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famiglia italiana |
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11 luglio 2011 - Ernesto Marziota - Dalia Cisnero Silano www.granma.cu
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In occasione della commemorazione del 50º Anniversario della Battaglia e della Vittoria di Playa Girón (17 -19 abrile del 1961), contro l’invasione militare organizzata e preparata dal governo degli Stati Uniti d’America per eliminare la giovane Rivoluzione Cubana, dobbiamo rendere un meritato omaggio a due coraggiosi giovani discendenti di famiglie d’origine italiana in Cuba.
Il loro sacrificio in difesa della Patria aggredita continuava la tradizione della lotta per l’indipendenza nazionale di altre generazioni di italiani e discendenti che avevano combattuto per Cuba contro il colonialismo spagnolo nelle guerre del 1868 e del 1895.
Uno di loro fu il miliziano Reinaldo Mandina Naranjo, di 22 anni, di Cojimar, un municipio de Guanabacoa, a L’Avana, nato il 17 agosto del 1938, un tappezziere che a 22 ani morì combattendo eroicamente ccontro le forze mercenarie degli invasori, vicino alla spiaggia di Playa Girón, a mezzogiorno del 19 aprile del 1961, quando si preparava l’assalto finale all’ultimo ridotto nemico.
Le più recenti testimonianze dei suoi compagni di lotta del Battaglione delle Milizie 123 (copriva Regla e Guanabacoa) che comprese per coincidenza del destino i combattenti Pedro Mandina Naranjo, oggi di 68 anni, suo fratello; José Francisco Mandina Hernández, oggi di 86 anni, uno zio; Carlos Miguel Pérez Cruz (detto il bolscevico), oggi di 69 anni , tutti membri della 2ª Compagnia e del 3º Plotone, raccontano che tutti arrivarono il 18 aprile a Playa Larga dove si stava consolidando l’occupazione della posizione. Il Battaglione ricevette lordine di avanzare verso Playa Girón; gli autobus Leyland in cui viaggiavano furono bombardati con il napalm e cannoneggiati incessantemente dagli aerei B-26 camuffati con le insegne della Forza Aerea Cubana.
Il 19 aprile, a mezzogiorno, un’ avanguardia della Compagnia riuscì a giungere a 2 Km. dal bordo esterno della linea del fuoco del nemico, che teneva Playa Girón, occasione in cui sei scatenò un forte e intenso combattimento e un proiettile di mortaio cadde in prossimità della posizione di combattimento di Reinaldo.
Una scheggia gli danneggiò il fucile FAL che portava, e un’altra lo ferì gravemente all’inguine, a destra, recidendo l’arteria femorale e provocando una forte emorragia.
I suoi compagni cercarono di fermare la perdita di sangue e lo mandarono all’ospedale di Jagüey Grande, dove giunse dissanguato.
Così morì questo giovane rivoluzionario pieno di begli ideali. Vale la pena ricordare le sue parole quando fu ferito: “Custoditemi il fucile che io torno a combattere contro questi f...di p...!”
A 50 anni dalla vittoria di Girón, tutti i suoi compagni ricordano questo aneddoto con un doppio sentimento: da una parte il dolore per un compagno morto, la sua assenza, il fatto che non riuscì a vedere il suo sogno realizzato, e dall’altra la soddisfazione del dovere compiuto, perchè i combattenti del Battaglione 123, continuarono il combattimento sino a vincere il nemico alcune ore dopo.
Pedro Mandina Naranjo, racconta che erano una famiglia umile, unita, di contadini della zona di Berroa, a Guanabacoa e, come ricorda suo fratello: “Reinaldo era un ragazzo tranquillo, un figlio buono, un buon fratello, che lavorò nella costruzione e poi come tappezziere. Gli piaceva giocare a baseball ed aveva interesse per le arti. Quando si costituirono le Milizie, entrò nel Battaglione 123.
In principio rimase per tre mesi con l’unità nella detta ‘Limpia del Escambray’, la pulizia dell’Escambray, per impedire che le bande controrivoluzionarie assassine di maestri dominassero l’estesa regione. Alcuni giorni dopo il suo ritorno nella capitale avvenne l’invasione di Playa Girón, e partì per andare là a combattere.
I suoi resti mortali riposano nel Pantheon delle Forze Armate Rivoluzionarie del municipio di Guanabacoa. Furono ben 8 i membri di differenti rami della famiglia Mandina che combatterono a Girón.
I primi italiani giunti nell’Isola di questa famiglia erano originari di Napoli, anche se questo cognome esiste anche in Sicilia ed in altre regioni italiane. Il loro arrivo risale alla seconda metà del XVII secolo, quando sbarcarono nel porto de L’Avana e si stabilirono a est della capitale.
Uno di loro, Giorgio Mandina, si sposò con una francese ed ebbe diversi figli, dicono i documenti ecclesiastici. Attualmente ci sono persone con questo cognome in veri municipi a est de L’Avana che si dedicano al commercio e soprattutto all’agricoltura.
Con il trionfo della Rivoluzione Cubana molti dei Mandina entrarono nelle Forze Armate Rivoluzionarie, nel Ministero degli Interni e in altri organismi dello Stato. Un’importanze fabbrica di confezioni porta orgogliosamente il nome di Reinaldo Mandina Naranjo a Guanabacoa, così come diversi Comitati di Difesa della Rivoluzione.
