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Nuestra America - Salvador

 
La giustizia tarda, ma è viva

 

1.06.11 - A.Riccio www.giannimina-latinoamerica.it

 

La morte del padre gesuita, rettore dell’Università Centroamericana di San Salvador, Ignacio Ellacuría, assassinato nel 1989 insieme a cinque confratelli e a due donne, moglie e figlia del guardiano, oltre ad essere stato uno dei più efferati delitti che hanno insanguinato il Salvador negli anni Ottanta, ha significato la perdita di una delle intelligenze più attive e generose di un Centroamerica martoriato in quegli anni dal contrasto violento fra regimi autoritari e corrotti e movimenti di guerriglia che non sono riusciti mai a tradurre in realtà il loro progetto di un mondo diverso. Neanche nel Nicaragua trionfante nel 1979 e rapidamente imploso dieci anni dopo.

Analista politico di grande intelligenza, straordinario docente, aveva agglutinato, insieme ai suoi confratelli, una società pensante e partecipativa che, oltre a prestare attenzione, aiuto e conforto a una popolazione allo stremo, elaborava analisi politiche, proposte di mediazione, contributi per un futuro migliore insieme a denunce -inevitabili per qualunque coscienza attiva - contro un regime e il suo braccio militare i cui orrori sono stati troppo presto dimenticati, testimoniati dal martirio di Monsignor Romero, freddato mentre diceva messa.

Oggi una giustizia lenta ma viva ricostruisce quel delitto e indica i colpevoli.

Agli ordini del Presidente Cristiani, il responsabile sarebbe il ministro della difesa Rafael Humberto Larios con 19 militari scelti, i quali, attraverso un’intensa campagna contro Ellacuría promossa dallo stesso governo, che accusava il padre gesuita di essere complice del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, la guerriglia comunista che ha tenuto in scacco il governo per molti anni, cercavano di rendere inoffensive quelle voci. Militari alle porte dell’Università, trasmissioni radiofoniche, minacce molto esplicite, intrusioni nell’università degli uomini del temutissimo battaglione Atlacatl, non avevano indotto i gesuiti a cambiare la loro condotta e a rinunciare al loro encomiabile e generoso lavoro. Per farli tacere per sempre non restava che eseguire una sentenza di morte: fatta irruzione nella residenza dei gesuiti, i militari in pieno assetto di guerra, hanno incrociato le due donne terrorizzate, a cui hanno sparato “mentre si abbracciavano” senza ucciderle, per cui fu ordinato a un soldato di finirle scaricando l’intero caricatore. Padre Ellacuría e gli altri furono assassinati con un fucile sovietico AK-47, mentre il drappello di assassini scriveva sulle pareti: “Il FMLN ha fatto fuori le spie nemiche”.

Oggi, fra gli accusati c’è il Capo di Stato Maggiore René Emilio Ponce. Era l’uomo che dava o negava i visti ai giornalisti che volevano capire cosa accadesse in quel paese dove la guerriglia non vinceva e non perdeva mentre un Governo impegnato nella difesa dell’oligarchia non riusciva a vincere neanche facendo ricorso al terrore e usufruendo di un aiuto per le spese militari da parte degli Stati Uniti, secondo solo a quello fornito ad Israele, che al governo del Salvador ha prestato assistenza costante nel settore dell’Intelligenza.

 

Sentire oggi che i governi che fanno parte della NATO sono così sensibili al tema dei diritti umani in Africa e in Medio Oriente, mi fa pensare all’indifferenza con cui si è assistito - e si assiste ancora - al massacro di individui inermi in quelle terre di oltre Atlantico. Il Guatemala è completamente in balia del narcotraffico, il Salvador delle “maras”, le spietate bande giovanili, in Honduras è passato un colpo di stato senza che il consesso internazionale battesse ciglio, in Messico –questo infelice gigante dell’America del Nord- violenza e corruzione la fanno da padroni. Ma si tengono elezioni e per questo la democrazia dovrebbe essere salva?