Miguel De La Puente aveva 14 anni quando suo padre gli disse che lo avrebbe mandato con i fratellini in vacanza negli USA per 3 mesi, giusto il tempo che la situazione politica cubana si risolvesse. Il 7 aprile del 1962 fu messo su un aereo insieme a decine e decine di altri bambini cubani e qualcosa gli disse che quella non sarebbe stata una vacanza di tre mesi. Una volta arrivati in Florida i ragazzi furono assegnati ad un “campo” (Kendall Camp, foto), venne dato loro un numero di matricola e per diversi anni la loro casa è stata una baraccopoli allestita intorno all’aeroporto. Gli studi in scuole religiose, la laurea in una piccola università di provincia, un matrimonio duraturo, una buona carriera da architetto. Il tutto lontano da casa, aspettando che la situazione politica fosse propizia, come aveva detto il padre. Il Miami Herald, a cinquant’anni dall’inizio dell’esodo dei piccoli cubani, ha deciso di dare loro lo spazio e gli strumenti per rimettersi in contatto, per collocarsi nella storia, per darsi conforto reciproco.
LO ZAMPINO DELLA CIA
Secondo alcune scuole di pensiero, questa urgenza di far fuoriuscire i propri bambini dal regime castrista era stata fomentata da false credenza diffuse dai servizi segreti americani: una tra queste che i giovani cubani sarebbero stati inviati in Unione Sovietica per essere sottoposti ad un indottrinamento forzato e che i loro genitori avrebbero dovuto ritirare la propria autorità legale sui figli. In una testimonianza del direttore del sito web cubano Progreso Semanal, si legge che suo padre, agente della CIA, sul letto di morte confessò di essere stato uno degli artefici di questa campagna di disinformazione che poi portò migliaia di famiglie a separarsi dai propri figli. Secondo Alvaro Fernandez, esisteva una collaborazione tra CIA e Chiesa cattolica della Florida volta alla creazione di un fronte di resistenza contrario a Fidel Castro.