Che tipo di agricoltura si pratica a Cuba oggi?
Rob Content:
Circa l’80% della
produzione agricola cubana è
organica, la
percentuale più alta al mondo. Per contro, poiché le difficili condizioni
del Periodo Especial sono terminate,
Cuba ha oggi accesso, ad esempio, al petrolio venezuelano. Ciò significa che
i cubani sono in grado di apprezzare gli incredibili vantaggi portati dai
combustibili fossili, ma con una grande consapevolezza della loro natura
limitata. Il petrolio viene utilizzato in maniera sobria ed intelligente.
Non viene sprecato.
Con il picco Cuba ha avuto frequenti blackout
elettrici. Quali furono i problemi principali e come hanno reagito i cubani?
Megan Quinn Bachman:
I blackout sono stati
anche di sedici ore al giorno ed anche per più giorni alla settimana. Questo
non è solo un inconveniente, un semplice fastidio temporaneo, ma piuttosto
un problema permanente. I problemi principali erano legati alla
refrigerazione, alla cottura del cibo ed alla disponibilità di acqua.
Mancanza di refrigerazione significò niente più cibo congelato, carne,
latticini, ma piuttosto frutta e ortaggi. Cucinare senza elettricità era
difficile e molto cibo si mangiava crudo, e dunque anche qui grande consumo
di frutta e verdura. La mancanza di acqua fu un grosso problema, soprattutto
per coloro che abitavano nelle città, poiché se non c’è elettricità per far
funzionare le pompe, l’acqua non arriva negli appartamenti. L’acqua si
portava a mano con i secchi. Senza elettricità non era possibile usare aria
condizionata né ventilatori, un problema non da poco visto il clima
tropicale.
Per le attività commerciali le difficoltà erano anche maggiori, perché senza
elettricità non si poteva fare quasi nulla.
Io credo che il motivo principale per cui i cubani furono in grado di
affrontare questi problemi con solidarietà piuttosto che cercando di
approfittarsi l’uno dell’altro, sia da ricercare nel fatto che il Periodo
Especial ha colpito tutte le classi sociali e non solo alcune. Tutti erano
consapevoli del dramma che stavano vivendo.
Che tipo di trasporti utilizzavano ed utilizzano oggi?
Megan Quinn Bachman:
I trasporti erano e
sono in gran parte pubblici. Con il picco petrolifero artificiale si
sono sviluppate forme di trasporto alternative, come ad esempio grosse
motrici che trainavano “cammelli” che contenevano fino a 300 persone. I
camion diventarono mezzi di trasporto pubblici a prezzi irrisori. Si faceva
l’autostop. Nelle zone di campagna si iniziò ad utilizzare trazione animale:
carretti trainati da cavalli e buoi. Ovviamente si camminava ed il governo
distribuì più di un milione e mezzo di biciclette. Oggi si assiste
lentamente ad un ritorno di auto private, ma i numeri sono comunque di molto
inferiori rispetto al periodo precedente il picco artificiale.
Con il picco ci sono state violenze o tensioni
sociali?
Megan Quinn Bachman:
All’inizio del Periodo
Especial c’è stato un aumento minimo dei crimini, soprattutto ruberie di
poco conto. Ci furono anche pressioni politiche affinché il Governo si
aprisse all’economia privata. La mortalità non aumentò e le cose non
andarono così male come ci si poteva aspettare. Direi che ciò che ha salvato
Cuba è stata proprio la
coesione a livello sociale; coesione che ha mantenuto sicuri i
quartieri, che ha aiutato vecchi, donne e bambini – i membri più deboli di
una società – e che ha permesso di sviluppare risorse locali, come nel caso
degli orti urbani di quartiere.
Che altro avrebbe potuto fare il governo?
Megan Quinn Bachman:
Il Governo ha sostenuto tutte le iniziative che partivano dal basso, dal
popolo, come ad esempio permettere a chiunque fosse in grado di produrre
cibo di venderlo. È possibile che aperture più audaci avrebbero potuto
incrementare la vitalità dell’economia. Invece il Governo, a parte nel
settore del turismo, ha mantenuto un’economia statale, che nella maggior
parte dei casi è inefficiente ed anche molto energivora.
