Nel
mese di maggio è stato firmato l'Accordo del Pacifico a Lima che
prevede una zona di libero commercio e protezione degli investimenti
sotto l'influenza statunitense. I sottoscrittori dell'Accordo del
Pacifico (Cile, Colombia, Messico e Perù), a cui presumibilmente si
aggiungeranno Honduras, El Salvador, Costa Rica, Panama, Guatemala
e, forse, Repubblica Dominicana, lasciano spiazzata l'Unione
Sudamericana delle Nazioni (Unasur) e pongono un limite alla
leadership del Brasile nella regione.
Washington vuole a tutti i costi recuperare quel controllo
dell'America Latina, che venne seriamente colpito nel novembre 2005
al Vertice delle Americhe di Mar del Plata, in Argentina, quando si
conclusero definitivamente i negoziati dell'Area di Libero Commercio
delle Americhe (ALCA).
Gli Stati Uniti si erano assicurati il voto favorevole di 21 dei 34
paesi invitati a sottoscrivere ALCA a Mar del Plata, ma Brasile,
Argentina e Venezuela avevano sostenuto che non si poteva ignorare
il 75% del PIL della regione che essi rappresentavano.
George Bush se ne andò dall'Argentina e milioni di persone nel
continente celebrarono la morte di ALCA. Mercosur ebbe la
possibilità di costruire insieme alla Comunità Andina delle Nazioni
l'integrazione commerciale dell'America del Sud e allora Unasur
acquisì forza come spazio di integrazione politica.
Molti analisti avevano segnalato che ALCA sarebbe ritornata e che il
Trattato di Libero Commercio che gli Stati Uniti insistevano a voler
annodare con paesi con i quali avevano scarsa relazione commerciale
nella zona andina era un indizio del fatto che gli obiettivi
strategici statunitensi non venivano abbandonati. Il Perù non solo
sottoscrisse un Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti ma
iniziò anche altri negoziati, firmando più di 6 Trattati di Libero
Commercio con paesi di altri continenti. L'integrazione sudamericana
non si è completata. Ma continua a rappresentare l'asse fondamentale
anche per l'articolazione di questa ALCA mascherata, dal momento che
su richiesta di Alan Garcia si è dato impulso all'Accordo del
Pacifico, preparatorio dei negoziati dell'Accordo di Economica
Strategica Transpacifico (TPP), a cui partecipano 9 paesi di
America, Asia e Oceania. Questo grande accordo per la protezione
degli investimenti e il libero commercio si propone di connettere
parte della Comunità Andina (Cile, Perù, Colombia) con il
Centro-America e gli Stati Uniti, unendo quasi tutta la costa
americana, dall'Alaska fino alla Patagonia cilena, in
un'integrazione nel miglior stile ALCA.
Un Sud America statunitense sul Pacifico, un altro Sud America
brasiliano sull'Atlantico
I quattro firmatari dell'Accordo del Pacifico (Cile, Colombia,
Messico e Perù), più i sei paesi che hanno firmato il Trattato di
Libero Commercio tra Centro-America e Stati Uniti (CAFTA),
rappresentano un'area commerciale e di investimenti controllata da
Washington. Nel momento in cui l'America del Sud emerge a livello
globale come una regione di primo piano che propone una nuova
architettura finanziaria internazionale con il Banco del Sur, il
coordinamento delle sue banche centrali, la libera circolazione dei
suoi cittadini, e il Brasile si afferma come una potenza mondiale
con una presenza nei grandi forum dando un sostegno rilevante a
Unasur, gli Stati Uniti operano con i loro governi alleati in Cile,
Colombia, Messico e Perù per frenare l'integrazione sudamericana.
Questo accordo permette a Washington di dividere l'America del Sud
in due coste, quella del Pacifico, guidata dagli Stati Uniti, e
quella dell'Atlantico, guidata dal Brasile.
Ma gli Stati Uniti pretendono di più e non abbandonano la costa
atlantica. Il 22 gennaio, fu diffusa nei Paesi Bassi
un'informazione, per niente nuova, che rendeva conto del fatto che
Dési Bouterse, ora presidente del Suriname, aveva avuto rapporti con
il narcotraffico fino all'anno 2006. E' interessante notare che
nella stessa informazione si affermava che il principale socio
dell'attuale presidente del Suriname nelle attività del crimine
organizzato era il narcotrafficante della Guyana Roger Khan.
