E' la
traduzione dell’articolo scritto da Ciro Bianchi Ross, esperto giornalista
del quotidiano Juventud Rebelde, che ci racconta la storia di questa
bellissima ed emblematica dimora.
“[…] Luisa Catalina Rodríguez Faxas, nata a Barcellona, Spagna, il 25
novembre 1922, nazionalizzata cubana, fu l'ultima proprietaria della casa
verde o delle tegole verdi; chiamata anche casa Palmolive, non perché
c’entrasse qualcosa con quella marca di saponette, bensì per il colore verde
tenue della sua facciata che giocava con il verde bottiglia del tetto e che,
all'entrata della Quinta Avenida di Miramar, ha negli anni richiamato
l'attenzione per il suo accentuato ed inarrestabile deterioramento. Rimasta
sola e senza soldi, per Luisa risultò impossibile occuparsi della
manutenzione della casa. Le prime tegole verdi che si staccarono provocarono
il deterioramento graduale del legname del soffitto che, per la sistematica
infiltrazione dell'acqua, iniziò a sprofondare. L'umidità s’incaricò di
danneggiare considerevolmente l'interno della dimora. Le autorità
dell'Avana, per poter effettuare il restauro, le proposero di cambiare casa.
Luisa visitò numerose abitazioni di Miramar e del Vedado, nei pressi del
fiume, ma non ne trovò nemmeno una che potesse soddisfare tutte le sue
esigenze. In realtà, non volle mai andarsene. Si diceva che si rifiutava di
farlo perché in un cavità aperta nella cantina, o in un spazio dissimulato
da una parete di cartongesso, la sua famiglia aveva nascosto un tesoro di
cui era padrona e che poteva recuperare al momento opportuno. Per quanto si
sa, non è mai esistito, ma quella fortuna nascosta è una delle tante
leggende che girano intorno a questa dimora costruita con mattoni,
calcestruzzo e tegole canadesi, su tre piani, con garage per quattro
automobili e porticato nella parte frontale e sui lati. Con finestre
mansardate e torretta a forma di cono. Una casa che, per il suo stile, si
dice sia unica a Cuba e che, dopo un diligente restauro realizzato dagli
specialisti dell'Ufficio dello Storico della Città, ha aperto le sue porte
in veste di centro promotore dell'architettura moderna e contemporanea,
dell'urbanistica e del design d’interni.
Versione di versioni. Si racconta inoltre che la casa fu costruita da José
López Rodríguez, Pote, e che quel ricco banchiere e commerciante di zucchero
si sia qui suicidato. Entrambe le affermazioni non sono vere. La dimora fu
edificata nel 1926, cinque anni dopo la morte di Pote, che si tolse la vita
impiccandosi al tubo della doccia nella residenza che si era fatto costruire
nel luogo in cui i suoi figli avrebbero successivamente fabbricato
l'edificio López Serrano. Quando risultò impossibile continuare ad
aggiudicare a Pote la villa di Quinta Avenida, incrocio con 2, la leggenda
popolare l'attribuì a Carlos Miguel de Céspedes (il Dinamico). L'astuto ed
efficiente funzionario machadista l'avrebbe costruita per la sua amante
Esmeralda. Si diceva infatti che lui, già sposato, poteva così vederla da
Villa Miramar, la casa dove si trova il ristorante 1830, dalla parte opposta
della foce dell'Almendares. […] La casa verde, opera dell'architetto José
Luis Echarte, fu in realtà commissionata, per viverci con sua moglie, da
Armando de Armas, Cocó, che fu maggiordomo di Palazzo durante i due periodi
presidenziali del generale Mario García Menocal. […] Cocó de Armas e la sua
famiglia vi abitarono fino al 1943, quando fu acquistata per sessantamila
pesos dall’agenzia immobiliare Jarpe S.A. che, a sua volta, nel novembre
dello stesso anno, la vendette alla Signorina Luisa Rodríguez Faxas, "di
anni 20, nubile, emancipata per concessione materna e residente nel Vedado,
calle F numero 558, piano alto, per cinquanta mila pesos", come risulta
dall’atto di compravendita.”
