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La poesia nella battaglia |
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4 aprile 2011 - Ángel Fernández Vila (Horacio) www.granma.cu
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Nel pomeriggio del giorno dello sbarco, il 17 aprile del 1961, con Playa Girón già presa dai mercenari, spiegammo le forze delle milizie del Battaglione di Aguada de Pasajeros, miliziani lavoratori dell’INRA (Istituto Nazionale di Riforma Agraria) e i membri del Distaccamento di Sicurezza delle opere della Cienaga, sulla linea di difesa, stabilita in prossimità del villaggio della fabbrica di zucchero, la Centrale Covadonga, all’entrata della strada che conduce alla spiaggia, per impedire l’avanzata delle forze mercenarie aerotrasportate, sbarcate all’alba a Jocuma, a due chilometri da Covadonga.
Non erano ancora arrivati i rinforzi dei battaglione delle milizie provenienti da Santa Clara e Cienfuegos, che erano stati mobilitati con urgenza verso questa zona, dove dovevano entrare nella Cienaga per combattere il nemico invasore, che in quei momenti era eroicamente bloccato dal battaglione di Cienfuegos 339.
Le forze che compivano gli ordini del Comandante in Capo, che dovevano impedire ad ogni costo l’avanzata dei mercenari verso la centrale Covadonga, che combattevano contro le prime avanzate nemiche, erano eterogenee ed obbedivano a differenti comandi, anche se tutti erano patrioti, coraggiosi e decisi a respingere a qualsiasi prezzo il tentativo nemico di occupare il nostro territorio. Per avere un’idea: un settore della linea di difesa stabilita era occupato dagli operai miliziani dell’INRA, assieme ai lavoratori della Centrale Covadonga.
Lì c’erano funzionari e lavoratori dell’ufficio della Zona di Sviluppo Agrario, che agli ordini del delegato della zona, combattevano il nemico che avanzava verso la fabbrica.
Tra gli altri occupavano le trincee il direttore economico della Delegazione dell’INRA, Luis Borrego; il contabile principale, Luis Marrero (“Marré”); l’agrimensore Duquesne (il Cinese); l’ aiutante del Delegato, il soldato Ramón Alonso, e altri lavoratori delle Zona di Sviluppo.
Nel mezzo del combattimento si avvicinò il mio aiutante e mi comunicò che dovevo andare con urgenza verso il luogo occupato dal capo della guarnigione dell’Esercito Ribelle, nella Centrale Covadonga, che era al fronte dei suoi uomini, coprendo un settore di fuoco vicino al nostro, e che aveva annunciato d’avere un serio problema e che doveva ritirare i suoi uomini dalla linea.
Mi mossi rapidamente verso la posizione che questo ufficiale occupava e indagai sul problema. Mi ricomunicò un poco agitato che se non toglievamo dalla linea il compagno Marrero, lui sarebbe stato obbligato a ritirare i suoi uomini per impedire di farli colpire dagli spari, a destra e a manca, di quell’inesperto combattente.
Dissi all’ufficiale di restare nel luogo e che avrei risolto immediatamente la situazione. Andai verso la trinca occupata da “Marré”, che la condivideva con l’agrimensore Duquesne, e cercai di convincerlo ad abbandonare quella posizione perchè per causa della sua forte miopia non poteva identificare il nemico, e i suoi spari vaganti stavano mettendo in pericolo i nostri combattenti.
“Marré”, ribattendo al mio ordine, mi spiegò: “Io vedo qualcosa e inoltre Duquesne sta con me, e dato che lui ha solo un revolver, mi aiuta dirigendo il fucile verso i mercenari e poi io sparo. Credo che ne abbiamo colpito alcuni”.
Gli spiegai che così non si poteva combattere e che credevo che la sua presenza sarebbe stata molto più utile nella retroguardia, custodendo il nostro ufficio in Aguada de Pasajeros, perchè gli aerei nemici sorvolavano il paese e poteva avvenire un altro sbarco in una situazione che avrebbe richiesto la protezione di questo importante dispositivo amministrativo.
Nel mezzo dell’intenso combattimento che si stava sferrando e nel quale avevamo già avuto una perdita - il caporale dell’Esercito Ribelle, Nicanor Egoscue, falegname del nostro magazino- "Marré" mi spiegava appassionatamente la necessità di rimanere a combattere nella sua trincea e si opponeva con forza alla mia decisione di trasferirlo nella retroguardia.
Di fronte alla situazione e alla richiesta del comandante dell’Esercito Ribelle di Covadonga, non mi rimase altra opzione che ordinare a “Marré”, nonostante il dispiacere che glia avrei dato, di obbedire ai miei ordini senza discutere e di ritirarsi nelle linee di difesa.
Anni dopo quei combattimenti, io lavoravo ancora nella Cienaga, quando giunse tra le mie mani una copia della rivista Unión, in cui il compagno Luis Marrero, “Marré”, oggi Premio Nazionale di Letteratura e noto membro della UNEAC, firmava un’interessante cronaca dei combattenti di Girón, e dopo il racconto di simpatici aneddoti sui miliziani lavoratori dell’INRA che con lui avevano combattuto il nemico, mi dedicava alcune acide righe che in verità mi meritavo, nelle quali dichiarava: “Quel Vila di merda che mi impedì di combattere i mercenari sbarcati a Girón!”.
Il poeta, l’allora combattente per amore della Patria e per le sue convinzioni rivoluzionarie, esprimeva così il dolore che ancora provava per non aver potuto restare a combattere davanti al nemico sino alla sua totale disfatta, durante quelle eroiche gesta.
Quel sentimento di “Marré” è la poesia patriottica che si annida nel cuore di tutti i rivoluzionari, che non considera i limiti e che li trasforma in eroici combattenti, in difesa di una giusta causa come la Rivoluzione, il socialismo e la vita del popolo, come accadde 50 anni fa...
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