|
|||
L’opera di José Martí |
|||
29.12.11 - Frammento dal volume ‘Breve storia di Cuba’, edito dalla Capitan San Luis
|
|||
Dedicato sin dall’adolescenza all’ideale indipendentista, José Martí y Pérez (L’Avana, 1853) sofferse la reclusione e l’esilio durante la Guerra dei Dieci Anni. I suoi vincoli con i movimenti cospirativi successivi, gli permisero di comprendere che la Rivoluzione Cubana doveva fondarsi su nuove basi programmatiche organizzative, compito al quale si consegnò interamente.
Dotato di squisita sensibilità poetica e di brillanti facoltà oratorie, Martí possedeva anche un profondo pensiero politico, arricchito dall’esperienza dei suoi anni di vita in Spagna, negli Stati Uniti ed in distinti paesi latinoamericani.
Il suo lavoro di chiarimento e d’unificazione, centrato nei nuclei degli emigrati cubani soprattutto negli Stati Uniti, ma con un’amplia ripercussione nell’Isola, si concretò nel 1892 con la costituzione del Partito Rivoluzionario Cubano.
Concepito come l’organizzazione unica di tutti gli indipendentisti cubani, il Partito doveva incontrare i mezzi materiali ed umani per la nuova impresa emancipatrice ed investire i capi militari dell’indispensabile autorità politica per scatenare la Guerra Necessaria, che scoppiò il 24 febbraio del 1895.
Martí, che sbarcò in Cuba accompagnato da Máximo Gómez, Capo dell’ Esercito Liberatore, fu ucciso poco dopo nell’azione di Dos Ríos. Nonostante la perdita irreparabile, la Rivoluzione si sviluppò nella provincia d’Oriente, dove Maceo, giunto con una spedizione dalla Costa Rica, aveva assunto il comando delle forze mambí, e si estese poco dopo a Camagüey e a Las Villas.
Riuniti a Jimaguayú, i delegati dell’Esercito Liberatore elaborarono la Costituzione rettrice del destino della Repubblica in Armi. L’Assemblea elesse quale presidente il patrizio di Camagüey, Salvador Cisneros Betancourt e designò Generale in Capo e Luogotenente Generale dell’Esercito Liberatore Máximo Gómez e Antonio Maceo, rispettivamente. Poco tempo dopo, Maceo partiva da Baraguá al fronte di una colonna d’invasori che, unita alle forze di Gómez che aspettavano a Las Villas, doveva avanzare verso l’occidente dell’Isola. Dopo i vittoriosi combattimenti di Mal Tiempo, Coliseo e Calimete, il contingente invasore penetrò nella provincia de L’Avana, portando il panico tra le autorità coloniali nella capitale. Con l’arrivo delle forze di Maceo a Mantua, la cittadina più occidentale di Cuba, l’invasione compiva con successo il suo obiettivo: la guerra faceva sentire i suoi effetti devastatori in tutta l’Isola, le cui voci principali di produzione sperimentarono una brusco calo, In questa occasione la Spagna non poteva estrarre da Cuba le risorse necessarie per combattere la sua indipendenza.
Per affrontare l’insurrezione generale, la metropoli nominò Capitano Generale dell’Isola Valeriano Weyler, che giunse a Cuba e fu appoggiato con molti rinforzi per sviluppare una guerra di sterminio.
Nonostante l’elevato costo umano per questo tipo di conflitto - soprattutto la riconcentrazione della popolazione contadina nelle città - Weyler non riuscì a contenere l’insurrezione, la campagna di Gómez a l’Avana e quella di Maceo e Pinar del Río avevano in pugno l’ esercito colonialista.
Pur attuando in difficili condizioni, le forze mambí ricevevano con una certa periodicità le risorse per la guerra, inviate dall’estero dal Partito Rivoluzionario Cubano che, unite alle armi conquistate al nemico, permettevano loro di mantenere la propria capacità combattiva.
Nel dicembre del 1896 avviene la morte di Maceo nel combattimento di San Pedro, ed è sostituito nell’incarico di Luogotenente Generale dell’Esercito Liberatore da Calixto García, un altro brillante generale della Guerra dei Dieci Anni.