All'inizio del mese di marzo 2011, il rapporto 2010 della INCB
(Giunta Internazionale per il Controllo degli Stupefacenti) delle
Nazioni Unite menziona negativamente il Suriname come paese di
narcotraffico. Sebbene questo rapporto delle Nazioni Unite giudichi
molto positivamente il ruolo della Guyana nella lotta contro il
narcotraffico e nelle politiche di cooperazione con le istanze
sovranazionali di controllo, il rapporto del Dipartimento di Stato,
attraverso il suo “International Narcotics Control Strategy Report”
(INCSR), ha affermato che gli sforzi della Guyana sono stati
“modesti”.
Entrambi i rapporti, del INCB e del INCSR, sono apparsi praticamente
negli stessi giorni, uno il 7 marzo e l'altro il 4 marzo,
rispettivamente.
Il governo della Guyana, attraverso il suo ministro degli affari
interni, Clement Rohee, ha definito “inesatto e falso” il rapporto
del Dipartimento di Stato USA, poiché gli Stati Uniti non hanno
preso in considerazione gli sforzi del suo paese nella lotta contro
il narcotraffico. Allo stesso tempo, ha denunciato il disinteresse
statunitense e la “scarsa collaborazione nella lotta contro il
narcotraffico”.
Nel frattempo, nello scenario regionale i due paesi stanno
sviluppando strenui sforzi per stringere legami regionali in un
ampio spettro di attività e ambiti economici. Questi legami si
stanno instaurando in primo luogo con Brasile e Venezuela, leaders
del processo di integrazione sud americana, che allo stesso tempo
hanno un interesse istituzionale a sostenere queste politiche.
Sebbene non ne illustriamo i dettagli, la molteplicità dei progetti
di collaborazione nelle comunicazioni, informatica, economica,
giuridica e nell'ambito della polizia esprime la volontà dei paesi
coinvolti a costruire un'infrastruttura di integrazione che resista
sia al passare del tempo che ai cambiamenti di governo nella
regione. La presidenza pro tempore di Unasur, in mano al presidente
della Guyana, Bharrat Jagdeo, è il motore di tutti questi progetti.
In questo contesto di encomiabile attività per l'integrazione, la
politica estera degli Stati Uniti manifesta chiaramente il suo ruolo
di controllo ed egemonico della politica della lotta contro il
narcotraffico. Un esempio paradigmatico dell'utilizzo di questa
politica come parte del progetto di politica estera è l'ambigua
relazione del Dipartimento di Stato con Costa Rica da un lato e con
Nicaragua dall'altro.
Mentre il Costa Rica sta perdendo il suo storico status di
smilitarizzazione e permette la presenza di 7.000 soldati
statunitensi per la lotta contro il narcotraffico, le richieste del
Nicaragua di dare la caccia alle diverse bande del crimine
organizzato che si dedicano al traffico di droghe all'interno del
paese, rimangono inascoltate. E quando una di queste bande viene
inseguita fino alle mangrovie del Rio San Juan, l'esercito
costaricense invoca criteri di sovranità nazionale e reagisce.
Questo modello di regolamento delle geopolitiche binazionali che usa
come argomento la lotta contro il narcotraffico sembrerebbe avviare
i suoi primi passi in Guyana e Suriname. Truppe statunitensi nella
zona sono già presenti in base ad accordi del Suriname con gli Stati
Uniti per l'aiuto in caso di catastrofi naturali.
La riesumazione dei vecchi e conosciuti legami mafiosi di Dési
Bouterse nel momento in cui il Suriname assume seri impegni di
integrazione sudamericana e la denigrazione degli sforzi della
Guyana nella sua lotta contro il narcotraffico privato nel paese,
sono indizi delle tattiche di riposizionamento egemonico degli Stati
Uniti di fronte al Brasile e al Venezuela, che utilizzano come
pretesto due piccoli paesi limitrofi.