Ciro Bianchi Ross ci racconta che Luisa era una donna bellissima con un
corpo scultoreo. “Apparteneva ai club dell'alta società e frequentava le
famiglie più benestanti della capitale. Si sposò con lo scrittore ed
avvocato Mario Cabrera Saqui. […] Da quell'unione nacquero Mario Andrés,
Ricardo e Regina. La sua grande passione erano i cani. Ebbe un coppia di
pastori tedeschi perfettamente addestrati, Brent e Bruma, due bellezze; tre,
contando pure lei che, al volante della sua automobile decappottabile,
percorreva la città con i due animali sul sedile posteriore. Nel novembre
del 1959, Luisa, Mario ed i figli si recarono negli Stati Uniti per
trascorrere le vacanze nella loro casa di Miami. Lo stesso giorno
dell'arrivo in Florida, Mario, quarantasettenne, morì per un repentino
infarto cardiaco. Luisa, disperata, lasciò i bambini alle cure di una zia
paterna e ritornò all’Avana con la salma. Voleva intestare a proprio nome le
proprietà del marito, andare negli USA per riprendere i ragazzi e ritornare
a Cuba. Non ebbe la possibilità di farlo. L'atteggiamento di Washington nei
confronti dell’Avana divenne sempre più infuocato e le relazioni tra i due
paesi s’aggravarono fino ad interrompersi. Viaggiare divenne sempre più
difficile e furono ostacolate le comunicazioni postali e telefoniche. Luisa
non riuscì più a riunirsi con i suoi figli. Uno dei pochi amici che le
rimasero fu il suo oculista, il dottor Pedro Hechavarría. […] Si
innamorarono e si sposarono, un fatto imperdonabile per la famiglia del
Nord. […] Poco dopo divorziò e ritornò a vivere sola in casa sua.
La zia Luisa. Negli anni 70 apparve nella sua vita Marisabel, a cui volle
bene come ad una vera nipote. Era una giovane alta e robusta,
intelligentissima, colta, amante dei libri e dei cani, sofferente di cuore,
che le fece compagnia per molti anni. Grazie alle visite di altri giovani
amici di Marisabel, «la zia Luisa», come la chiamavano, ebbe la possibilità
di trascorrere momenti più felici, pasti migliori e perfino qualche
festicciola, andare al cinema, al ristorante e nei negozi, fare dei viaggi
all'interno del paese… S’iscrisse alla scuola di lingue del Vedado, dove si
diplomò in russo - dominava perfettamente l'inglese - mentre Marisabel
terminò gli studi di francese. La spaziosa cucina si trasformò in cenacolo,
dove i più assidui imparavano le buone abitudini di Luisa ed ampliavano la
loro cultura grazie alle conversazioni, i film ed i libri che condividevano.
I giovani s’adattarono ai suoi orari, perché nella casa verde ci si
svegliava a mezzogiorno e si faceva colazione intorno alle due o alle tre
del pomeriggio. […] Luisa coltivava violette africane e mostrava una
particolare predilezione per i bonsai. La provvista d’acqua era vitale ed
erano necessarie molte ore. La pompa dell’acqua era sempre rotta e se ne
consumava molta per la pulizia e per lavare. Un altro compito da maratoneta
era l'acquisto di carne per i cani, che richiedeva code ed ancora code,
perché non era mai sufficiente. Il freezer era solo per immagazzinare quella
carne che Luisa bolliva giornalmente, inondando la cucina di un odore
insopportabile, ma che i cani adoravano. Lì la cosa più importante erano i
cani. […] Alcuni amici credevano di vedere ombre o fantasmi e lei se la
rideva, perché diceva che in effetti ce n’erano. Luisa fu felice della
compagnia dei «sui nipoti». Quelli delle province orientali trascorrevano
nella casa verde le loro vacanze all’Avana. Alcuni se ne andavano ed altri
nuovi s’incorporavano finché lei fu colpita da un tumore ai polmoni che l’11
giugno 1999 ne provocò la morte. Marisabel le sopravvisse solamente sei mesi
esatti; decedette per un infarto l’11 gennaio dell'anno dopo, a 49 anni. Non
avendo eredi, […] l'immobile rimase abbandonato.”
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