Gómez decide allora di concentrare su di sè il meglio delle forze spagnole, che sottopone ad una demolitrice campagna di attacchi nel centro dell’Isola. Lascia così le mani libere a García, che sferra importanti combattimenti in Oriente, e realizza l’occupazione delle piazze fortificate di Tunas e Guisa. Intanto, in occidente si producono migliaia d’azioni di mediana e piccola scala.
Il destino del colonialismo spagnolo era segnato.
|
|||
18-19 Maggio del 1895: testamento politico
e morte in
combattimento di José Martí In silenzio ha dovuto avvenire... |
|||
19 maggio 2011 - Gustavo Robreño Dolz www.granma.cu
|
|||
Nella storica lettera non terminata, trasformata per circostanze successive nel suo testamento politico, José Martí scrisse a "mio fratello carissimo", il messicano Manuel Mercado, con data 18 maggio del 1895, dall’Accampamento di Dos Ríos, iniziandola con queste parole: "Posso già scriverti e posso già dirti con che tenerezza, gratitudine e rispetto ti voglio bene e a questa casa che è mia, e mio orgoglio e obbligo; già tutti i giorni sono in pericolo di dare la mia vita per il mio paese e per il mio dovere, stabilito che lo intendo ed ho l’animo per realizzarlo, d’impedire a tempo con l’indipendenza di Cuba che si estendano sulle Antille gli Stati Uniti, e ricadano con questa ulteriore forza sulle nostre terre d’America. Quanto ho fatto sino ad oggi e farò, è per questo.
In silenzio ha dovuto avvenire e come indirettamente, perchè ci sono cose che per realizzarle devono restare occulte e che se si proclamassero per quel che sono apporterebbero difficoltà troppo forti per riuscire a raggiungere il fine al disopra di queste”.
Gonzalo de Quesada y Aróstegui pubblicò la lettera inconclusa a Mercado nella prima edizione delle opere di Martí, agli inizi del XX secolo, prendendola dal facsimile che, a sua volta aveva riprodotto l’ufficiale e scrittore spagnolo Enrique Ubieta nel suo libro cronologico sulla Rivoluzione Cubana. Come scrive questo autore, l’aveva ricevuto dalle mani del generale Salcedo, allora capo della piazza di Santiago di Cuba. Il suo originale si considera oggi scomparso.
Come sappiamo, la storiografia borghese cubana, nelle sue incursioni sul pensiero dell’Apostolo s’incaricò di occultate accuratamente o di minimizzare l’essenza delle idee martiane in questo senso. Nulla sarà loro più estraneo e temibile che progettare e diffondere questi ed altri apprezzamenti simili di José Martí, che fissavano la sua profonda convinzione antimperialista, così come quelli che raccolse sulla sua vita nella società nordamericana(Ho vissuto nel mostro e ne conosco le viscere ...), includendo gli interventi come rappresentante dell’Uruguay di fronte alle conferenze interamericane di Washington.
Non abbondarono di sicuro gli studiosi martiani negli anni della Repubblica mediatizzata che abbordarono questi temi o che concessero importanza centrale al pensiero e all’azione dell’Apostolo. Noi, che fummo alunni alle elementari e alle medie negli anni ‘40 e ‘50 lo possiamo confermare.
Ringraziamo quindi figure illustri e prestigiose della nostra intellettualità che da allora posero una speciale enfasi nella Storia Patria, come Julio Antonio Mella, Emilio Roig de Leuchsenring, Juan Marinello, Raúl Roa, Carlos Rafael Rodríguez o José Antonio Portuondo, che prepararono il cammino dal luogo del loro magistero ed in mezzo a condizioni per nulla favorevoli del dominio neocoloniale, e portarono alla luce verità, mostrando ai cubani la genesi della loro origine e della loro storia.
Cintio Vitier spicca per la valutazione etica dell’antimperialismo martiano.
Il 19 maggio del 1895, nella confluenza dei nostri fiumi Cauto e Contramaestre, avvenne la più grande e infausta tragedia della storia di Cuba.