Il secondo martire d’origine italiana fu Rafael Ángel Carini Millán, nato il 14 dicembre del 1940, in Calle Habana 214, e/ Empedrado e Tejadillo, nel municipio de l’Avana Vecchia, figlio di Rolando Carini Rauly e Lilia Millán, una famiglia umile. Frequentò la scuola “San Agustín” e quindi si trasferì alla “Hermanos Maristas” sita nel quartiere Víbora. Studiò solo sin al 2º anno delle superiori per la persecuzione politica.
Carini lavorò per poco tempo nel giornale “El Mundo” e nell’Associazione degli Annuncianti di Cuba, per aiutare la famiglia. Entrò molto giovane nel Movimento Rivoluzionario 26 di Luglio e visse per vari mesi in clandestinità durante la lotta contro la sanguinosa tirannia di Batista, (1953 – 1958).
I suoi compagni dicono che era molto riservato per ciò che riguardava le sue attività e che fu ricercato intensamente dal SIM (Servizio d’Intelligenza Militare). Non riuscirono a catturarlo, anche se la polizia della dittatura manteneva una stretta sorveglianza su di lui; partecipò al gruppo d’appoggio dello sciopero generale rivoluzionario del 9 aprile del 1958, azione che non ebbe i risultati sperati.
Era conosciuto con il soprannome di “El Italianito” o “Garibaldi”, e sviluppò gran parte della sua lotta a lato dell’altro martire Ramón Valdivia, che fu assassinato dai sicari della polizia di Batista in una scala della stessa casa dove viveva Carini, dove stavano effettuando una perquisizione.
Al trionfo della Rivoluzione Cubana, il 1º gennaio del 1959, Carini e vari compagni entrarono nella 1ª Stazione della Polizia, presero le armi ed andarono ad occupare gli uffici del temibile Ufficio delle Investigazioni, in Calle 23 e 30, nel Vedado, con il fine d’evitare la fuga e arrestare gli assassini dei rivoluzionari.
Nel 1959 diventò Istruttore delle Milizie dei Sindacati Bancari e del Trasporto, e poi nella Polizia Nazionale Rivoluzionaria (PNR), dove lavorò direttamente nel Dipartimento Tecnico d’Investigazioni.
Sua sorella Yolanda dice che in varie opportunità le aveva confermato con molta convinzione d’essere socialista e che quando avvenne l’attacco mercenario a Playa Girón, Rafael Carini marciò al fronte con i suoi compagni del Battaglione della PNR, avanguardia contro le truppe degli invasori, seguito dal Battaglione delle Milizie 123.
Poco prima di partire per Playa Girón aveva detto a sua madre – si era fatto un bagno e aveva indossato l’uniforme –: “Arrivederci vecchia mia forse questo è stato il mio ultimo bagno. Vado a combattere come stanno facendo i miei compagni e se muoio sarà fatalità! Tutti dobbiamo difendere la Patria e tu sai che ho sangue di mambì”.
Sua madre ha aggiunto che lo scudo sulla spalla della camicia lo aveva ricamato lei stessa con le sue mani, e lo aveva cucito all’uniforme verde olivo di Rafael.
Il comando della PNR non aveva inserito Carini tra gli uomini che dovevano partire per il fronte, ma nonostante questo, quando il convoglio militare si disponeva a partire, lui chiese l’autorizzazione e gli concessero il permesso lunedì 17 aprile, alle tredici.
Fu mal ferito nelle prime ore della mattina del 19 aprile, quando la Vittoria era già prossima. Una pallottola gli entrò nello stomaco. Al suo fianco c’era Perucho, un compagno che lo amava come un fratello. Carini lo guardò e gli disse: “Non ti preoccupare Perucho, mi sento male... non svenire adesso, levami questa catena e dalla a mia madre, prendi l’orologio e dallo a mio padre...”
Sua sorella Yolanda ha detto che: “Allora diedero anche a me qualcosa di mio fratello, la cintura che aveva addosso e proprio nella fibbia c’è il buco enorme in cui penetrò la pallottola che spezzò la sua breve vita. Questa cintura è il mio più grande tesoro!” Il sangue rosso come il triangolo della nostra bandiera usciva a fiotti dalla ferita debilitandolo, ma ebbe ancora la forza di dire: “Povero fratello mio, dì a tutti i compagni che nemmeno un passo indietro! Sempre avanti, per schiacciare queste canaglie! Duri con questi! Viva Cuba Libre!”
La Rivoluzione perse un giovane coraggioso nel combattimento contro i mercenari, ma il suo posto non restò vuoto: due dei suoi cari, suo padre e sua sorella entrarono nelle fila in difesa della Patria che aveva tanto amato.
Si sta investigando l’origine esatta di questa famiglia Carini- esiste un luogo in Sicilia con questo nome – anche se sicuramente questo cognome è presente in molte parti d’Italia.
Un’importante Scuola Media del Municipio 10 de Octubre porta con orgoglio patriottico il nome di Rafael Carini così come alcuni Comitati di Difesa della Rivoluzione, di questo giovane di 20 anni patriota, allegro e molto attivo che seppe con i suoi compagni di lotta affrontare i mercenari per salvare la Patria dal dominio straniero, come disse il nostro Comandante in Capo, Fidel.
I due martiri d’origine italiana, Mandina e Carini, morirono il 19 aprile del 1961, a poche ore dalla grande Vittoria di Playa Girón, e il loro sacrifico in onore della Patria non fu vano.
la Rivoluzione Cubana è andata sempre avanti compiendo i suoi obiettivi di giustizia sociale e di solidarietà con gli altri popoli del mondo.
Gli autori sono il Presidente e la Portavoce del Comitato di gestione della Associazione d’Amicizia Cuba-Italia ‘Miguel D’Estefano Pisani’
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