido del
presidente Betancourt. A
Porras lo separó de su cargo
el primer ministro Beltrán
Espantoso. Cuba apreció
hondamente el gesto de los
dos ministros que
desobedecieron a sus
gobiernos.
Con la VII
Conferencia de Cancilleres
el gobierno de Estados
Unidos no logró su objetivo
de obtener "una condena
expresa a Cuba por parte de
la Organización de Estados
Americanos, a pesar del
crédito por 1 000 millones
de dólares de esa época,
utilizados para comprar
votos. Pero la resolución
obtenida mostraba el aspecto
diplomático de la agresión,
y sería utilizada para
alcanzar, en 1962, la
separación de Cuba de la
OEA, muy a pesar de la
invasión en abril de 1961
conocida como Bahía de
Cochinos, pues entre el 11 y
el 14 de marzo de 1961, en
la Casa Blanca, se decidió
que el planeado desembarco
sería realizado por las tres
playas de esa bahía.
El primer
intento diplomático formal
había tenido lugar del 12 al
18 de agosto de 1959,
durante la V Reunión de
Consultas de los Ministros
de Relaciones Exteriores de
la OEA, en Santiago de
Chile. La delegación cubana
presentó en un momento
culminante de la reunión en
Santiago pruebas de una
frustrada invasión
organizada por el dictador
dominicano Leonidas
Trujillo, que terminó en
ritmo de comedia, pues los
invasores se vieron
ridiculizados cuando fueron
recibidos por el propio
Fidel Castro, quien les
había hecho creer que
Trinidad estaba tomada por
sus aliados. Raúl Castro,
ministro de las Fuerzas
Armadas Revolucionarias,
llevó personalmente las
pruebas a la Conferencia.
La respuesta
de Cuba a la Declaración de
San José obtenida en la VII
Conferencia de Cancilleres
en Costa Rica, fue
establecer relaciones con la
República Popular China,
dado a conocer en una
concentración en la Plaza de
la Revolución, el dos de
septiembre de 1960, en la
cual el pueblo asumió la
Declaración de La Habana,
aclamada por más de un
millón de personas. Era
servir dos tazas al que no
quería té, a quien declaraba
una guerra por haberse
establecido relaciones con
la Unión Soviética.
La
Declaración de La Habana
calificó el acuerdo de San
José de injerencista y
también "la intervención
abierta y criminal que
durante más de un siglo ha
ejercido el imperialismo
norteamericano sobre todos
los pueblos de América
Latina, que han visto
invadido su suelo en México,
Nicaragua, Haití, Santo
Domingo o Cuba; que han
perdido ante la voracidad de
los imperialistas yankis
extensas y ricas zonas, como
Texas, centros estratégicos
vitales, como el Canal de
Panamá, países enteros, como
Puerto Rico, convertido en
territorio de ocupación
(...). La ayuda
espontáneamente ofrecida por
la Unión Soviética a Cuba en
caso de que el país fuera
atacado por fuerzas
militares imperialistas, no
podrá ser considerada jamás
como un acto de intromisión,
sino que constituye un
evidente acto de solidaridad".
(5)
(1) Diario
Combate, 25 de agosto, de
1960 p. 12.
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