La morte in combattimento di José Martí, come si apprezza guardando tutti gli avvenimenti successivi, ritorse fatalmente il destino della Patria, che sarebbe poi sorta a forza di sangue e coraggio nella guerra necessaria, e impedì che la Repubblica martiana divenisse realtà.
Paradossalmente la visione geniale di José Martí espressa nelle lettera a Mercato fu pienamente confermata con lo svolgimento del conflitto e dell’intervento yankee.
Mancava ancora un duro e lungo cammino da percorrere.
La lettera mai conclusa, con altri documenti e lettere personali, le aveva Marti con sè nelle sue tasche nel disgraziato istante di Dos Ríos, e furono prese in quei momenti dai militari spagnoli che s’impadronirono del cadavere.
Un destino capriccioso volle unire nella storia di Cuba queste due date che si relazionarono strettamente nelle parola e nell’azione.
Nel paragrafo iniziale già citato ci sono espressioni che allontanano qualsiasi tergiversazione e intrigo: "Già tutti i giorni sono in pericolo di dare la mai vita per il mio paese e per il mio dovere, stabilito che lo intendo ed ho l’animo per realizzarlo, d’impedire a tempo con l’indipendenza di Cuba che si estendano sulle Antille gli Stati Uniti, e ricadano con questa ulteriore forza sulle nostre terre d’America. Quanto ho fatto sino ad oggi e farò, è per questo.”
Il 1º Gennaio del 1959 la Rivoluzione Cubana ruppe definitivamente quel "silenzio martiano".
Due Eroi, due Rivoluzionari
Il più lucido dei cubani
Il 19 maggio del 1895, Máximo Gómez e i suoi uomini, che seguivano un convoglio spagnolo, andarono a mezza mattina all’accampamento di Bartolomé Masó, a Las Bijas, dove, dal giorno prima, si trovava Martí.
Poco prima di mezzogiorno una colonna spagnola avanzò verso il luogo. I mambí andarono a combattere, ma l’avversario in buona posizione ricevette la cavalleria ribelle con un fuoco nutrito.
Martí, ignorando le indicazioni di Máximo Gómez, si unì, risoluto al combattimento e avanzò verso il nemico seguito dal giovane Ángel de la Guardia.
La sua inesperienza non gli permise di comprendere che stava marciando proprio verso il centro del fuoco spagnolo.
Come il suo dovere gli indicava, José Martí si era lanciato in combattimento e lì a Dos Ríos era morto con il viso al sole.
Con la morte di Martí, Cuba perdeva il più lucido dei suoi figli, il combattente, l’organizzatore, il politico, il maestro, lo scrittore, il giornalista, l’uomo colto e capace, che si era fatto carico della guerra necessaria e si era calato come nessuno nell’essenza rapace del imperialismo nordamericano.
L’UOMO CHE ILLUMINA
121 anni fa, un 19 maggio, il mondo vide nascere uno di quegli uomini unici, che a forza di talento e impegno sono capaci di cambiare il corso della storia, cancellando la vecchia formula dei ricchi vincitori e dei poveri vittimizzati dalle circostanze. Il leader rivoluzionario vietnamita Ho Chi Minh, il cui nome significa "colui che illumina", utilizzò molti nomi durante la sua lunga vita rivoluzionaria.
Ebbe l’opportunità di viaggiare nella sua gioventù in Europa, Africa e America, realizzando i più diversi lavori. In quel periplo la sua cultura e le sue conoscenze sulle lotte sociali si rafforzarono sino a trasformarlo nel leader che portò alla libertà la nazione vietnamita. Per lui, il destino proletario mondiale era unito indissolubilmente a quello delle classi oppresse nelle colonie.
Con l’ ideale che "nulla è più prezioso del ‘indipendenza e la libertà", Ho Chi Minh segnò una meta nella storia da quando creò il Partito Comunista dell’Indocina, guidando la lotta contro il colonialismo francese, l’invasione giapponese e l’imperialismo nordamericano. Portò sempre il suo popolo alla vittoria e questo fu capace di sconfiggere gli yankee nel 1975. Il suo pensiero e l’esempio lo resero possibile anche se lui era già morto.
|
|||