Nel documentario sono
stato colpito soprattutto dalle parole di Patricia Allison e di Bruno
Enriquez. Patricia Allison ha detto: “La soluzione non è la tecnologia, sono
i rapporti umani”. Bruno Enriquez ha detto: “Il mondo non ha bisogno di più
energia, ma di più amore, più solidarietà, più amicizia”…
Megan Quinn Bachman:
È esattamente il messaggio che vogliamo trasmettere con il nostro film. Le
difficoltà portate dal picco e dal riscaldamento del clima, le varie
ingiustizie e sperequazioni tra paesi poveri e ricchi, si risolvono
attraverso la comunità, cioè attraverso
economie locali e
interdipendenza sociale. La maggior parte della gente, degli esperti
e dei politici, parla di trovare nuovi giacimenti, parla di energie
alternative, di cattura dell’anidride carbonica, di case “verdi”… Ma il
problema di fondo non è quello: il problema è mettere in discussione questo
sistema economico e di vita, ricostruire i rapporti umani, avere un’altra
visione del nostro posto nel mondo, affinché tutti possano usufruire degli
immensi beni che la terra ci regala.
Quale è la situazione a Cuba oggi?
Megan Quinn Bachman:
Secondo lo studio Living Planet del WWF, presentato nell’autunno del 2006,
Cuba è il solo paese al
mondo ad essere ecosostenibile. Secondo questo report Cuba riesce ad
avere una popolazione generalmente in salute ed istruita e con
un’aspettativa di vita a livelli occidentali, pur facendo un uso minimo di
risorse naturali. Uno dei focus di Cuba è continuare ad abbassare la propria
impronta ecologica, ri-forestare il paese, e concentrarsi su una sanità e
un’istruzione di livello sempre più alto, accessibile gratuitamente a tutti.
Un timore recente è dato dal fatto che – poiché sono stati trovati
giacimenti di petrolio al largo delle coste cubane – questo possa
compromettere i risultati di sostenibilità raggiunti. Ma c’è la grande
convinzione che i cubani, grazie alla consapevolezza che li
contraddistingue, continueranno con uno stile di vita sostenibile.
Cosa pensi possa succedere nei nostri paesi
occidentali con il raggiungimento del picco globale?
Megan Quinn Bachman:
Anzitutto è giusto dire
che l’esperienza di
Cuba vuole essere un esempio, ma non la si può generalizzare. È
impensabile che noi si reagisca esattamente come loro e questo per una serie
di ragioni. Cuba è un paese tropicale ed un’isola. La sua economia non ha
mai creato una borghesia ricca e quindi il gap economico tra le varie classi
sociali è minimo. La vita di Cuba è stata ovviamente influenzata sin dagli
anni ’60 dall'embargo statunitense e dai continui tentativi di sabotaggio ed
intromissione nelle questioni del Paese.
Il nostro augurio è che l’atteggiamento del popolo cubano possa essere fonte
di ispirazione per altre popolazioni. Ad esempio
l’agricoltura locale è una delle prime cose da mettere in pratica:
creare orti in giardini
e terrazzi è una possibilità da sfruttare. Si possono utilizzare anche spazi
e terreni pubblici inutilizzati o utilizzati per attività meno importanti
della produzione di cibo. È chiaro che le differenze politiche, culturali ed
economiche, produrranno risposte diverse in ogni paese. Ma ci sono valori
quali la condivisione e
la solidarietà, il dare importanza a cose quali il cibo ed uno
stile di vita sano,
avere un atteggiamento positivo, che sono validi a livello universale e che
portano benefici a chiunque.
Quale messaggio volete dare ai nostri lettori per
prepararsi al picco?
Rob Content:
Il concetto del picco petrolifero rimanda ad un enorme cambiamento nei
nostri stili di vita. È importante essere consapevoli che tali cambiamenti,
oltre ad essere grandi, sono molto vicini nel tempo.
Nei nostri studi sul picco petrolifero abbiamo avuto modo di appurare che le
nostre società occidentali non si stanno affatto preparando a tali
cambiamenti. Direi che il primo passo da compiere è rendersi conto di tutto
ciò e al tempo stesso semplificare in maniera graduale la nostra vita. Sono
sicuro che i milioni di cubani che hanno sofferto la mancanza di cibo nei
primi anni del Periodo Especial sarebbero d’accordo con noi.
È fondamentale cogliere l’importanza di un evento unico nella storia
dell’umanità come il picco. Ci sono libri, documentari, siti e blog per
informarsi. Ad esempio partecipare ad una conferenza è un modo semplice per
imparare molto ed in poco tempo.
Il problema è che la
nostra società nega il picco, nel senso che nega le conseguenze che
questo porterà. Anche per questo crediamo molto nel nostro lavoro di
divulgazione.
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